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Wednesday, October 03, 2007

Prodi, brutto schiaffo ai riformisti e alla Bonino

«Quando si firma un protocollo, poi si deve andare avanti con coerenza. Lo porterò il 12 al prossimo Cdm. Avremo, io credo, una approvazione al Cdm, poi è chiaro che il Parlamento farà le sue modifiche. Ma non c'è nulla di particolare in questa procedura». Romano Prodi, ieri sera, rispondendo a un'intervista al Tg1.

Non so come la vedete voi, ma a me pare di capire sostanzialmente la stessa cosa che hanno detto, forse in tono comprensibilmente un po' più battagliero, il presidente della Camera Bertinotti («sul welfare la partita è aperta») e il ministro per la Solidarietà sociale Ferrero («il protocollo non si può blindare, va migliorato»): Prodi non blinda il protocollo.

Così parrebbe di capire, ma non è così semplice. Come si comporterà il sottosegretario di turno quando in Parlamento dovrà dare il parere del Governo sugli emendamenti alle norme attuative del protocollo? Se infatti il parere fosse contrario ma l'emendamento fosse approvato, il Governo si troverebbe in minoranza. Questo Prodi non lo spiega.

Se, come pare di capire, Prodi avesse inteso, con le sue parole al Tg1, aprire a eventuali modifiche in Parlamento, sarebbe un evidente schiaffo ai riformisti e alla Bonino, la quale ci aveva fatto sapere - forse convinta che per Prodi il protocollo fosse "blindato" - che solo per spirito di coalizione (lei e i radicali vorrebbero addirittura l'innalzamento dell'età pensionabile) aveva accettato il compromesso sul pacchetto welfare/pensioni, purché, però, non si fosse cercato di modificarlo in Parlamento. Par di capire invece, che per Prodi, quello cui spetta la «sintesi», una volta licenziato dal Cdm il provvedimento possa essere modificato eccome. Non lo considera affatto un punto fermo per la permanenza in carica del suo governo?

Dunque, se così fosse, bisognerà concludere che chi ha accettato quel protocollo per spirito di coalizione si sia fatto fregare: ha semplicemente accettato di arretrare fino ad una posizione che si trova oggi a dover rinegoziare. Eppure, gli avvertimenti non sono certo mancati. Era chiaro a molti, infatti, compreso il sottoscritto, che l'accordo di luglio non segnava che un primo step, che la sinistra massimalista e comunista avrebbe ottenuto di poter ridiscutere a ottobre.

Ma Emma Bonino aveva avvertito: «Se qualcuno vorrà mettere mano al protocollo sappia che noi ci riterremo liberi di agire in Parlamento di proporre o sostenere modifiche, specie in materia di innalzamento dell'età pensionabile o del mantenimento, così com'è, della legge Maroni». Alla luce delle parole di Prodi comincerei a scriverli quegli emendamenti. I Radicali li scriveranno davvero?

5 comments:

Anonymous said...

Sì, li stanno già scrivendo.
Il primo è intitolato: "Misure urgenti per la creazione di ammortizzatori sociali per i partiti politici che hanno perso tutta la loro credibilità, che non sono più "altro" e che si sono genuflessi come un cespuglio qualsiasi per garantirsi esclusivamente la propria inutile sopravvivenza".

Anonymous said...

COME LA GERMANIA IN BANCAROTTA RISOLSE I SUOI PROBLEMI ECONOMICI
di Ellen Brown
dal sito http://www.webofdebt.com/
Traduzione di Gianluca Freda


“Non siamo stati così sciocchi da creare una valuta [collegata all’] oro, di cui non abbiamo disponibilità, ma per ogni marco stampato abbiamo richiesto l’equivalente di un marco in lavoro o in beni prodotti... ci viene da ridere tutte le volte che i nostri finanzieri nazionali sostengono che il valore della valuta deve essere regolato dall’oro o da beni conservati nei forzieri della banca di stato”.

