«L'America è sopravvissuta a una classe politica inetta nel passato, e sopravviverà di nuovo dopo questa settimana... L'elite di Washington si è meritata tutto il disprezzo che gli americani nutrono per essa».La responsabilità principale è del partito di maggioranza, cioè dei Democratici, e della presidente Nancy Pelosi, che con il discorso fazioso invece che bipartisan avrebbe convinto molti deputati della minoranza rapubblicana a votare contro il piano di salvataggio. E c'è chi dice che la Pelosi abbia intenzionalmente affossato il disegno di legge sapendo che la bocciatura avrebbe danneggiato McCain. «Considerando la sua carriera capiamo perché sarebbe credibile una cosa simile». Ma ciò non giustifica il "no" da parte di 133 deputati repubblicani.
Molti deputati repubblicani votando "no" hanno certamente inteso rappresentare gli umori del proprio elettorato, sapendo che tra pochi giorni molti di loro saranno chiamati a giocarsi la rielezione nei loro collegi e 700 miliardi di dollari non sono bruscolini per i contribuenti americani. Un comportamento generalmente biasimato, ancor più in queste ore drammatiche da quanti fanno appello al "senso di responsabilità" del Congresso, dall'amministrazione Bush alla Commissione europea passando per lo stesso WSJ.
Ma nel temere per la propria rielezione e agire di conseguenza quei deputati sono davvero venuti meno alle loro responsabilità? A quale responsabilità sono venuti meno? Certamente alla responsabilità nei confronti di un astratto interesse nazionale, che in questo caso coinciderebbe con il salvataggio pubblico del sistema finanziario, e per giunta attraverso lo specifico piano presentato da Paulson. Ma non sono venuti meno alla responsabilità nei confronti degli elettori che rappresentano. Giudicate voi quale delle due responsabilità sia più cogente e coerente con la loro funzione.
Ma potrebbero aver avuto un certo seguito anche i 44 economisti che avevano inviato al Congresso una lettera aperta contro il piano di acquisto degli asset "tossici" delle banche da parte del Tesoro Usa, perché costituirebbe una «minaccia significativa per i contribuenti senza affrontare i problemi fondamentali» del sistema finanziario. «Molti dei problemi del mercato oggi - spiegano gli economisti in questa lettera - sono il risultato di passate politiche governative (soprattutto nel settore immobiliare) esacerbate da una dissoluta politica monetaria». Questa lettera fa parte delle iniziative di FreedomWorks, l'organizzazione del congressman Dick Armey che ha lanciato un appello al Congresso perché bocciasse il piano Paulson. Qui 10 ragioni per dire "no" e le motivazioni di Dick Armey.
Ma sul banco degli imputati allestito dal WSJ figura anche Paulson per la sua arroganza: «Non puoi chiedere al Congresso 700 miliardi senza modestia e una migliore spiegazione di come saranno usati». A questo punto, sostiene il WSJ, una recessione sembra inevitabile, «ma il punto è impedire un collasso del sistema finanziario».
Di sicuro la crisi finanziaria ha ridefinito la corsa presidenziale. Lo scrive, su The Politico, Mark Penn, ex consigliere dei Clinton (sia di Bill che di Hillary).
«La campagna non verte più sul cambiamento, sull'esperienza, sull'Iraq, sui tagli fiscali o il servizio sanitario universale. Gli elettori sempre più voteranno sull'economia invece che sulla sicurezza nazionale o sui valori sociali».Ciò non favorisce John McCain, che pure sembra l'uomo con l'adeguata esperienza nel mezzo di una crisi.
«Innanzitutto perché la sua performance è parsa incerta piuttosto che ferma; poi, perché il genere di persone che diventiamo in una crisi economica è diverso dal genere di persone che siamo in un momento critico per la sicurezza nazionale. Durante una crisi economica gli elettori cercano le sfumature e la collaborazione reciproca, il compromesso piuttosto che gli assoluti morali».E le soluzioni di McCain, come il taglio della spesa pubblica, sono popolari ma non sembrano un piano complessivo per correggere l'economia. Nonostante come trattare con l'Iran o con la Russia siano questioni molto serie, nessuno adesso sembra interessato a questi temi. «Senza ulteriori cambiamenti di gioco, queste elezioni saranno un referendum sulla leadership economica», conclude Penn.
Che la crisi non favorisca McCain semberebbero confermarlo anche i sondaggi, come osserva Jay Cost:
«Prima dell'inizio della convention democratica, Obama conduceva con una media di 45,5% a 43,9%. A giugno con una media di 47,1% a 42,4%. Quindi, da giugno alla vigilia delle convention McCain ha ridotto il vantaggio di Obama da 4,5 punti a 1,6. Dopo la convention repubblicana era addirittura passato in vantaggio, ma i recenti eventi hanno spazzato via questo vantaggio e adesso la corsa è tornata quasi ai livelli di giugno».Dunque, non il primo duello tv, dove McCain si è ben comportato, ma la crisi finanziaria e politica lo danneggia nei sondaggi. A meno che il "maverick" non s'inventi qualcosa...