Dovrà dimostrare la concretezza e la fermezza della Thatcher
Sarkozy è ancora il presidente della "rupture"? Si può cominciare a tracciare un primo bilancio della sua presidenza? Crediamo che sia ancora troppo presto, ma una delle regole ferree della politica ci dice che un progetto riformatore o per lo meno comincia a dispiegarsi nel primo anno di governo, oppure è molto alta la possibilità che abortisca e non veda mai la luce neanche negli anni successivi. Dall'autunno ormai alle porte il presidente francese dovrà dimostrare di non possedere doti di leadership solo in campagna elettorale, ma di essere un capace uomo di governo e un abile politico. Passare dal "decisionismo" alle decisioni, delle "grandi" riforme annunciate a quelle fatte.
«Sono stato eletto per risolvere i problemi, non per chiacchierare su questi ultimi!», ha dichiarato in una lunga intervista radiotelevisiva a reti unificate. Sarkozy in questi mesi non ha fatto passare giorno senza che fosse annunciata una «grande» riforma. Finora l'unico progetto di legge di rilievo presentato dal nuovo governo guidato da Fillon è la defiscalizzazione senza limiti degli straordinari. Tra le riforme annunciate il taglio delle tasse, l'abolizione delle 35 ore lavorative, nuove regole per un'immigrazione che sia «scelta» invece che «subita», la riforma della scuola.
Ma in Francia, come in Italia, i nodi in grado di infiammare lo scontro politico sono pensioni e mercato del lavoro, l'eccessivo peso dello Stato e la mancanza di meritocrazia. Su questi fronti Sarkozy ha preso impegni precisi sui quali verranno misurati il suo valore e la reale consistenza della sua "rupture". Se vuole tener fede a quegli impegni dovrà essere disposto a scendere in trincea. Dimostrarsi un grande "motivatore", sia nei confronti della sua squadra e della sua maggioranza, sia nei confronti del paese. Non sottrarsi allo scontro con le forze sociali e politiche della conservazione, sapendo però, di fronte all'opinione pubblica motivare le sue scelte con obiettivi nell'interesse generale.
Sarkozy ha annunciato di voler «ricostruire da zero la funzione pubblica, rifondare lo Stato». Fino ad oggi la pubblica amministrazione ha giocato un ruolo di «ostacolo al cambiamento», ma «il malessere è ovunque», «lo Stato non cessa di estendersi per diventare tentacolare». Occorre quindi un «nuovo patto tra funzionari e cittadini», una «rivoluzione culturale», ha annunciato. Intenzioni bellicose. Lo aspettano mesi caldissimi di scontro con i sindacati del settore e la lobby burocratica, in Francia forse più potenti che da noi.
Meno impiegati, meglio pagati e con migliori prospettive di carriera, ma secondo merito e con più mobilità tra le diverse strutture. L'obiettivo è di introdurre la «cultura del risultato» anche nell'apparato dello Stato, uscendo «dall'approccio ugualitarista e anonimo» dell'avanzamento di carriera uguale per tutti indipendentemente dai risultati.
Dunque, stipendio sulla base del merito invece che dell'anzianità, valutazioni non più affidate ai sindacati, formazione continua, ma – soprattutto – «l'individualizzazione della remunerazione per tenere conto delle capacità e dei risultati» e la libertà per ogni nuovo assunto di scegliere «tra lo statuto di funzionario e un contratto di diritto privato negoziato individualmente». Insomma, l'inizio della fine della contrattazione collettiva.
Flessibilità in uscita nel mercato del lavoro. Il progetto prevede l'unificazione dei contratti: un contratto a tempo indeterminato sin dall'inizio, ma con tutele progressive, cioè la possibilità per il datore di lavoro di licenziare il lavoratore nei primi tempi.
Sarkozy vuole anche porre fine all'eccezione costituita dai regimi pensionistici speciali, per i quali l'età pensionabile è fissata a 55 anni. Si tratta di trasporti pubblici urbani, ferrovie, gas, elettricità e così via. E' disponibile a discutere il "come" – scale, scaloni e scalini – ma sull'obiettivo non è disposto a transigere.
Rispetto al nostro Paese, il presidente francese ha a suo vantaggio un'eccezionale maggioranza politica, ampi poteri presidenziali, e una profonda crisi della sinistra. Ma non meno che nel nostro Paese, in Francia chi sente messi in discussione i suoi privilegi e diritti acquisiti è pronto a insorgere e ad alzare barricate, anche non solo metaforicamente. E gioco-forza, dalla riforma del pubblico impiego all'abolizione delle 35 ore, dalla fine delle baby-pensioni al contratto unico di inserimento, vengono aggredite le rendite di posizione di quelle categorie in grado di mettere letteralmente in ginocchio la Francia.
Bisogna vedere come Sarkozy reagirà all'autunno caldo e al fisiologico calo di popolarità che lo attende. Perché la prospettiva di un cambiamento attira sempre facili consensi, ma quando si vanno a toccare le ferite aperte il paziente si ribella, impreca, si divincola. La sfida da raccogliere per un vero leader politico, in fin dei conti, è sempre saper rischiare una certa impopolarità per non essere anti-popolare. Auguriamoci che Sarkozy questa sfida la accetti e che la vinca. Per la Francia, per l'Europa, ma anche un po' per noi: chissà che non ci venga il coraggio politico che non abbiamo.
