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Monday, September 24, 2007

La battaglia laica contro la partitocrazia

Corsivo di oggi per LibMagazine

Radicali, liberali, laici, socialisti della maggioranza seguiranno i movimenti dei senatori "liberaldemocratici" capeggiati da Dini? Non credo, sono troppo addormentati nel sonno "laicista". Attenzione: non ho problemi a definirmi laico o, se proprio insistono, laicista. Il problema è un altro. E' di analisi di fondo. E i radicali, i liberali, i laici, i socialisti sbagliano analisi di fondo. Non che Dini sia mosso da motivazioni ideali piuttosto che dal desiderio di guidare un governo pre-elettorale e, magari, fare da padrino al prossimo Parlamento che potrebbe portarlo al Quirinale.

Sbagliano analisi, dicevo, perché la principale battaglia di laicità oggi, quella da cui dipendono anche i rapporti tra Stato e Chiesa, è quella contro la partitocrazia e l'espansione abnorme dello Stato, che a tutti i livelli toglie spazio all'iniziativa e alla scelta individuale, a danno maggiore dei ceti meno abbienti, dei non garantiti, dei giovani.

I radicali l'hanno capito tempo addietro, ma sembrano esserselo scordato. La battaglia laica contro la partitocrazia può avere successo non tagliando immunità e auto blu (anche quello, certo), o manifestando un astioso orgoglio a Porta Pia, ma principalmente spezzando il binomio tasse-spesa pubblica, la vera e propria linfa che mantiene al potere le classi dirigenti di sinistra e di destra, che con il denaro dei contribuenti favoriscono le loro clientele (tra cui la Chiesa), e con una riforma istituzionale in senso presidenzialista e uninominale.

Una grande intuizione di Pannella il concetto di "partitocrazia", solo per poco più d'un decennio reso concreto da una politica che mirava ad aggredirne la linfa vitale. Persa un po' di vista, invece, sia negli anni '70 e nei primi anni '80, che oggi da ultimi giapponesi di Prodi. Addirittura, il documento che accompagna i 26 (o 42?) punti della campagna d'autunno radicale, alcuni certamente condivisibili e liberali, rifiuta di riconoscere la centralità della questione fiscale e statalista nella sopravvivenza della partitocrazia, di cui il deficit di laicità non è che un'escrescenza.

Dunque, per chi, radicale, liberale, laico, socialista, si trova nella maggioranza, uno spostamento come quello di Dini dovrebbe quanto meno essere di esempio, per tentare di raggiungere una posizione meno irrilevante rispetto ai futuri sviluppi nelle due coalizioni, verso uno spazio politico che c'è e che verrà occupato da chi sarà in grado di rappresentare le aspettative di libertà frustrate nell'elettorato.

Un discorso simile vale per i temerari di Decidere.net, che ad oggi sembrano aver troppo repentinamente e scontatamente scavallato l'incerto e fumoso confine tra sinistra e destra, rischiando così di risultare non più interlocutori della prima e già acquisiti dalla seconda.

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