Il presidente Usa affronta il nodo della crisi di credibilità dell'Onu: disattesi i principi e i compiti originari
All'indomani della manifestazione più grande, nonostante le reiterate minacce di repressione urlate dai megafoni dei blindati della polizia e il "consiglio di guerra" della Giunta riunito, in Birmania una nuova imponente marcia di monaci e civili è partita oggi dalla millenaria pagoda di Shwedagon. Molte le bandiere, alcune con l'immagine del pavone, utilizzata dagli studenti nella rivolta del 1988 a favore della democrazia, e le immagini di Aung San Suu Kyi, la figura simbolo del movimento democratico e premio Nobel per la Pace. Nei giorni scorsi la folla si è recata a omaggiare la leader democratica, che non è riuscita a trattenere lacrime di commozione affacciandosi al portone della casa in cui è rinchiusa da anni agli arresti domiciliari.
Il timore è che agenti provocatori infiltrati possano far scoppiare disordini per fornire alla polizia e all'esercito il pretesto per innescare la repressione. In serata le autorità hanno vietato "assemblee" con più di cinque persone e decretato il coprifuoco nelle due maggiori città. Ma i manifestanti, giunti a questo punto, non possono fermarsi, non possono spegnere loro stessi i riflettori sulla protesta, altrimenti il regime approfitterà del momento per scatenare una repressione sanguinosa. Il rischio concreto è comunque di una nuova Tienanmen. Gli organi di informazione e i governi occidentali devono far percepire la loro presenza.
Come previsto, il presidente americano George W. Bush, coerente nello schierarsi al fianco di ogni popolo in lotta per la propria libertà, ha annunciato, intervenendo all'Assemblea generale dell'Onu, ulteriori sanzioni contro la Giunta militare birmana. Ha denunciato che in Birmania le «libertà fondamentali come quelle di espressione, di assemblea e di preghiera sono severamente ridotte», che «le minoranze etniche sono perseguitate», che «lavoro forzato di minorenni, traffico di persone, stupri sono fenomeni diffusi». E ha ricordato che «il regime ha imprigionato oltre un migliaio di detenuti politici, tra cui Aung San Suu Kyi, il cui partito è stato eletto in modo schiacciante nel 1990». Per tutto questo, ha annunciato Bush, «gli Stati Uniti rafforzeranno le sanzioni economiche nei confronti dei leader del regime e dei loro sostenitori. Imporremo un bando più esteso ai visti per i responsabili delle più gravi violazioni dei diritti umani, includendo nelle misure i loro familiari».
«Il desiderio di libertà del popolo birmano è ineludibile», ha aggiunto il presidente Usa, chiamando «l'Onu e gli altri Paesi del mondo a usare tutte le leve diplomatiche ed economiche per aiutare il popolo birmano a riconquistare la libertà».
Ma il discorso di oggi del presidente americano è stato un severo richiamo ai principi dichiarati nella carta costitutiva delle Nazioni Unite. Principi che oggi l'Onu sembra aver abbandonato, o non in grado di rendere vigenti. E' la causa principale della sua perdita di credibilità ed efficacia. Il titolo dell'intervento di Bush è emblematico: «A Mission of Liberation Around the World».
Peccato, davvero, che i radicali di Torre Argentina non se ne possano rallegrare, essendosi ormai, per inerzia e debolezza culturale, aggregati al mainstream della demonizzazione e dei pregiudizi anti-Bush. Mentre un altro presidente, etichettato come "uomo nero", sciagura per l'Europa, da Pannella & Bonino, Nicolas Sarkozy, ha avvisato che la Francia non accetterà la repressione delle manifestazioni in Birmania e annunciato che incontrerà domani a Parigi l'opposizione birmana in esilio.
Bush ha ricordato alle Nazioni Unite che «la sua prima missione è liberare i popoli dalla tirannia e dalla violenza». Ha citato i principi della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, violati e disattesi da decine degli stessi paesi membri dell'Onu. In primo luogo, le nazioni del mondo dovrebbero «lavorare insieme per fermare terroristi ed estremisti che uccidono innocenti con lo scopo di imporre la loro visione d'odio e di minacciare i popoli civilizzati con la loro ideologia». Ma anche per abbattere i «tiranni» che spesso del terrorismo sono sponsor: «Ogni nazione civile ha la responsabilità di ergersi in difesa dei popoli che soffrono sotto dittature». Quindi Bush ha citato i «regimi brutali che negano i diritti fondamentali»: non solo la Birmania, ma anche Iran, Cuba, Zimbabwe, Sudan, Bielorussia, Corea del Nord e Siria.
Bisogna poi incoraggiare e sostenere i paesi che «recentemente hanno fatto passi avanti verso la libertà» (Ucraina, Georgia, Kyrgyzistan, Mauritania, Liberia, Sierra Leone e Marocco) e i «coraggiosi cittadini di Libano, Afghanistan e Iraq, che hanno fatto la loro scelta per la democrazia e gli estremisti hanno risposto prendendoli come obiettivi di assassinio». L'Onu, ha ribadito Bush, deve rispondere «alla richiesta di aiuto che viene da questi popoli». Un riconoscimento anche ai «leader moderati palestinesi che lavorano per costruire libere istituzioni, combattere il terrorismo, rafforzare la legge e rispondere alle esigenze della popolazione».
La lotta per la libertà, ha poi continuato Bush, significa anche lotta per la libertà «dalla fame, dalle malattie, dall'ignoranza, dall'analfabetismo e dalla povertà».
