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Friday, March 07, 2008

Tremonti protezionista come Obama, McCain è global

Tremonti risponde oggi all'editoriale di qualche giorno fa, sul Corriere della Sera, di Giavazzi, critico nei confronti della «tentazione protezionistica» che ravvisa nel programma del PdL, laddove si proclama l'intenzione di «difendere la nostra produzione contro la concorrenza asimmetrica che viene dall'Asia», specificando, con «dazi e quote».

«Forse è il caso di avvertire Obama e McCain che anche sui loro programmi elettorali — e non solo su quello del PdL — sta per abbattersi la scomunica» di protezionismo, ironizza Tremonti. Ebbene, si sbaglia di grosso. Forse, ma solo forse, le sue politiche commerciali sono simili a quelle di Obama (e di questo avremmo - lui e noi - di che preoccuparci), ma di certo non a quelle di McCain, come dimostra questa pagina che ci segnala Christian Rocca sul suo blog.

L'ex ministro inoltre ricorda che a dazi e quote l'Ue ha già fatto ricorso, «su pressione — tra l'altro — dell'industria e del governo italiani» (tra gli artefici la "ex liberista" Emma Bonino). Ebbene, non so se Tremonti si renda conto, ma dopo essersi paragonato ad Obama sta dicendo di voler prendere esempio dal Governo Prodi. E comunque sì, è vero, il dibattito su dazi e quote non è una novità in Europa, il punto è capire se le politiche protezionistiche siano vantaggiose per le nostre imprese e la nostra economia.

Da accogliere positivamente, invece, il chiarimento di Tremonti: «Ridurre la regolamentazione comunitaria» si riferisce a quella «regolamentazione eccessiva» di tipo burocratico (anche ai sussidi previsti dalla Pac?) e non ai vincoli e ai controlli europei per il rispetto della concorrenza.

«Parlare di beni di prima necessità, di Comuni e di volontariato, in definitiva di povertà, può essere dibattuto e controverso e certo anche criticato», ma non ci si può ridere sopra, lamenta infine Tremonti. Certo, ma bisogna vedere quali sono le ricette: se assistenzialismo o riforme liberali.

A Tremonti risponde indirettamente questo articolo di Fabrizio Onida, sul Sole 24 Ore, sul «fascino illusorio dei dazi contro la Cina». Il rischio dei dazi è «di ottenere in pratica risultati nulli se non controproducenti». Ormai l'interdipendenza economica è tale che non c'è un singolo prodotto sul quale aumentare i costi d'importazione introducendo i dazi non danneggerebbe anche le imprese e/o i consumatori.

I dazi e le quote «su prodotti intermedi (destinati a usi industriali, non all'utilizzatore finale) che le imprese importano da fornitori cinesi o dalle loro stesse affiliate in Cina e altri Paesi asiatici aumentano i costi dei prodotti finali, danneggiando la competitivita dei produttori a valle: parliamo di componenti metallurgiche, chimiche e plastiche, moltissime parti e componenti meccaniche elettriche ed elettroniche», e così via...

Inoltre, la globalizzazione rende possibile l'arrivo sui nostri mercati di «prodotti finali di consumo a basso prezzo, realizzando ricchi margini di guadagno, ma pur sempre fornendo un servizio gradito alle (purtroppo numerose) famiglie di consumatori a basso reddito. Va da sé che non parliamo di prodotti illegalmente contraffatti o nocivi alla salute, contro cui è legittimo e doveroso agire con misure restrittive».

Dunque, osserva Onida, «queste misure di disperata difesa contro la concorrenza dal basso rischiano di allentare la pressione sulle aziende e sulle istituzioni per mettere in atto l'unica strategia di vera sopravvivenza nel mercato globale e di valorizzazione del capitale umano del Paese, oggi a rischio di degrado. Non potendo invocare implausibili abbassamenti dei salari e degli standard di lavoro in casa nostra... per competere con i giganti emergenti (come Cina, India, Vietnam, Brasile) occorre puntare su aumenti significativi e continui della produttività. Aumenti che vengono conquistati tramite innovazione tecnologica nei processi, innovazione e creatività nella qualità...», che i governi europei dovrebbero rendere meno costosi alle proprie imprese.

«Più che difenderci dalla nuova prorompente concorrenza con precarie e spesso dannose misure protezionistiche del mercato interno, conta mantenere aperti i nostri mercati internazionali di sbocco, puntare sull'appetibilità dei nostri prodotti e tecnologie presso una platea crescente di clienti negli altri Paesi». Anche perché si calcola che entro il 2010 «vi saranno una classe media di oltre 80 milioni di famiglie nella sola Cina e 40 milioni in India, un mercato più grande di quello paragonabile di Francia, Germania e Spagna messe insieme».