Sarkozy è ancora il presidente della "rupture"? Si può cominciare a tracciare un primo bilancio della sua presidenza? Crediamo che sia ancora troppo presto, ma una delle regole ferree della politica ci dice che un progetto riformatore o per lo meno comincia a dispiegarsi nel primo anno di governo, oppure è molto alta la possibilità che abortisca e non veda mai la luce neanche negli anni successivi. Dall'autunno ormai alle porte il presidente francese dovrà dimostrare di non possedere doti di leadership solo in campagna elettorale, ma di essere un capace uomo di governo e un abile politico. Passare dal "decisionismo" alle decisioni, delle "grandi" riforme annunciate a quelle fatte.
«Sono stato eletto per risolvere i problemi, non per chiacchierare su questi ultimi!», ha dichiarato in una lunga intervista radiotelevisiva a reti unificate. Sarkozy in questi mesi non ha fatto passare giorno senza che fosse annunciata una «grande» riforma. Finora l'unico progetto di legge di rilievo presentato dal nuovo governo guidato da Fillon è la defiscalizzazione senza limiti degli straordinari. Tra le riforme annunciate il taglio delle tasse, l'abolizione delle 35 ore lavorative, nuove regole per un'immigrazione che sia «scelta» invece che «subita», la riforma della scuola.
Ma in Francia, come in Italia, i nodi in grado di infiammare lo scontro politico sono pensioni e mercato del lavoro, l'eccessivo peso dello Stato e la mancanza di meritocrazia. Su questi fronti Sarkozy ha preso impegni precisi sui quali verranno misurati il suo valore e la reale consistenza della sua "rupture". Se vuole tener fede a quegli impegni dovrà essere disposto a scendere in trincea. Dimostrarsi un grande "motivatore", sia nei confronti della sua squadra e della sua maggioranza, sia nei confronti del paese. Non sottrarsi allo scontro con le forze sociali e politiche della conservazione, sapendo però, di fronte all'opinione pubblica motivare le sue scelte con obiettivi nell'interesse generale.
Sarkozy ha annunciato di voler «ricostruire da zero la funzione pubblica, rifondare lo Stato». Fino ad oggi la pubblica amministrazione ha giocato un ruolo di «ostacolo al cambiamento», ma «il malessere è ovunque», «lo Stato non cessa di estendersi per diventare tentacolare». Occorre quindi un «nuovo patto tra funzionari e cittadini», una «rivoluzione culturale», ha annunciato. Intenzioni bellicose. Lo aspettano mesi caldissimi di scontro con i sindacati del settore e la lobby burocratica, in Francia forse più potenti che da noi.
Meno impiegati, meglio pagati e con migliori prospettive di carriera, ma secondo merito e con più mobilità tra le diverse strutture. L'obiettivo è di introdurre la «cultura del risultato» anche nell'apparato dello Stato, uscendo «dall'approccio ugualitarista e anonimo» dell'avanzamento di carriera uguale per tutti indipendentemente dai risultati.
Dunque, stipendio sulla base del merito invece che dell'anzianità, valutazioni non più affidate ai sindacati, formazione continua, ma – soprattutto – «l'individualizzazione della remunerazione per tenere conto delle capacità e dei risultati» e la libertà per ogni nuovo assunto di scegliere «tra lo statuto di funzionario e un contratto di diritto privato negoziato individualmente». Insomma, l'inizio della fine della contrattazione collettiva.
Flessibilità in uscita nel mercato del lavoro. Il progetto prevede l'unificazione dei contratti: un contratto a tempo indeterminato sin dall'inizio, ma con tutele progressive, cioè la possibilità per il datore di lavoro di licenziare il lavoratore nei primi tempi.
Sarkozy vuole anche porre fine all'eccezione costituita dai regimi pensionistici speciali, per i quali l'età pensionabile è fissata a 55 anni. Si tratta di trasporti pubblici urbani, ferrovie, gas, elettricità e così via. E' disponibile a discutere il "come" – scale, scaloni e scalini – ma sull'obiettivo non è disposto a transigere.
Rispetto al nostro Paese, il presidente francese ha a suo vantaggio un'eccezionale maggioranza politica, ampi poteri presidenziali, e una profonda crisi della sinistra. Ma non meno che nel nostro Paese, in Francia chi sente messi in discussione i suoi privilegi e diritti acquisiti è pronto a insorgere e ad alzare barricate, anche non solo metaforicamente. E gioco-forza, dalla riforma del pubblico impiego all'abolizione delle 35 ore, dalla fine delle baby-pensioni al contratto unico di inserimento, vengono aggredite le rendite di posizione di quelle categorie in grado di mettere letteralmente in ginocchio la Francia.
Bisogna vedere come Sarkozy reagirà all'autunno caldo e al fisiologico calo di popolarità che lo attende. Perché la prospettiva di un cambiamento attira sempre facili consensi, ma quando si vanno a toccare le ferite aperte il paziente si ribella, impreca, si divincola. La sfida da raccogliere per un vero leader politico, in fin dei conti, è sempre saper rischiare una certa impopolarità per non essere anti-popolare. Auguriamoci che Sarkozy questa sfida la accetti e che la vinca. Per la Francia, per l'Europa, ma anche un po' per noi: chissà che non ci venga il coraggio politico che non abbiamo.
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