(Adolf Hitler, citato in “Hitler’s Monetary System”, http://www.rense.com/, che cita C. C. Veith, Citadels of Chaos, Meador, 1949)



Quello di Guernsey non fu l’unico governo a risolvere i propri problemi infrastrutturali stampando da solo la propria moneta. (Vedi E. Brown, "Waking Up on a Minnesota Bridge," www.webofdebt.com/articles/infrastructure-crisis.php, del 4 agosto 2007). Un modello assai più noto si può trovarlo nella Germania uscita dalla Prima Guerra Mondiale. Quando Hitler arrivò al potere, il paese era completamente, disperatamente in rovina. Il Trattato di Versailles aveva imposto al popolo tedesco risarcimenti che lo avevano distrutto, con i quali si intendeva rimborsare i costi sostenuti nella partecipazione alla guerra per tutti i paesi belligeranti. Costi che ammontavano al triplo del valore di tutte le proprietà esistenti nel paese. La speculazione sul marco tedesco aveva provocato il suo crollo, affrettando l’avvento di uno dei fenomeni d’inflazione più rovinosi della modernità. Al suo apice, una carriola piena di banconote, per l’equivalente di 100 miliardi di marchi, non bastava a comprare nemmeno un tozzo di pane. Le casse dello stato erano vuote ed enormi quantità di case e di fattorie erano state sequestrate dalle banche e dagli speculatori. La gente viveva nelle baracche e moriva di fame. Nulla di simile era mai accaduto in precedenza: la totale distruzione di una moneta nazionale, che aveva spazzato via i risparmi della gente, le loro attività e l’economia in generale. A peggiorare le cose arrivò, alla fine del decennio, la depressione globale. La Germania non poteva far altro che soccombere alla schiavitù del debito e agli strozzini internazionali.


O almeno così sembrava. Hitler e i Nazional Socialisti, che arrivarono al potere nel 1933, si opposero al cartello delle banche internazionali iniziando a stampare la propria moneta. In questo presero esempio da Abraham Lincoln, che aveva finanziato la Guerra Civile Americana con banconote stampate dallo stato, che venivano chiamate “Greenbacks”. Hitler iniziò il suo programma di credito nazionale elaborando un piano di lavori pubblici. I progetti destinati a essere finanziati comprendevano le infrastrutture contro gli allagamenti, la ristrutturazione di edifici pubblici e case private e la costruzione di nuovi edifici, strade, ponti, canali e strutture portuali. Il costo di tutti questi progetti fu fissato a un miliardo di unità della valuta nazionale. Un miliardo di biglietti di cambio non inflazionati, chiamati Certificati Lavorativi del Tesoro. Questa moneta stampata dal governo non aveva come riferimento l’oro, ma tutto ciò che possedeva un valore concreto. Essenzialmente si trattava di una ricevuta rilasciata in cambio del lavoro e delle opere che venivano consegnate al governo. Hitler diceva: “Per ogni marco che viene stampato, noi abbiamo richiesto l’equivalente di un marco di lavoro svolto o di beni prodotti”. I lavoratori spendevano poi i certificati in altri beni e servizi, creando lavoro per altre persone.


Nell’arco di due anni, il problema della disoccupazione era stato risolto e il paese si era rimesso in piedi. Possedeva una valuta solida e stabile, niente debito, niente inflazione, in un momento in cui milioni di persone negli Stati Uniti e in altri paesi occidentali erano ancora senza lavoro e vivevano di assistenza. La Germania riuscì anche a ripristinare i suoi commerci con l’estero, nonostante le banche estere le negassero credito e dovesse fronteggiare un boicottaggio economico internazionale. Ci riuscì utilizzando il sistema del baratto: beni e servizi venivano scambiati direttamente con gli altri paesi, aggirando le banche internazionali. Questo sistema di scambio diretto avveniva senza creare debito né deficit commerciale. L’esperimento economico della Germania, proprio come quello di Lincoln, ebbe vita breve; ma lasciò alcuni durevoli monumenti al suo successo, come la famosa Autobahn, la prima rete del mondo di autostrade a larga estensione (1).


Di Hjalmar Schacht, che era all’epoca a capo della banca centrale tedesca, viene spesso citato un motto che riassume la versione tedesca del miracolo del “Greenback”. Un banchiere americano gli aveva detto: “Dottor Schacht, lei dovrebbe venire in America. Lì abbiamo un sacco di denaro ed è questo il vero modo di gestire un sistema bancario”. Schacht replicò: “Lei dovrebbe venire a Berlino. Lì non abbiamo denaro. E’ questo il vero modo di gestire un sistema bancario” (2).


