Abbiamo un ministro degli Esteri che ricorda Arafat. Per carità, non per i crimini commessi, ma per la doppiezza del suo linguaggio. Un giorno dichiara che Hamas «è anche un movimento popolare... è una forza reale che rappresenta tanta parte del popolo palestinese...»; fa intendere che sia stato un errore dell'Occidente non riconoscere il governo di Hamas, in fin dei conti «eletto democraticamente», e che sarebbe interesse della comunità internazionale dialogarci, per «evitare di spingere questi movimenti nelle braccia di al Qaeda».
Il giorno successivo assicura che «l'Italia è pienamente d'accordo con l'Unione europea di non avere negoziati con Hamas». Eppure, il fatto stesso che durante la sua visita di questi giorni in Medio Oriente abbia dovuto precisare «siamo qui a incontrare Abu Mazen e il premier Fayyad, non Hamas» la dice lunga sull'ambiguità in cui si mantiene l'Italia nel complicato intreccio mediorientale. Passeggiate a braccetto con dirigenti di Hezbollah e appoggio al Governo Siniora. «Sosteniamo Abu Mazen», assicura D'Alema incontrando il presidente dell'Anp, non rinunciando però a lanciare per tutto l'anno segnali favorevoli a un coinvolgimento di Hamas, ben supportato dal presidente del Consiglio Prodi, che qualche settimana fa osservava: Hamas «esiste», va aiutato ad «evolversi», è «indispensabile un dialogo trasparente con tutti».
Un filo sottilissimo che può anche non spezzarsi, ma certo non ci rende affidabili prima di tutto di fronte ai nostri partner occidentali. «Il problema non è quello di un negoziato fra l'Ue ed Hamas, ma di incoraggiare la leadership palestinese ad avviare la riconciliazione», spiega oggi D'Alema. Ma ci sono i termini per una riconciliazione, oppure Hamas intende portare avanti fino in fondo la sua guerra? I razzi continuano a piovere da Gaza, controllata da Hamas dopo il golpe del luglio scorso, verso le città israeliane. In particolare, è sotto tiro la cittadina di Sderot, i cui asili e scuole elementari sono presi di mira dai missili Qassam lanciati dai terroristi palestinesi.
Il problema è che per D'Alema, stando alle sue parole di questi giorni, il presupposto di quella «riconciliazione» è il rispetto di un generico concetto di «legalità» da parte di Hamas, che sembrerebbe non includere le condizioni del riconoscimento di Israele e degli accordi con lo Stato ebraico.
Nel ragionamento del nostro ministro degli Esteri c'è un errore logico: «E' sbagliato regalare ad Al Qaeda movimenti come Hamas e Hezbollah», ripete. Ma Hamas e Hezbollah non hanno bisogno di «diventare» come Al Qaeda, lo sono già di loro natura, fin dalla loro origine. Anzi, sono peggiori di Al Qaeda, per alcuni aspetti più pericolosi, perché hanno come sponsor il regime siriano e gli ayatollah iraniani, che cercano l'egemonia regionale e la distruzione di Israele.
Qualsiasi apertura ai fondamentalisti di Hamas, proprio mentre Israele sta tessendo un esile filo di trattativa con il «moderato» Mahmoud Abbas, lungi dal facilitare la «riconciliazione» di cui D'Alema si riempie la bocca, indebolisce l'autorità del presidente palestinese e quindi l'intero processo di pace, perché illude i leader di Hamas di poter convincere prima o poi i paesi europei a legittimarli.
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un saluto ;)
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