Davvero penoso il modo in cui i nostri mainstream media, stampa e tv, hanno dato la notizia del premio Nobel per la medicina assegnato al professore di biologia molecolare Mario Capecchi. Quelli che per primi hanno battuto la notizia hanno gridato al Nobel «italiano!». Con il passare dei minuti diventava «italo-americano», per poi scoprire che l'anziano professore, di italiano ha solo il cognome e il ricordo di un'infanzia di stenti sotto nazismo e fascismo. Non parla una parola della nostra lingua e ha lasciato l'Italia a soli 9 anni per gli Stati Uniti.
La sua vita è una storia americana. Orfano, vagabondo, emigrante accolto dall'America, dove ha potuto frequentare le migliori università. Ma è un Nobel "americano" perché è l'ennesima dimostrazione della superiorità di un sistema che finanzia idee e cervelli mettendoli in competizione e premiando quelli in grado di produrre i risultati migliori. E ogni giorno scopriamo che funziona.
Il premio Nobel a Capecchi è invece una dura lezione per il nostro paese. Non investiamo in ricerca, ma soprattutto le università italiane sono un universo "fuori mercato". Nulla a che vedere con il merito e le capacità scientifiche. Si diventa docenti grazie a un concorso pubblico e si assegnano le cattedre attraverso bandi-farsa pilotati dall'interno. Da quel momento in poi nessuno è più responsabile dell'operato del docente, che non corre più il minimo rischio di perdere il posto. Se le carriere non dipendono dai meriti scientifici, non c'è da stupirsi del fatto che non si produca ricerca. Per di più gli interni, fannulloni o totalmente incompetenti entrati grazie a una rete di relazioni, fanno il bello e cattivo tempo ostacolando ed eliminando la concorrenza degli elementi migliori, costretti a cercare borse e opportunità all'estero.
Per non parlare poi della cappa dell'oscurantismo cattolico sulla ricerca scientifica. Lo stesso Capecchi si dice rammaricato di «non potere mettere a frutto i miei studi in Italia, dove la ricerca sulle staminali embrionali è vietata». E' un altro aspetto penoso dell'arretratezza del nostro paese. «Un Nobel che in Italia è vietato», è il titolo della riflessione di Oscar Giannino, ieri su Libero. Un Nobel «che ci deve far riflettere sulle vie della ricerca dalle quali ci siamo autoesclusi».
3 comments:
Ma veramente "..studi in Italia, dove la ricerca sulle staminali embrionali è vietata"?
O come dice Ferrara sul fogliuzzo di ieri:"A essere vietato (ma davvero è necessario ripeterlo?) è l’uso a fini di ricerca di esseri umani allo stato embrionale, e quindi di staminali embrionali umane." Se Ferrara dice il vero fate sapere al Nobel Mario Capecchi che in Italia la ricerca sulle staminali embrionali di topo non è vietato. Altrimenti dimostrate che Ferrara dice il falso.
Lo vada a dire anche a Oscar Giannino, però...
Caro anonimo, non faccia il finto tonto. Capecchi è stato premiato per una tecnica provata oltre 20 anni fa sulle cellule di topo, ma diciamo che non sono i topi propriamente gli obiettivi ultimi della ricerca. Gli ostacoli posti alla ricerca sulle cellule staminali embrionali non permettono di sfruttare pienamente le sue tecniche. Tutto qui.
http://www.malvino.ilcannocchiale.it/post/1643674.html
Bigotti...
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