Benché Hitler sia giustamente citato con infamia nei libri di storia, egli fu piuttosto popolare presso il popolo tedesco, almeno nei primi tempi. Stephen Zarlenga, in The Lost Science of Money, afferma che ciò era dovuto al fatto che egli salvò temporaneamente la Germania dalle teorie economiche inglesi. Le teorie secondo le quali il denaro deve essere scambiato sulla base delle riserve aurifere in possesso di un cartello di banche private piuttosto che stampato direttamente dal governo (3). Secondo il ricercatore canadese Henry Makow, questo fu probabilmente il motivo principale per cui Hitler doveva essere fermato; egli era riuscito a scavalcare i banchieri internazionali e a creare una propria moneta. Makow cita un interrogatorio del 1938 di C. G. Rakovsky, uno dei fondatori del bolscevismo sovietico e intimo di Trotzky, che finì sotto processo nell’URSS di Stalin. Secondo Rakovsky, l’ascesa di Hitler era stata in realtà finanziata dai banchieri internazionali, attraverso il loro agente Hjalmar Schacht, allo scopo di tenere sotto controllo Stalin, che aveva usurpato il potere al loro agente Trotzky. Ma Hitler era poi diventato una minaccia anche maggiore di quella rappresentata da Stalin quando aveva compiuto l’audace passo di iniziare a stampare moneta propria. Rakovsky affermava:


“[Hitler] si era impadronito del privilegio di fabbricare il denaro, e non solo il denaro fisico, ma anche quello finanziario; si era impadronito dell’intoccabile meccanismo della falsificazione e lo aveva messo al lavoro per il bene dello stato... se questa situazione fosse arrivata a infettare anche altri stati... potete ben immaginarne le implicazioni controrivoluzionarie” (4).


L’economista Henry C. K. Liu ha scritto sull’incredibile trasformazione tedesca:


“I nazisti arrivarono al potere in Germania nel 1933, in un momento in cui l’economia era al collasso totale, con rovinosi obblighi di risarcimento postbellico e zero prospettive per il credito e gli investimenti stranieri. Eppure, attraverso una politica di sovranità monetaria indipendente e un programma di lavori pubblici che garantiva la piena occupazione, il Terzo Reich riuscì a trasformare una Germania in bancarotta, privata perfino di colonie da poter sfruttare, nell’economia più forte d’Europa, in soli quattro anni, ancor prima che iniziassero le spese per gli armamenti” (5).


In Billions for the Bankers, Debts for the People [Miliardi per le Banche, Debito per i Popoli], (1984), Sheldon Emry commenta:


“Dal 1935 in poi, la Germania iniziò a stampare una moneta libera dal debito e dagli interessi, ed è questo che spiega la sua travolgente ascesa dalla depressione alla condizione di potenza mondiale in soli 5 anni. La Germania finanziò il proprio governo e tutte le operazioni belliche, dal 1935 al 1945, senza aver bisogno di oro né di debito, e fu necessaria l’unione di tutto il mondo capitalista e comunista per distruggere il potere della Germania sull’Europa e riportare l’Europa sotto il tallone dei banchieri. Questa vicenda monetaria non compare oggi più neanche nei testi delle scuole pubbliche”.


UN ALTRO SGUARDO ALL’IPERINFLAZIONE DI WEIMAR


Nei testi moderni si parla della disastrosa inflazione che colpì nel 1923 la Repubblica di Weimar (nome con cui è conosciuta la repubblica che governò la Germania dal 1919 al 1933). La radicale svalutazione del marco tedesco è citata nei testi come esempio di ciò che può accadere quando ai governi viene conferito il potere incontrollato di stampare da soli la propria moneta. Questo è il motivo per cui viene citata, ma nel complesso mondo dell’economia le cose non sono come sembrano. La crisi finanziaria di Weimar ebbe inizio con gli impossibili obblighi di risarcimento imposti dal Trattato di Versailles. Schacht, che all’epoca era il responsabile della zecca della repubblica, si lamentava:


“Il Trattato di Versailles è un ingegnoso sistema di provvedimenti che hanno per fine la distruzione economica della Germania... Il Reich non è riuscito a trovare un sistema per tenersi a galla diverso dall’espediente inflazionistico di continuare a stampare banconote”.


Questo era ciò che egli dichiarava all’inizio. Ma Zarlenga scrive che Schacht, nel suo libro del 1967 The Magic of Money, decise “di tirar fuori la verità, scrivendo in lingua tedesca alcune notevoli rivelazioni che fanno a pezzi la “saggezza comune” propagandata dalla comunità finanziaria riguardo all’iperinflazione...

Luciano Bove said...

Questo governo deve andare a casa! Al più presto....

Anonymous said...

ahahah. l'unico difetto della teoria monetaria hitleriana sta nel fatto che poi la germania per approvvigionarsi di gas e petrolio doveva andarlo a prendere a casa d'altri coi carri armati, essendo i produttori comprensibilmente riluttanti a consegnarglielo contro certificati del debito tedesco

salvio said...

Ti posso dire di si, almeno su un argomento specifico delle pensioni.