A Tremonti e al suo nuovo libro ("La paura e la speranza") rispondono anche intellettuali liberali come De Nicola, Antiseri e Mingardi.


«Da sessantottino che era in gioventù, Tremonti è diventato un conservatore ottocentesco. Assomiglia a certi aristocratici inglesi, che consideravano la rivoluzione industriale una sciagura... Ma la storia parla chiaro: l'apertura economica e culturale ha sempre generato pace e sviluppo, mentre la chiusura ha regolarmente prodotto la stagnazione e la guerra».
Alessandro De Nicola (Adam Smith Society)

«L'unico modo di fronteggiare la concorrenza internazionale è rendersi competitivi, puntando su specializzazione e innovazione. Non si può rinunciare ai benefici del libero scambio...»
Dario Antiseri
Ma l'analisi più appronfondita ed efficace del libro di Tremonti è quella di Alberto Mingardi, su il Riformista di oggi. Tremonti, scrive, «non si distanzia poi molto da una tradizione "di destra", piuttosto comune nell'Europa continentale... In Francia e in Germania "di destra" sono l'ordine e una media ponderata degli interessi rilevanti: non la spiazzante promessa di abbattere l'intermediazione politica».

«Nel tentare di ricostruire una destra d'ordine, capace di aggregare consenso attorno a una rivalutazione dell'idea di autorità, non diversamente da tanti conservatori prima di lui», Tremonti «identifica nel mercato un agente disgregante»: denuncia quindi la globalizzazione e, in questo «non lontano dai teorici della sinistra no global», il suo sistema di valori, ovvero un «liberismo impersonale e materialista, corresponsabile della deflagrazione dei buoni valori dei padri».

Tremonti lamenta il «caro-vita» mondiale, perché i Paesi emergenti fanno crescere la domanda di materie prime come petrolio e grano, ma egli stesso cita i jeans cinesi a 5 euro e i voli low cost, che hanno permesso alla nostra generazione di viaggiare come e quanto i nostri padri non hanno potuto. In realtà, ricorda Mingardi, «laddove ci sono mercati aperti i prezzi tendono comunque a ridursi». Siamo sicuri che il «caro-vita» in Italia dipenda dalla «concorrenza globale» e non dai salari più bassi d'Europa, dai più alti costi d'impresa d'Europa, dalla bolletta energetica più alta d'Europa, delle mancate liberalizzazioni e da molto altro ancora? Le merci che vengono dalla Cina (quelle contraffatte e illegali vanno naturalmente combattute) «hanno calmierato molti beni, a beneficio soprattutto dei meno abbienti».

Sulle «qualità morali del libero scambio» come minaccia all'ordine morale e sociale dell'Europa, anche qui Tremonti è in buona compagnia: «Un'ampia famiglia di reazionari e comunitaristi ha sempre pensato che locale e globale, comunità e mercato, dovessero essere coppie antinomiche». L'esperienza dimostra il contrario, se la Coca Cola «non ammazza» affato il Barolo, «il mercato globale è una costellazione di nicchie». Ma qui c'è il salto di qualità di Mingardi, che coglie l'atteggiamento culturale di fondo in cui si muove il ragionare tremontiano: «Per i socialisti e per gli artistocratici (aggiungerei, per i cattolici, n.d.r.), lo scambio è volgare prima d'essere ingiusto», e per questo l'arricchito con il commercio una figura disprezzabile.

Certo, «l'internazionalizzazione "imbastardisce" le culture», ma «in una prospettiva liberale, questo è una ricchezza, non un problema. Ma solo perché il liberalismo è naturalmente cosmopolita. Se agli individui lontani da noi migliaia di miglia riconosciamo la stessa dignità d'individui del nostro vicino di casa, l'oggetto del saggio di Tremonti diventa inconcepibile».

12 comments:

Anonymous said...

Mi hai convinto.
Evidentemente il primum movens di Tremonti e della destra conservatrice resta sempre... la paura del prossimo, il pessimismo sull'uomo.

Anonymous said...

Però quello della Cina non è libero mercato, ma abuso di mercato.
A noi rispondere adeguatamente. Cioè, battendoli nonostante le loro scorrettezze.
Ciao

Anonymous said...

