Non è di questo avviso Berlusconi, che invece ha fretta. Con un governo così fallimentare, e gli italiani così incazzati, l'occasione è troppo ghiotta, la rivincita se la sente in tasca. E' impensabile quindi che accetti proprio ora di far partire il dialogo per le riforme, che Prodi sarebbe pronto a strumentalizzare per restare in piedi e che Veltroni sfrutterebbe per prepararsi al meglio.
Trovano conferma dallo stesso Cav., dunque, le parole di Gianni Letta, riportate nel retroscena di Minzolini, oggi su La Stampa: «... forse qualche mese fa si poteva tentare, ma ormai la partita è finita. Siamo agli sgoccioli, ai minuti di recupero. Possono essere uno, due, o tre, ma il fischio finale dell'arbitro sta per arrivare. E si andrà a votare».
In modo molto sintetico ed efficace Berlusconi ha spiegato inoltre perché il grande show di domenica scorsa non è destinato di per sé a produrre alcun cambiamento. Se il Pd non sarà disposto a rinunciare all'alleanza con la sinistra comunista e massimalista farà la stessa fine dell'Ulivo, e Veltroni la stessa di Prodi.
Così la pensa anche Stefano Folli, che ha rievocato il precedente dell'ottobre 2005, quando le finte primarie dell'Unione per la candidatura a premier si trasformarono in un plebiscito a favore di Prodi. L'investitura popolare avrebbe dovuto trasformarlo nel premier più forte mai visto in Italia, ma oggi si deve arrendere alla sua irrilevanza e al fallimento strutturale della sua coalizione, fatta per vincere e non per governare.
Una fine che rischia di fare anche Veltroni, se non farà «buon uso» del successo delle primarie, se non aggiungerà fatti concreti, visibili e percepibili dall'elettorato, soprattutto fra i ceti medi e produttivi: «Le parole non bastano e il crisma del voto popolare servirà al leader solo in una prima fase. Senza risultati tangibili, la magia svanirà inevitabilmente».
Chi ha colto il senso dell'operazione obbligata che sta tentando e che tenterà nei prossimi mesi Veltroni è, come spesso gli capita, Luca Ricolfi, su La Stampa. Gran parte del "popolo della sinistra" è oggi stordito dal vedere Veltroni e il Pd muoversi verso il centro e far proprie istanze tipiche della destra, come tasse e sicurezza. Ma «se Veltroni pensasse di rubare voti alla destra facendosi esso stesso destra, gli elettori moderati mangerebbero la foglia e gli preferirebbero l'originale», osserva Ricolfi. E' questo un rischio fondato che però il segretario del Pd non può fare a meno di correre.
«Quel che Veltroni sta tentando di fare non è di spostare verso destra il baricentro del nuovo partito, ma di costruire una sinistra radicalmente riformatrice. Una sinistra moderna, liberale, e quindi fondata su un'idea diversa di progresso, su un'idea diversa di eguaglianza, su un'idea diversa di libertà». Il «guaio», sottolinea Ricolfi, è che lo fa «senza dirlo, senza spiegarlo». Non una «rivoluzione silenziosa», ma addirittura una «rivoluzione di nascosto».
«Se volesse davvero spiegare la rivoluzione liberale di cui è diventato un (convinto?) paladino, dovrebbe anche fare i conti fino in fondo con il passato della sinistra. E dire: amici e compagni, per anni vi abbiamo riempiti di stereotipi buonisti, idee semplicistiche, maxi-programmi irrealizzabili; vi abbiamo nascosto i fatti, quando non quadravano con le convinzioni che vi avevamo impartito; vi abbiamo insegnato a criticare la destra sempre e comunque, qualsiasi cosa facesse; abbiamo coltivato il vostro senso di superiorità morale, la certezza di rappresentare "la parte migliore del Paese"; per cacciare Berlusconi abbiamo contratto un'alleanza politica innaturale, che sta paralizzando l'Italia; ora però ci siamo resi conto dei nostri errori, e anche se ci abbiamo messo quasi vent'anni a capirli (il muro di Berlino è caduto nel 1989), chiediamo a voi di metterci meno tempo - molto meno tempo - di quanto ne abbiamo messo noi».Sai che sberla?! Sarebbe un discorso «nobile e coraggioso», ma Veltroni non può permetterselo, perché «un minuto dopo cadrebbe il governo». Dunque, «finché vorrà salvare Prodi, Veltroni non potrà mai spiegare sul serio la sua rivoluzione liberale». E finché non la spiegherà, mancheranno i fatti concreti e a noi rimarrà il sospetto.
5 comments:
sì, ha la vittoria in tasca. Ma attenzione: OGGI ce l'ha. Bisognerà vedere come Veltroni imposterà la campagna elettorale. Ovviamente butterà nel cestino Prodi ed è altrettanto chiaro che farà quello che meglio gli riesce: vendere sogni. Sarà curioso vedere come andranno le vendite tra il popolo italiano...
Altro problemino per Berlusconi: il Senato traballante. E' per me scontato che non finirà 57 a 43 come sembra oggi, ma più probabilmente le due coalizioni si attesteranno su un 53-47. Con queste cifre risicate (specie se la CdL non riuscirà a strappare qualche regione redditizia in termini di seggi), Berlusca farebbe la stessa fine di Mortadella.
Scusa senatore, ma 6 punti di distacco non sono affatto le cifre risicate che dici tu.
Poi, è ovvio, ciascuno può illudersi pro domo sua come meglio crede.
Ma fossero pure 6 punti di differenza, e non ci credo, sarà sempre una situazione del tutto diversa dal quasi 50 a 50 del 2006.
la cosa importante è però la seguente: diminuirà subito la pressione fiscale Berlusconi in maniera shoccante?
anonymous:
con l'attuale legge elettorale (voluta così dal duo Ciampi-Follini, ribadisco sempre), il Senato sarà sempre in bilico, a meno che una delle due coalizioni non riesca a strappare una regione munita di tanti seggi che tradizionalmente va dall'altra parte. Se ad esempio la CdL prendesse Campania e Liguria potrebbe avere un certo margine di seggi di vantaggio, altrimenti il 53-47 non direbbe proprio nulla.
Alla Camera il premio è a livello nazionale (quindi uno 0,001% garantisce governabilità), mentre al Senato è spezzettato su base regionale. E sono dolori.
Ricolfi è un valido osservatore, ma anche lui manca il punto. Se davvero bastasse semplicemente "spiegare" la cosiddetta rivoluzione liberale alla gente, basterebbero comunissime doti oratorie e comunicative per renderci tutti quanti premier in pectore.
Veltroni può "spiegare" questo e quello, ma senza i morti e i feriti di un'autentica battaglia di idee risulterà sempre poco credibile.
Il tanto celebrato - forse al di là dei suoi effettivi meriti - Tony Blair ha impiegato dieci anni a plasmare il Labour britannico a sua immagine e somiglianza. Mica dieci mesi.
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