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Thursday, September 13, 2007

Università. Privatizzare è l'unica via per qualità ed equità

Rispetto allo scandalo dei test di ammissione alla Facoltà di Medicina di Bari truccati, il riflesso del ministro Mussi e, purtroppo, di molte liste partitiche di studenti universitari (di destra e di sinistra) è stato quello di chiedere l'abolizione del numero chiuso.

Carlo Lottieri, invece, su Il Tempo, rilancia l'unico rimedio praticabile nei confronti di «questo pezzo di para-Stato che giorno dopo giorno decade sempre più». Poiché «le ragioni del disastro sono evidenti e possono essere riassunte nel fatto che l'università italiana è un universo "fuori mercato"», bisogna privatizzare, privatizzare, privatizzare.
«Si diventa docenti grazie a un concorso pubblico e da quel momento in poi non si corre più il minimo rischio di perdere il posto. Per giunta, all'origine delle progressioni di carriera non vi è la qualità dell'insegnamento e della ricerca, ma un barocco sistema di alleanze e accordi tra "baroni" della disciplina... È necessario che quanti lavorano in università siano motivati a mettersi al servizio degli studenti, che oggi contano ben poco e non di rado si accontentano di un ruolo marginale negli organismi elettivi... In un quadro di università private e in concorrenza, nessuno venderebbe la possibilità di accedere a questa o quella facoltà, perché il prestigio delle diverse facoltà poggerebbe proprio sulla serietà dei corsi, sulla qualità di docenti e studenti, sull'efficacia dei percorsi formativi. In America, dove il sistema universitario ha una componente privata rilevante, le università fanno tutto il possibile per attrarre candidati brillanti e intelligenti. Così, se si venisse a sapere che a Harvard qualcuno ha venduto l'accesso ai suoi insegnamenti, l'intero prestigio di quell'istituzione ne risentirebbe (e i danni sarebbero incalcolabili)».
Tuttavia, liberalizzare l'università, avverte giustamente Lottieri, non basta. Occorre allo stesso tempo liberalizzare l'intera società. «È assurdo... che oggi il numero chiuso venga usato per limitare l'accesso a questa o quella professione particolarmente redditizia...». Se, infatti, è «molto ragionevole che un'università introduca il "numero chiuso" e cerchi di selezionare i migliori studenti, è però egualmente vero che si deve permettere a chiunque voglia aprire una facoltà di odontoiatria di farlo, perché diversamente siamo di fronte ad un sistema che usa i test d'accesso solo per difendere i redditi di una corporazione».

Un'università statale, burocratica e corrotta è comunque preferibile ad una università privata, aperta solo ai "ricchi"? E' discutibile, ma è falso «che un sistema d'alta istruzione sottratto al monopolio pubblico (perché, in Italia, università autenticamente private in realtà non ce ne sono) negherebbe spazio a chi è senza soldi». Già oggi l'università pubblica ha dei costi esorbitanti anche se non percepiti, perché ricadono su tutti i contribuenti, di ogni reddito.

Inoltre, la sua inefficienza e la scarsa qualità dell'insegnamento non ripagano dell'investimento iniziale (in termini, per esempio, di primo impiego), soprattutto i ragazzi meno abbienti. In secondo luogo, liberando risorse statali gettate a piogga su istituti improduttivi si possono immaginare ampi programmi per aiutare i meritevoli e bisognosi con borse di studio e prestiti d'onore.

2 comments:

Anonymous said...

Ho sentito ragazzi intervistati all'uscita dei test d'ammissione che si lamentavano perché "...per essere un bravo cardiochirurgo non serve apere il motto dell'Unione Europea o la capitale dell'Equador!" Vero. Per essere un bravo cardiochirurgo non serve questo, serve laurearsi con ottimi voti in una Università che gode di fama e rispetto. Ma se io ho un numero finito N di posti per le matricole... come le seleziono? Biondi con gli occhi azzurri? O con un reddito familiare di almeno 200.000€? Amici del Rettore? No? Un test di cultura generale mi sembra una soluzione plausibile. Se cìè di meglio...

Anonymous said...

La madre di tutte le battaglie, che Lottieri non ha nominato, ma certo sottointende, è l'abolizione del valore legale del titolo di studio, antica battaglia enaudiana e oggi quanto mai imprescindibile. Tematica fino a poco tempo fa biascicata pure dai Radicali Italiani, in alternativa al suo esatto contrario , e cioè al famoso " Scuola pubblica, scuola pubblica,scuola pubblica!" con cui il socialista Intini condiva i propri comizi elettorali la scorsa primavera.
Ma si sa, la Rosa nel Pugno era ( uso l'imperfetto, perchè non sono un burlone come il venditore di tappeti Pannella)solo un cartello elettorale, imbastito pure male e spacciato per progetto politico, dove due debolezze, Marco e Boselli, cercavano di fregarsi a vicenda. Un "progetto" dove scuola pubblica e ab del valore leg del titolo di studio coesistevano con disinvoltura, bastava non parlarne ( e infatti il silenzio è d'oro, le Poretti o i pistoleri come D'Elia si occupano di presepi gay e alltre facezie) , e dove le idee fiscali di Antonio Martino ben si sposano con quelle di un invertebrato keynesiano come TPS o addirittura con quelle di un Visco. Non c'è problema per Pannella, lui vola altissimo e preferisce parlare d'altro, ad es. di quanto sia inconcludente e assenteista Capezzone, o fare comunella con la sua protesi, la scarsamente intelligente Emma Bonino.

L'istituto scolastico, quindi non solo l'università, non deve rilasciare pezzi di carta in forza del timbro di Cesare o, se preferite, in nome dello stato italiano, ma trasmettere conoscenze e competenze. Naturalmente l'autonomia dell'istituto deve essere finanziaria innanzitutto, o non è. Perchè chi paga compra, e se paga lo Stato si ha un privato di parastato. Del resto in un certo senso esiste già, perchè se uno esce con 105 dalla Bocconi verrà assunto prima di uno che ha ottenuto il 110 e lode all'università di Capracotta.Il mercato queste cose le sa già.

Un pensierino sull'innalzamento dell'obbligo scolastico a 16 anni: anche qui la peggiore ideologia statalista e social-sindacalcomunista si sposa alla "roba" di ernestorossiana memoria e al clientelismo, esattamente come è successo nel 1990, sotto il gov Andreotti, con l'abolizione della figura del maestro unico alle elementari, straordinaria figura di riferimento anche pedagogico e la sua sostituzione col il modulo dei tre insegnanti, poi lievitato a 4-5 o giù di lì. Se uno non intende studiare, dargli un pezzo di carta a 16 anzichè a 14 non lo renderà certo più sapiente,ma gli farà solo farà perdere due anni per l'ingresso nel mondo del lavoro, in compenso farà contenti i sindacati tipo Cobas o roba del genere e le loro orde di precari demotivati e stanchi.
Distrutta la scuola elementare, distrutte le medie, per ultimo il liceo, mentre l'università lo è da tempo. Sono i frutti dell'infame egemonia partitica e sindacale nella vita civile di questo disgraziato paese.