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Sunday, March 16, 2008

Pechino sta vincendo la guerra delle immagini

Sembra che l'ultimatum minaccioso lanciato dalle autorità cinesi ai ribelli tibetani, di consegnarsi entro la mezzanotte di lunedì (le 17 in Italia), si spieghi con il fatto che alcune centinaia di monaci e studenti sono rimasti asserragliati in un quartiere centrale di Lhasa dopo gli scontri dei giorni scorsi. Truppe e mezzi blindati cinesi hanno circondato l'area e la capitale tibetana sembra deserta tranne che per i carri armati nelle strade del centro. Lo riferisce Marco Pannella a Radio Radicale, citando fonti locali. Nel frattempo, Emma Bonino ha contattato i principali governi europei per capire se sia possibile che la Nato punti i suoi satelliti su Lhasa per sapere in tempo reale cosa accade effettivamente. Pare però che solo gli americani siano in grado controllare con i satelliti ciò che accade a Lhasa.

Minacciare Pechino di divulgare le immagini satellitari della repressione, se davvero fosse tecnicamente possibile riprenderle, può costituire una convincente forma di pressione.

In effetti, ciò che distingue questa da altre recenti rivolte represse da regimi autoritari, come quella dei monaci buddisti birmani contro la giunta militare, è che la guerra delle immagini pare che la stia vincendo Pechino, che nonostante i molti e avanzati mezzi di comunicazione di oggi - internet e telefonini su tutti - sembra conservare abbastanza agevolmente il controllo mediatico della situazione, e saperlo usare a propri fini.

Nessuna scena degli scontri tra tibetani e forze di polizia cinesi è trapelata, né le reazioni di protesta all'estero hanno raggiunto l'opinione pubblica cinese. Bloccato l'accesso al sito YouTube.com, vietati i telefonini e staccate le linee telefoniche a Lhasa.

Le prime immagini delle violenze nella capitale tibetana sono quelle apparse sulla tv di Stato Cctv (fonte: Reuters). Brutali e selezionate con cura. Tibetani che assaltano, saccheggiano e incendiano negozi di proprietà dei cinesi han, qualche qualche pestaggio e scene di caccia all'uomo. Della degenerazione delle proteste in scontro etnico, a causa dell'esasperazione della popolazione tibetana per la decennale politica di cinesizzazione del Tibet e discriminazione, abbiamo già parlato.

L'intenzione di Pechino, mostrando solo le violenze dei tibetani e addossandone la responsabilità, con linguaggio stalinista, alla «cricca del Dalai Lama», è chiaramente quella di giustificare l'imminente e durissima azione repressiva. Scaduto l'ultimatum, infatti, sarà la volta non solo della rappresaglia nei confronti dei ribelli ancora asserragliati a Lhasa. Lo stesso minaccioso riferimento «a chiunque ospiti e nasconda i rivoltosi» prelude a un terrore più ampio e indiscriminato, d'altronde già sperimentato in passato: perquisizioni a tappeto, retate di massa, deportazioni, torture.

Mentre Papa Ratzinger, nell'Angelus della Domenica delle Palme, ha del tutto ignorato quanto sta accadendo in Tibet, evidentemente ritenendo più importante il flebile dialogo in corso con Pechino, questa mattina il Dalai Lama ha parlato lanciando due messaggi chiari. Primo: in Tibet è in atto «un genocidio culturale», ha denunciato invocando «un'inchiesta internazionale». I tibetani vivono in uno «stato di terrore», una «discriminazione sistematica», «nella propria terra sono trattati da cittadini di seconda classe». Secondo: è tornato a ripetere che «noi vogliamo autonomia, non separazione», riconoscendo così l'integrità della Cina e la sua sovranità sul Tibet. «Io voglio i Giochi, il popolo cinese deve sentirsi orgolioso. La Cina merita di ospitare le Olimpiadi», ha inoltre aggiunto bocciando l'ipotesi di un boicottaggio.

Il governo tibetano in esilio a Dharamsala, nel nord dell'India, conferma che «i morti sono almeno ottanta» e annuncia che i membri del Parlamento sarebbero intenzionati ad iniziare uno sciopero della fame. Intanto, la protesta continua a estendersi. Nella provincia cinese dello Sichuan migliaia di monaci hanno manifestato e una stazione di polizia è stata assaltata. Di sette tibetani uccisi è per ora il bilancio degli scontri. Assaltata anche l'ambasciata cinese all'Aia, in Olanda.

Da Lhasa i racconti dei testimoni oculari, dei parenti degli esuli, si arricchiscono di particolari inquietanti: oltre agli assalti ai negozi cinesi e alle auto date alle fiamme, gli spari sulla folla, la catasta di cadaveri ammassati davanti al Tsuglagkhan, i feriti lasciati senza cure dai medici cinesi:


«La gente viene colpita dai finestrini di auto in corsa, dagli oblò dei carri armati, mentre le pattuglie di poliziotti e soldati distribuiti in tutti i crocevia strategici sparano ad altezza d'uomo».

3 comments:

Anonymous said...

Io non credo che né Pannella né la Bonino stavolta possano fare loro la causa tibetana. Penso che la coerenza sia una catena: se si interrompe una volta non la puoi più rimettere insieme. Secondo me devi dirlo.

Saluti.

Enzo

JimMomo said...

Lo dico. Nel senso che nel post Pannella e Bonino sono citati solo in quanto fonti di informazioni.

Sulla loro perduta credibilità dal punto di vista politico non farmi tornare, ché la situazione è troppo grave e ché poi mi dicono che parlo solo di loro ;-)

ciao

Anonymous said...

Vorre che i radicali, i liberali, i presunti difensori dei diritti umani parlassero anche delle torture inflitte ad inermi cittadini alla caserma Bolzaneto, durante il g8 di Genova. Ci sono degli atti processuali chiari e incontrovertibili (ne ha parlato oggi D'avanzo su repubblica, è scioccante), non si può più parlare di fantasticherie. Perché siete così faziosi da dividere l'umanità in buoni (voi) e cattivi (tutti gli altri ad iniziare dai comunisti)? Ma che cacchio c'avete al posto de cuore, il fango delle vostre idee deliranti?