Sarà l'Europa a costringerci a liberalizzare il settore dell'energia? C'è da dubitarne, stando a come è stata accolta la proposta della Commissione Ue per la separazione proprietaria effettiva tra l'attività di produzione e quella di trasporto di gas ed elettricità. Sperazione che dovrebbe riguardare tutti gli attori: società pubbliche e private, europee e non europee, che intendano operare nell'Unione. Due le opzioni per realizzare l'unbundling: separazione patrimoniale con la scissione del gruppo in due parti distinte, oppure il mantenimento della nuda proprietà accompagnato però dall'affidamento della gestione della rete a un operatore indipendente, sotto il controllo delle Autorità regolamentari nazionali, indipendenti e con poteri rafforzati.
Né vengono risparmiati i paesi terzi: la Russia di Gazprom come l'Algeria di Sonatrach, per intendersi. Anche ad essi la Commissione vuole che siano applicate esattamente le stesse regole: per poter comprare partecipazioni più o meno consistenti nelle reti di trasporto dell'energia dovranno quindi ottenere una certificazione ad hoc, dimostrando di essere a tutti gli effetti "unbundled", cioè di non cumulare attività di produzione e trasporto di energia. Questi i punti salienti del terzo pacchetto per la liberalizzazione e integrazione del mercato europeo dell'energia presentato ieri a Bruxelles dal presidente della Commissione José Barroso insieme a Andris Piebalgs e Neelie Kroes, responsabili rispettivamente all'Energia e alla Concorrenza.
Fonte: Il Sole 24 Ore
Ma che probabilità ci sono che la proposta divenga normativa? Scarse. Francia e Germania sono contrari per proteggere i loro presunti campioni nazionali, così come l'Italia dell'Eni. Per non parlare della Russia, da cui sono già giunte minacce di ritorsioni. Vedete, non sembra, nessuno farà questo "link", ma una questione del genere va a toccare il tasto dolente di cosa vuole essere l'Europa, e della sua riforma costituzionale, del rapporto tra i vari poteri. La proposta della Commissione Ue presuppone un'"altra" Europa rispetto a quella che abbiamo oggi.
Cosa vogliamo che sia, in ultima analisi, la Commissione Ue? Un Governo europeo? Allora occorre che venga eletta direttamente dai cittadini europei e che i governi nazionali facciano molti passi indietro. Oppure, solo il braccio amministrativo dei governi nazionali? Allora proposte simili sono del tutto velleitarie. E' la differenza che passa tra un'Europa federale (nel primo caso) e intergovernativa (nel secondo).
Sempre sul Sole 24 Ore troviamo una lucida analisi di Innocenzo Cipolletta. Perché, si chiede, l'Europa non cresce, nonostante ve ne siano le condizioni? «L'Europa dovrebbe essere la molla della crescita mondiale, con consumi elevati e una forte domanda di investimenti, entrambi stimolati dall'innovazione tecnologica, che impone un forte ricambio dei beni disponibili e induce a nuove infrastrutture». Potrebbe - dovrebbe - essere questo il nuovo ruolo dell'Europa nell'economia globale.
«Perché non avviene? Perché in Europa la domanda interna langue e non produce stimoli ai nuovi consumi e ai nuovi investimenti?». L'Europa, osserva Cipolletta, è «l'area caratterizzata dal più elevato tasso di risparmio delle famiglie, a cui si confronta un disavanzo pubblico che lo compensa in larga misura: qui sta la chiave della malattia europea. Una larga parte della domanda interna europea non è decisa dagli individui (famiglie e imprese) con meccanismi di mercato, ma è intermediata dallo Stato (centrale o locale), che finisce per ostacolare modifiche nella struttura dei consumi e degli investimenti, a causa di strutture di offerta, pubbliche o private, ma con una larga influenza sulla politica, che ormai sono cristallizzate nel tempo. Basti pensare ai vasti settori dell'istruzione, della sanità, della distribuzione dell'energia, dei trasporti, fino all'agricoltura...»
I singoli paesi europei continuano a credere in uno sviluppo «trainato dalle esportazioni» in un mondo in cui il loro ruolo «è fondamentalmente cambiato... Per mantenere questo modello, finiscono per proteggere i loro (presunti) campioni nazionali, caricando oneri sui consumatori. Così facendo, deprimono la domanda interna e la cristallizzano in vecchi modelli, facendo venir meno quella spinta all'innovazione e alla crescita che potrebbe assicurare all'Europa un futuro più autonomo e realmente più competitivo, nel senso di capacità di anticipare consumi e tecnologie che sono trainati non tanto da generici investimenti in ricerca, quanto dalla libertà della domanda interna che indirizza e premia le innovazioni».
Da sottoscrivere.
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Parole sante.
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