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Thursday, May 05, 2005

I'm a "Blair Democrat"

Le caricature dei tre principali pretendenti sulle spine di birre di un pub«Sinistra, è tua la bandiera della libertà... Per difendere la democrazia, giusto rovesciare i regimi... Il vero scandalo? Che i progressisti non dimostrino contro la Corea del Nord»

London Calling
«Quando io guardo alla leadership americana nel mondo, sento che essa rappresenta una forza positiva per il bene dell'umanità. Ne sono profondamente convinto. Non dico che noi tutti non facciamo errori in politica estera ogni tanto, ma fondamentalmente è una forza volta al raggiungimento del bene».
Queste parole, ci ricorda Alessandro Tapparini in un pezzo per Notizie Radicali che racchiude tutte le "malefatte" e i tabù della sinistra infranti da Blair, sono tratte da un'intervista del 1998 per Global Viewpoint, non sono di George W. Bush, ma di Anthony Charles Lynton Blair, Tony per gli amici.

«Sangue liberale in vene Labour» è la trasfusione politica alla base del grande successo di Tony Blair. A spiegarlo è Andrea Romano con un editoriale oggi su il Riformista.
«Il partito laburista che verrà dopo Blair potrà contare innanzitutto sulla ricomposizione dell'alleanza progressista con le correnti liberali della sinistra britannica... Non tanto per l'esigenza di moderare la propria proposta politica, ma perché è nello spazio politico condiviso da laburisti e liberali che si sono articolati i valori di fondo di quella proposta: autonomia, comunitarismo, responsabilità e valorizzazione individuale».
E la successione potrebbe andare ben oltre Gordon Brown: «Non è affatto da escludere che di qui a qualche anno il palmo della successione si sposti in direzione di uno tra coloro che hanno cominciato da giovanissimi il decennio blairiano», tra cui David Miliband.

Impopolare per non essere antipopolare. Scrive oggi il Riformista rivolgendosi a D'Alema:
«Vedete, Blair ha rischiato e rischia ancora molto per la posizione che ha assunto sull'Iraq. Ma nessuno potrà mai dirgli di non averla sempre sostenuta. E questo gli ha conquistato quel minimo di rispetto che forse farà passare gli elettori inglesi sopra ai molti dubbi che nutrono sull'uomo. La pedagogia è credere in quello che si dice, e dirlo anche quando è impopolare, non solo quando è ormai verità accertata dalla storia».
I due precedenti endorsement su il Riformista.

Oggi i cittadini di Sua Maestà daranno fiducia a Blair e al New Labour per un terzo mandato consecutivo. Sul Corriere della Sera l'intervista di David Remnick, direttore del New Yorker, a Tony. C'è molta differenza tra i neoconservatori americani e l'interventismo liberal di Blair?
«Da progressista, mi trovo perfettamente a mio agio con l'idea che la nostra sicurezza dipenda dalla diffusione dei valori di democrazia e libertà... Dovevamo prendere una decisione su Saddam. Potevamo lasciarlo dov'era o rimuoverlo, ho ritenuto fosse meglio rimuoverlo... quella che era solo una causa morale, ora rientra anche nel nostro interesse, ecco il motivo per il quale conservatori e progressisti possono trovare un accordo».
Due inchieste indipendenti, i rapporti Hutton e Butler, hanno assolto Blair dall'accusa di aver deliberatamente mentito al popolo britannico, tuttavia la sua credibilità ne è uscita irrimediabilmente indebolita.
«... è ormai chiaro che gli iracheni desiderano la democrazia con tutti i diritti, le garanzie, le libertà che noi diamo per scontati e nella battaglia tra il popolo iracheno e una banda di terroristi e ribelli, è piuttosto ovvio, anche per quanti si sono opposti al conflitto, da quale parte dovremmo stare. Penso che una sensazione di cambiamento si stia diffondendo in Medio Oriente.
(...)
Sappiamo quello che ha appurato l'Iraq Survey Group: Saddam aveva armi di distruzione di massa e non le abbiamo trovate... sottolineare la natura del regime, significava chiarire che rimuoverlo non era in sé sbagliato. Al contrario, è giusto. Ora, la motivazione legale doveva essere fondata sulla violazione delle risoluzioni Onu. Questo è l'unico discrimine. Ancora, credo che per chiunque lo esamini, la natura del regime fosse il fondamentale contesto nel quale inserire la motivazione legale. In termini legali, la questione riguardava le armi di distruzione di massa».
«L'11 settembre ha radicalmente modificato il mio pensiero. Ho compreso allora che l'unica cosa da fare era annientare la rete degli Stati repressivi, porre fine allo sviluppo delle armi di distruzione di massa e di questa forma violenta ed estrema di terrorismo. Cosa significa? Significa prendere le misure di sicurezza necessarie. Significa mandare un segnale e far capire che da questo momento in avanti, chi decide di continuare ad ignorare le risoluzioni delle Nazioni Unite va incontro a problemi. Ecco la ragione per entrare in guerra... dopo l'11 settembre i giochi sono cambiati. Se, nella situazione precedente, l'equilibrio del dubbio propendeva all'inazione, dopo l'11 settembre per me quello stesso equilibrio si risolve sempre nell'azione».
Il cuore nero della sinistra:
«Mi sorprende vedere quante persone siano felici che Saddam resti dov'è. Ci chiedono perché non ci liberiamo di Mugabe, perché non affrontiamo la questione birmana. Ma sì, sbarazziamoci di tutti. Non lo faccio perché non posso ma quando si può, si deve... Il vero scandalo della politica progressista è che nessuno scenda in strada contro la Corea del Nord... Ventitré milioni di abitanti sono tenuti in una forma di schiavitù e nessuno protesta. Invece, centinaia di migliaia di persone manifestano in quasi tutte le capitali europee contro l'America che, con tutte le sue colpe, è un Paese libero! La sinistra ha in sé due anime, in conflitto l'una con l'altra ma entrambe perfettamente giuste. Una è la pace, la seconda è la volontà di intervenire per aiutare chi ne ha bisogno. La pace è essenziale ma sotto regimi tirannici non ce n'è molta».
Infine, la forza di un vero leader democratico:
«... il processo decisionale finisce con te. È sbalorditivo. Solo riconoscendo che questo è un privilegio, lo si può accettare per un periodo limitato, e l'unico modo di lavorare al meglio è mantenere i nervi saldi, fare quello che si ritiene giusto, comprendere che non si possono accontentare sempre tutti e che in realtà, accontentare alcuni a volte è già una vittoria. Che, qualunque sia il giudizio del momento, la storia potrebbe esprimere un altro verdetto».

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