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Thursday, October 04, 2007

Gulag-Birmania. Una calma che non è pace ma morte

Come temevamo, il silenzio e l'oscurità in cui il regime ha fatto sprofondare la Birmania dopo le manifestazioni di protesta di monaci e civili hanno favorito una repressione durissima, che possiamo solo immaginare dalle deboli voci che si levano da quel paese: qualche dissidente in contatto con la gente del posto; i disertori dall'esercito, diplomatici occidentali.

Si parla di centinaia di morti e di migliaia di arresti, tra monaci e attivisti democratici, di deportazioni di massa, di veri e propri gulag, di monaci spariti nel nulla, catturati dai militari o nel tentativo disperato di lasciare il paese. Probabilmente la decapitazione della leadership della National League for Democracy metterà il movimento democratico in ginocchio, non più in grado di nuocere alla Giunta per anni.

E avevamo anche palesato il nostro scetticismo sulle ipotesi di divisioni interne alla Giunta al potere a Yangon. Piuttosto, ipotizzavamo, la Cina potrebbe lavorare a un "rimpasto" nella Giunta. E' questo uno sbocco possibile delle voci di questi giorni sui contrasti all'interno dell'esercito tra il generale più "moderato", il numero due del regime, Maung Aye, che ha incontrato anche la leader democratica Aung San Suu Kyi, e l'odiato Than Shwe, ormai inviso alla comunità internazionale.

Un generale che oggi gioca la carta del "moderatismo" per sostituirsi a Shwe alla guida della Giunta è ciò che fa al caso di Pechino: favorendo l'avvicendamento dimostrerebbe alla comunità internazionale di aver risolto la crisi, tenendo in piedi il regime e, anzi, rafforzando la sua influenza su di esso. Ma sarebbe un esito catastrofico per i sogni di democrazia. Nulla di sostanziale cambierebbe nella natura del regime birmano ma l'Occidente, impotente, si accontenterebbe del risultato di facciata rivendicando, o illudendosi, di aver contribuito a riportare la calma nel paese. Una calma che non è pace ma morte.

Una considerazione sull'uso della nonviolenza. Pur essendo determinante per portare dalla propria parte sia la popolazione, sia i governi democratici e le opinioni pubbliche occidentali, da sola la nonviolenza non può nulla nei confronti di una dittatura disposta a massacrare il suo stesso popolo. Servono interventi dall'esterno. Non solo le sanzioni contro il regime, ma anche l'aiuto diretto, finanziario, logistico, tecnologico e persino militare, alle opposizioni democratiche.

1 comment:

Riccardo Gallottini said...

Concordo.La non violenza da sola non serve. Le sanzioni forse neanche visto l'isolamento decennale del regime. Finanziare l'opposizione può essere una tattica. Bisogna però che l'opposizione faccia l'opposizione,anche a costo di tradire la non violenza..