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Saturday, February 17, 2007

Il vestito a taglia unica di Stato sta sempre più stretto

Che splendidi liberal-conservatori Ostellino e Martino. Nel senso migliore del termine, non come quel reazionario di Pera.

«Che cosa sono i Dico?». Se lo chiede Piero Ostellino oggi nella sua column sul Corriere.
«Per un liberale, sono un'intrusione dello Stato negli affari privati degli Individui. Sono un'ulteriore manifestazione della vocazione collettivista, comunitaria, antindividualista della cultura politica nazionale che ha le sue radici nella stessa Costituzione della Repubblica. Sono la prova che i cittadini sono sempre percepiti come "comunità" invece che come singoli Individui. Sono la testimonianza dell'incapacità di una parte della classe politica di riconoscere il pluralismo, la soggettività, la diversità dei casi della vita. Sono la sua inclinazione a ridurre pluralismo, soggettività, diversità a omogeneità e a omologazione. I Dico non sono un allargamento degli ambiti di libertà. Sono piuttosto il misconoscimento dell'autonoma libertà di scelta individuale in nome del populismo e del paternalismo di Stato».
E così Antonio Martino, su Libero, al quale si associa Ostellino:
«Non vedo proprio perché tutti i casi possibili di non matrimonio debbano essere regolamentati per legge... Ritengo che queste situazioni, tutte quelle possibili e che non ricadono certo sotto un'unica fattispecie, debbano essere affidate a quello che è uno dei principi fondamentali del liberalismo, la libertà di contratto... Se si seguisse questo elementare principio di civiltà liberale, sono certo che le regole adottate dai conviventi sarebbero molto diverse a seconda dei casi. Perché, invece, abbiamo la luciferina presunzione di imporre a tutti un vestito della stessa taglia? Perché non lasciamo che a decidere in base a quali regole convivere siano gli stessi interessati, che conoscono meglio di chiunque altro cosa sia meglio adottare nel loro interesse? (...) Se due adulti consenzienti vogliono stipulare un contratto su qualcosa che riguarda soltanto loro, che diritto ha lo Stato di impedirglielo? Solo nel caso in cui un accordo ha implicazioni per soggetti terzi esiste, in generale, lo spazio per una disciplina legislativa».
«Così parla un liberale», conclude Ostellino: «... la moltiplicazione dei diritti si risolve, sul lato dell'autonomia individuale, nell'arbitraria estensione del potere regolatore dello Stato e, su quello sociale, in un costoso allargamento del welfare a nuovi soggetti, con aggravio per la finanza pubblica».

Direi ineccepibili parole, ma a parlare sono liberal-conservatori. Sarei pronto a sottoscriverle, ma come si fa - chiedo - a non vedere che prim'ancora che nei Dico sta nell'istituto del matrimonio civile la «luciferina presunzione di imporre a tutti un vestito della stessa taglia»? E a non vedere che è quella "taglia unica" che oggi sta stretta sempre a più cittadini? Perché Ostellino e Martino non chiedono che lo Stato faccia un passo indietro dagli affari di famiglia e lasci agli interessati piena libertà contrattuale anche nel matrimonio?

In che misura il loro - nell'escludere il matrimonio, come istituto riconosciuto e regolato dallo Stato, dal loro ragionamento - può essere definito un riflesso conservatore? Come risolverebbero, da liberali, il problema delle coppie omosessuali, che a differenza di quelle etero non potrebbero neanche contrarre matrimonio? Non vedono alcuna discriminazione in questo?

Se i matrimoni sono in calo e le coppie che scelgono la convivenza aumentano esponenzialmente, forse l'istituto giuridico "matrimonio", con il progressivo mutare della società, è divenuto troppo rigido, o comunque è percepito come tale. Il problema sorge proprio dal fatto che già oggi viene imposto a tutti «un vestito della stessa taglia»! Non i Dico, ma il matrimonio tradizionale. Ed è comprensibile che le nuove coppie di conviventi si sentano discriminate e reclamino di essere riconosciute. Esercitano la libertà contrattuale invocata da Ostellino e Martino, rinnovandola quotidianamente, ma per lo Stato quei contratti non valgono nulla rispetto al "vestito a taglia unica" del matrimonio civile. Dunque, con quell'istituto «l'intrusione dello Stato negli affari privati degli Individui» è già una realtà. E' quell'intervento il "peccato originale", la fonte delle discriminazioni a cui oggi si chiede di porre rimedio.

Ed è la concezione assistenziale di un welfare rivolto alle categorie e non ai singoli individui in difficoltà che come discriminazione "in positivo" finisce per creare conflitti anziché risolverli.

Quel vestito sta stretto a sempre più cittadini nella nostra società di oggi. Dunque, o se ne creano di taglie diverse, o si permette a ciascuno di farselo su misura, senza una taglia unica di Stato. Si tratterebbe di "privatizzare" il matrimonio e ogni forma di convivenza, come sostengo nel mio articolo «Pacs, un approccio libertario», pubblicato su LibMagazine, e come spiegava Stefano Magni alcune settimane fa su L'Opinione.

4 comments:

Anonymous said...

