Ci vado cauto nel sottoscrivere il lungo articolo di oggi del costituzionalista Gustavo Zagrebelsky su la Repubblica. Riconosce piena legittimatà giuridica alla scelta di astenersi dal voto ai referendum del 12 e 13 giugno, e anche alla campagna astensionista della Cei, ma ecco un passaggio significativo:
«Liceità giuridica e moralità politica sono cose del tutto diverse e non è insistendo sulla prima che si portano argomenti a favore della seconda. Ora, è evidente che siamo di fronte allo sfruttamento opportunistico di quella quota di astensioni fatalmente derivanti da disinteresse o indifferenza. I fautori del no vorrebbero annettersi gli indifferenti per far fallire il referendum e quindi salvare la legge, assegnando all'astensione dei "veri astensionisti" (gli indifferenti, per l'appunto) un significato che non ha. Ma soprattutto la posizione strumentale dei "falsi astensionisti" (gli interessati che si appoggiano sugli indifferenti) è avvertita come un atto di prepotenza, di imposizione, di slealtà. È come se - si passi la parabola - in una gara di corsa, il regolamento consentisse a un concorrente di partire avanti agli altri».Concordo, a patto che il suo non sia un giudizio di moralità sulle persone, giudizi verso cui nutro sempre diffidenza. Per "moralità" politica credo si debba intendere opportunismo, cinismo politico, in questo senso ho sempre definito un "trucchetto" la campagna astensionista. Della Cei oggi, dei Ds ieri, di Craxi l'altro ieri. Scelte che definirei irresponsabili, senza chiamare in causa la moralità, che è sempre un po' antipatico. Se davvero il quorum non dovesse essere raggiunto (agli astensionisti basta raggiungere il 20% degli aventi diritto) la legge 40 sarebbe "miracolata".
Un'osservazione interessante poi è quella che sottolinea gli «effetti perversi» della posizione assunta dalla Cei. La chiamata a raccolta da parte della gerarchia è stata «perentoria e ha sorpreso e turbato anche molti cattolici» (I cattolici per il voto). Talmente invasiva e perentoria da non lasciare al fedele neanche la possibilità di scegliere quale strategia adottare nelle urne per "difendere la vita". A questa ingerenza si deve, ed è una lettura che mi convince, l'emergere prepotente di clericalismo e anticlericalismo. Zagrebelsky ricorda che il 22 febbraio 1987 la Congregazione per la dottrina della fede invitò i fedeli ad agire per «la difesa della vita fin dal concepimento, la condanna degli atti di procreazione diversi dall'unione sessuale naturale dei coniugi e il divieto di interventi sull'embrione umano non strettamente necessari alla terapia dell'embrione stesso». Tuttavia:
«... l'indicazione che giunge a vincolare perfino i comportamenti concreti nella strategia referendaria è compatibile con la dignità della missione politica dei "cristiani che partecipano alla vita pubblica come cittadini"?»Un'accusa che i referendari possono rigettare al mittente è quella che giunge da più parti dopo i recenti proclami ratzingeriani, quella di relativismo: «La democrazia non presuppone affatto quel relativismo etico che il magistero della Chiesa giustamente condanna».
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