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Saturday, September 29, 2007

Il regime spegne le voci della democrazia

Anche oggi alcune migliaia di persone hanno manifestato nella capitale della Birmania, rompendo così il silenzio surreale calato su tutto il paese e lo stato d'assedio imposto dai soldati, che hanno di nuovo caricato, arrestando, picchiando ferocemente i dimostranti, e sparando ancora sulla folla. Imprecisato il numero delle vittime. Intanto, nelle carceri circa trenta monaci buddisti hanno iniziato uno sciopero della fame. (Fonte: Mizzima News)

Pare tuttavia che stia avendo successo la repressione del regime, al di là delle speculazioni su possibili dissidi e spaccature all'interno della Giunta militare riguardo l'uso della forza contro i manifestanti - spaccature che, come abbiamo ipotizzato ieri, potrebbero preludere a un mero "rimpasto" di generali incoraggiato dalla Cina.

Hanno intimidito la popolazione con decine di morti lasciati sulle strade dai colpi sparati dai soldati sulla folla. Hanno militarizzato le due principali città, Yangon e Mandalay. Hanno blindato i monasteri e sigillato il paese in modo che nulla potesse uscire all'esterno. Soprattutto, hanno spento le voci della protesta tagliando le comunicazioni (internet e telefoni): da ore infatti non giungono più nuove immagini significative. Proprio le immagini avevano messo in ginocchio il regime davanti agli occhi di tutto il mondo.

Temiamo quindi che la crisi sia in corso di riassorbimento. E, cosa peggiore, nel silenzio assoluto il regime potrà attuare indisturbato la vera repressione, quella dagli effetti più a lungo termine, sui protagonisti di questi giorni di manifestazioni. Decapitando la leadership e decimando gli oppositori, la Giunta metterà il movimento democratico in condizione di non nuocere per anni.

Sul piano politico ci sarà da riflettere sull'impotenza dei governi occidentali. Il paradosso è che mai, negli ultimi anni, Stati Uniti ed Europa, e le loro opinioni pubbliche, senza differenze politiche sostanziali, avevano condannato una dittatura così unanimemente, mobilitandosi in modo così plateale, come hanno fatto in questa crisi a sostegno della protesta dei monaci e dei civili birmani.

Eppure, a fronte di tutto ciò, è emersa l'incapacità di influenzare il corso degli eventi a loro favore. Una dimostrazione di impotenza: nemmeno uniti Usa e Ue sono in grado di fermare la brutale repressione di una dittatura contro il suo popolo? Cos'è in definitiva questo multilateralismo? Meglio un multilateralismo impotente o un unilateralismo potente?

L'esito di questa crisi, da potenziale disastro di immagine per la Cina, rischia di elevarla definitivamente a status di potenza egemone, padrona, dell'Asia. Né il Giappone, né l'India, né l'Australia, né l'Asean sono stati in grado neanche di minacciare di opporsi a quanto stava accadendo. L'inviato dell'Onu arriva in Myanmar fuori tempo massimo, a giochi fatti, e la sua missione rischia di trasformarsi in uno strumento di legittimazione in mano ai militari.

Un errore è stato quello di affidarsi alla Cina come attore responsbile. Non favorirà alcuna transizione verso la democrazia in Birmania. Al massimo, spingerà un altro generale, oggi all'apparenza più "moderato", alla guida della Giunta, legando ancor di più a sé la Birmania. Ci auguriamo almeno che chi s'illudeva ancora che Pechino potesse giocare un simile ruolo abbia aperto gli occhi.

Le democrazie della regione devono assumere l'iniziativa. E in fretta. Acquisire consapevolezza dei loro valori e interessi strategici comuni, istituzionalizzare la propria partnership, anche sul piano militare. I governi democratici devono dotarsi del potere politico e della forza militare per poter agire, o minacciare in modo credibile di agire, in modo rapido ovunque nel mondo.

1 comment:

Nobile di Treviso said...

I media italiani hanno scoperto la Birmania, questo bellissimo paese con immense risorse naturali (è il primo produttore di teak al mondo e ha importanti giacimenti strategici di gas e peterolio) grazie agli avvenimenti odierni che sucitano l’unanime e vibrata protesta da parte dell’opinione pubblica internazionale.
D’accordo, quello che sta succedendo è deplorevole sotto tutti i punti di vista, ma bisogna evitare di dare un giudizio frettoloso di condanna a senso unico contro la giunta militare al potere, come sembra fare la maggior parte dei commentatori, senza conoscere la realtà della situazione politica ed economica del Paese fino ad oggi ai margini della comunità internazionale.
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