E che dire del mezzo appoggio del volenteroso Giavazzi al manifestone del PD?
Sarà che di fregature ne ho già prese parecchie e ne vedo ogni giorno di più, ma io non ce la faccio proprio a credere alle promesse degli attuali e futuri "democratici" di quel partiton-partitin in fieri...

Preferisco di gran lunga i Martino e gli Ostellino con tutti loro limiti che da liberale non ideologico e pragmatico ammetto ed accetto volentieri.
Non è più tempo di guru, nè radicali nè de sinistra, ma solo di uomini liberi... il più possibile, perchè solo uomini.

Anonymous said...

offtopic: se ti è possibile e ti va mi piacerebbe leggere una tua riflessione su questo tema ri-sollevato in questa ultima versione da G.B.Guerri: http://www.brunoleoni.it/nextpage.
aspx?codice=4781

E grazie fin d'ora.

Anonymous said...

Ma tra un Berluska che prima di entrare direttamente in politica è stato vicinissimo a quel gestore dello Stato che gli ha permesso di ottenere vantaggi e privilegi e che poi una volta sceso direttamente in campo ha usato il potere per farsi gli affari suoi, tra un Berluska così ed un Prodi che ha sempre fatto i propri affari in completa contiguità e comunanza con il mondo politico più affarista e corrotto della prima repubblica e che poi tornato personalmente al potere continua impunemente ad organizzare i propri affari nello Stato e con lo Stato, tra un Berluska ed un Prodi così...

Beh, in fin dei conti, meglio un Berluska che almeno sa non prendersi sul serio e per i suoi affari non schiaccia direttamente tutti noialtri visto che la sua portata è sostanzialmente personale, mentre il Prodi deve per forza di cose schiacciare tutti noialtri con lo strapotere dello Stato pervasivo e delle lobby economico-finanziarie cui è collegato.

Anonymous said...

Le batoste fiscali sulla casa minano le fondamenta della famiglia
di Carlo Lottieri - IBL

L’ultimo mese è stato caratterizzato da animate discussioni sulla famiglia, soprattutto a seguito della decisione contestata governativa di regolare per legge nuove forme di convivenza. E anche se tutti si dicono convinti dell’importanza di proteggere l’istituto familiare, è raro però che alle dichiarazioni astratte facciano seguito comportamenti conseguenti. In particolare, ben pochi paiono consapevoli del fatto che la famiglia ha perso spazio soprattutto a causa dell’espansione dello Stato sociale.
Fiscalismo, spesa pubblica e regolamentazione ampliano la sfera della politica a scapito di quella dell’individuo e della famiglia. Basti pensare alle politiche sulla casa, sottoposta a salassi crescenti. Eppure dovrebbe essere chiaro a tutti, ad esempio, che non si può dare ai giovani la possibilità di sposarsi e avere figli se le abitazioni hanno prezzo proibitivi per l’esosità dell’erario e l’irrazionalità delle norme in materia urbanistica.
Il regime fiscale degli immobili sta per conoscere un inasprimento su più fronti. In primo luogo, l’agenzia dell’Entrate ha attribuito nuovi poteri ai funzionari incaricati di verificare i valori dichiarati nelle compravendite. La conseguenza è che se già ieri quanti compravano casa doveva versare una somma rilevante allo Stato, d’ora in poi le cose andranno peggio. Ma ancor più grave è che sia stato attribuito ai Comuni il compito di definire i nuovi estimi catastali, base di partenza per definire l’ammontare dell’Ici: e poiché gli enti locali hanno tutto l’interesse ad incrementare le entrate, è facile prevedere come andrà a finire. Per non parlare dell’infittirsi di obblighi burocratici, come ad esempio quello introdotto dall’ultima Finanziaria quando obbliga i condomini a versare la ritenuta d’acconto del 4% perfino per le piccole spese di pulizia.
Come non bastasse, il vincolismo forsennato della maggior parte dei piani regolatori cittadini, dettato dal trionfo culturale dell’ecologismo, alza in maniera artificiosa i valori delle aree e di conseguenza delle stesse abitazioni.
Tutto cospira, insomma, a far lievitare il prezzo di chi compra o affitta casa. Ma ancora peggiore è la condizione di quanti vivono all’interno di quei vasti conglomerati (in genere assai degradati) di proprietà di Comuni e Regioni. Sulle cause del fallimento dell’edilizia pubblica popolare aveva già profetizzato Aristotele, nella Politica, quando aveva ricordato che di ciò che è di tutti non si prende cura nessuno, ma proposte riformatrici come quella avanzata dall’on. Renato Brunetta (che vorrebbe cedere gli immobili pubblici agli attuali assegnatari, anche quasi regalando quel bene) faticano ad essere tradotte nella realtà.
Eppure è chiaro che per dare un futuro alla famiglia bisogna restituire responsabilità ad una società civile esautorata da uno Stato onnipresente, che tende a farsi carico di compiti un tempo assunti direttamente dai nuclei familiari: dalla cura dei bambini a quella degli anziani.
Difendere la famiglia a parole, allora, serve a ben poco se poi non si riesce a trarre da ciò le conseguenze operative più urgenti.

Da Il Giornale, 17 febbraio 2007