Tremonti l'altra sera ad Anno Zero è stato un grande. Attenzione alle parole che ha usato: 'Illuminati'. Lo ha ripetuto diverse volte. E' ovvio che, per un livello di neofita, si trattava di un soprannome battuta. Tuttavia, siccome Tremonti sa, per chi neofita non è il livello a cui si riferiva era chiaro.
Gli Illuminati di Baviera sono una setta segreta potentissima, di cui fanno parte i Bush e i Clinton (in Italia Prodi, Draghi, Veltroni - solo per citare alcuni - sono i loro giocosi emissari), ma maggiori informazioni le trovate su Internet semplicemente digitando la parola. Gli Illuminati sono quelli che hanno imposto al mondo, a suon di bombe, finti attentati terroristici e guerre di 'liberazione', la globalizzazione, e hanno deciso di distruggere il mondo su cui viviamo affamando miliardi di povera gente, il capitalismo globale va esattamente in quella direzione. Tremonti non ha fatto altro che svelare l'arcano. E' da un po' che lo fa. Gliene va dato merito. E' stato migliore perfino di Bertinotti, che diceva le solite cose trite e ritrite.

Ma si sa, voi liberali denigrate chi parla di complotti. E' il modo migliore per nascondere l'evidenza (e molti di voi come non aspirerebbero a farsi cooptare dagli Skulls & Bones!!!)

Anonymous said...

In Cina però i diritti dei lavoratori non sono rispettati.

Anonymous said...

Eccoli qua, Tremonti ed Adriano, i no-global del XX-XXI secolo affasciati contro il solito complotto demo-pluto-giudaico-massonico che tutto spiega.
Affasciati o fascisti?

Anonymous said...

Cosa volete che gliene freghi a Tremonti se i voli Low Cost costano 10 euro, nella società a cui aspira, lui e i suoi amici farebbero parte di quella micro-minoranza di ricchi con la possibilità di viaggare ugualmente, anche con le tariffe di Alitalia (che infatti vuole salvare a tutti i costi).

Anonymous said...

ah ah
Off-topic il tuo nome è un programma. Sei fuori tema, te lo dici da solo.
Se noi siamo i fascisti del XX e XXI secolo voi siete gli sterminatori della vita sul pianeta. Ma a ciascuno il suo, diceva un certo Leonardo.

Purtroppo per voi il mercato è un'altra delle tante illusioni di cui si è nutrita la razza umana (l'Occidente in particolare) per uscire dall'insensatezza del vivere. Abbiate almeno la decenza di riconoscere che c'è gente che i trabocchetti dei cosìddetti liberali li ha scoperti e denunciati. Lo so, dà fastidio venir scoperti, ma non si può sempre vivere nell'ombra, dopo un po' il sole esce.

Aspetta che fra un po' ti arriva la chiamata dai Fratelli D'Italia (ah ah ah!), quelli coi cappucci che ci hanno pure imposto un inno inascoltabile

meglio Tricarico a sto punto!

Anonymous said...

Sicchè per te, Adriano, il declino italiota è causato dall'estraneità al complotto mondialista e capitalista? Non dall'arretratezza liberale del nostro Paese?
Ma per favore!

Anonymous said...

No, L'Italia è dentro al complotto con tutte le scarpe, l'unica cosa è che è stata usata, da buona provincia dell'Impero, come laboratorio politico (siamo un po' i topini del grande laboratorio planetario - e in effetti rischiamo di avere topo-gigio come premier!)

arretratezza liberale? Uah uah uah!!! questa sì che è esilarante
Totò direbbe: ma mi faccia il piacere!!!

beati voi che ancora credete all'autodeterminazione

Anonymous said...

Bah!
Adriano.... sei proprio un incorreggibile!
Ad maiora...
entrambe!

Anonymous said...

Caio a tutti, volevo solo complimentarmi per le riflessioni di questo post, e del blog in generale.
Anch'io sono saltato dalla sedia sentendo le dichiarazioni di Tremonti, pensando "ma guarda un po', adesso che noi siamo diventati (moderatamente, lo ammetto) liberali, quelli ci diventano noglobal".
Ovviamente, come si è capito, sono un elettore di sx, con tutti i dubbi sul liberismo veltroniano qui espressi in qualche post precedente.
E' chiaro che il liberismo economico sia l'unico modo di andare avanti, anche se continuo a pensare che lo stato debba ritagliarsi un ruolo di controllore e arbitro, oltre che di infermiere intervenendo nelle situazioni di crisi: non per intervenire direttamente nel mercato, ma per attenuare eventuali sofferenze dei soggetti più deboli (disoccupazione, incentivi alle start-up, etc).
Il problema è che il liberismo (paradossalmente come il socialismo reale) sta in piedi solo se applicato per intero a ogni categoria e in ogni settore, e ovunque. Non si può liberalizzare il lavoro dipendente e poi proteggere gli interessi di categorie o ordini professionali (con le loro dannate tariffe minime), si creano scompensi enormi. Per questo mi trovo d'accordo con l'autore del post.
Solo questo, scusate per la lunghezza, alla prossima

JimMomo said...

Sono d'accordo con te, Lorenzo, e ti segnalo questo nuovo post: http://jimmomo.blogspot.com/2008/03/la-crisi-c-ma-il-protezionismo-ha-naso.html

ciao