All'indomani della manifestazione più grande, nonostante le reiterate minacce di repressione urlate dai megafoni dei blindati della polizia e il "consiglio di guerra" della Giunta riunito, in Birmania una nuova imponente marcia di monaci e civili è partita oggi dalla millenaria pagoda di Shwedagon. Molte le bandiere, alcune con l'immagine del pavone, utilizzata dagli studenti nella rivolta del 1988 a favore della democrazia, e le immagini di Aung San Suu Kyi, la figura simbolo del movimento democratico e premio Nobel per la Pace. Nei giorni scorsi la folla si è recata a omaggiare la leader democratica, che non è riuscita a trattenere lacrime di commozione affacciandosi al portone della casa in cui è rinchiusa da anni agli arresti domiciliari.
Il timore è che agenti provocatori infiltrati possano far scoppiare disordini per fornire alla polizia e all'esercito il pretesto per innescare la repressione. In serata le autorità hanno vietato "assemblee" con più di cinque persone e decretato il coprifuoco nelle due maggiori città. Ma i manifestanti, giunti a questo punto, non possono fermarsi, non possono spegnere loro stessi i riflettori sulla protesta, altrimenti il regime approfitterà del momento per scatenare una repressione sanguinosa. Il rischio concreto è comunque di una nuova Tienanmen. Gli organi di informazione e i governi occidentali devono far percepire la loro presenza.
Come previsto, il presidente americano George W. Bush, coerente nello schierarsi al fianco di ogni popolo in lotta per la propria libertà, ha annunciato, intervenendo all'Assemblea generale dell'Onu, ulteriori sanzioni contro la Giunta militare birmana. Ha denunciato che in Birmania le «libertà fondamentali come quelle di espressione, di assemblea e di preghiera sono severamente ridotte», che «le minoranze etniche sono perseguitate», che «lavoro forzato di minorenni, traffico di persone, stupri sono fenomeni diffusi». E ha ricordato che «il regime ha imprigionato oltre un migliaio di detenuti politici, tra cui Aung San Suu Kyi, il cui partito è stato eletto in modo schiacciante nel 1990». Per tutto questo, ha annunciato Bush, «gli Stati Uniti rafforzeranno le sanzioni economiche nei confronti dei leader del regime e dei loro sostenitori. Imporremo un bando più esteso ai visti per i responsabili delle più gravi violazioni dei diritti umani, includendo nelle misure i loro familiari».
«Il desiderio di libertà del popolo birmano è ineludibile», ha aggiunto il presidente Usa, chiamando «l'Onu e gli altri Paesi del mondo a usare tutte le leve diplomatiche ed economiche per aiutare il popolo birmano a riconquistare la libertà».
Ma il discorso di oggi del presidente americano è stato un severo richiamo ai principi dichiarati nella carta costitutiva delle Nazioni Unite. Principi che oggi l'Onu sembra aver abbandonato, o non in grado di rendere vigenti. E' la causa principale della sua perdita di credibilità ed efficacia. Il titolo dell'intervento di Bush è emblematico: «A Mission of Liberation Around the World».
Peccato, davvero, che i radicali di Torre Argentina non se ne possano rallegrare, essendosi ormai, per inerzia e debolezza culturale, aggregati al mainstream della demonizzazione e dei pregiudizi anti-Bush. Mentre un altro presidente, etichettato come "uomo nero", sciagura per l'Europa, da Pannella & Bonino, Nicolas Sarkozy, ha avvisato che la Francia non accetterà la repressione delle manifestazioni in Birmania e annunciato che incontrerà domani a Parigi l'opposizione birmana in esilio.
Bush ha ricordato alle Nazioni Unite che «la sua prima missione è liberare i popoli dalla tirannia e dalla violenza». Ha citato i principi della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, violati e disattesi da decine degli stessi paesi membri dell'Onu. In primo luogo, le nazioni del mondo dovrebbero «lavorare insieme per fermare terroristi ed estremisti che uccidono innocenti con lo scopo di imporre la loro visione d'odio e di minacciare i popoli civilizzati con la loro ideologia». Ma anche per abbattere i «tiranni» che spesso del terrorismo sono sponsor: «Ogni nazione civile ha la responsabilità di ergersi in difesa dei popoli che soffrono sotto dittature». Quindi Bush ha citato i «regimi brutali che negano i diritti fondamentali»: non solo la Birmania, ma anche Iran, Cuba, Zimbabwe, Sudan, Bielorussia, Corea del Nord e Siria.
Bisogna poi incoraggiare e sostenere i paesi che «recentemente hanno fatto passi avanti verso la libertà» (Ucraina, Georgia, Kyrgyzistan, Mauritania, Liberia, Sierra Leone e Marocco) e i «coraggiosi cittadini di Libano, Afghanistan e Iraq, che hanno fatto la loro scelta per la democrazia e gli estremisti hanno risposto prendendoli come obiettivi di assassinio». L'Onu, ha ribadito Bush, deve rispondere «alla richiesta di aiuto che viene da questi popoli». Un riconoscimento anche ai «leader moderati palestinesi che lavorano per costruire libere istituzioni, combattere il terrorismo, rafforzare la legge e rispondere alle esigenze della popolazione».
La lotta per la libertà, ha poi continuato Bush, significa anche lotta per la libertà «dalla fame, dalle malattie, dall'ignoranza, dall'analfabetismo e dalla povertà».
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