«La costituzione europea ha 448 articoli. 441 in più di quella degli Stati Uniti. Solo per questo andrebbe bocciata». George F. Will
Non è un «segnale» da recepire o da non sottovalutare, come domenica sera concedeva Romano Prodi rivelando così la sua idea di democrazia. Il "no" dei francesi al Trattato "costituzionale" europeo è una decisione, una volontà democraticamente espressa cui piegarsi. La responsabilità di questa decisione ricade per intero sull'establishment europeo, sui professionisti dell'europeismo "corretto" con la loro smisurata arroganza. Per anni, per decenni, la scelta deliberata è stata quella di tenere i cittadini europei fuori dall'Europa. Per anni ha dominato un pensiero unico sull'Europa (un'unica idea di Europa "politicamente corretta"). Domenica i cittadini francesi si sono ripresi il diritto a dire la loro, sono rientrati di prepotenza in un processo decisionale che li vedeva ai margini.
Ci hanno spiegato che è la vittoria dell'estrema destra nazionalista e xenofoba, dell'estrema sinistra anti-americana, anti-capitalista e anti-global, contro un'Europa «troppo liberista». Bertinotti esulta per la presunta sconfitta del «neoliberismo». Non cadiamo in questa mistificazione. Quello dei francesi è certamente un "no" anti-liberale, ma è un "no" a un'Europa che liberale non è, che pur essendo statalista e protezionista, pur essendo anti-americana e gollista, è accusata di non esserlo abbastanza. Sfido chiunque a rintracciare nell'Europa di Prodi, di Chirac, di Schroeder, o nel testo messo ai voti, qualche traccia di liberismo economico. Inoltre, l'Olanda, dove è altrettanto probabile l'affermazione dei "no", è certamente immune da quel pregiudizio anti-liberale, nazionalista e socialista, che pervade la Francia.
In Francia «liberale» è divenuto un insulto, il Trattato è stata attaccato dai sostenitori del "no" perché liberale e difeso da quelli del "sì" perché non-liberale. La Francia è sempre più socialista e nazionale. Persino Chirac, ci riferisce Glucksmann, ha recentemente dichiarato che «il liberalismo è un'ideologia nociva come il comunismo e, come il comunismo, finirà contro un muro!». Dall'alto, le elites francesi hanno chiamato alla resistenza «contro l'orco liberale» e così determinato la sorte del Trattato "costituzionale". Come ha scritto André Glucksmann sul Corriere della Sera, «la maggioranza del "no" è proteiforme, contraddittoria. Coagula angosce differenti, amalgama le insoddisfazioni e senza alcun imbarazzo intercetta i pregiudizi dell'estrema destra come dell'ultrasinistra». Ma a questi sentimenti, a queste fobie, cosa hanno contrapposto le elites di Bruxelles, le cancellerie europee, i campioni dell'europeismo politically correct? Non le hanno piuttosto alimentate?
Ha ragione Glucksmann: in Francia gli elettori non hanno fatto altro che seguire la «rotta indicatagli». Lo hanno fatto con maggiore coerenza e rigore di un de Villepin. Chirac e Schroeder, Zapatero e Prodi, hanno logorato e svilito l'idea di Europa che gli era stata lasciata in eredità, e raccolgono oggi ciò che hanno seminato. L’ostilità nei confronti dei nuovi membri dell'Est europeo, percepiti come minacce da arginare e partner da "silenziare", per Chirac stesso le capitali dell'Est farebbero meglio a «tacere»; le barriere innalzate contro l'«idraulico polacco» o l'industria estone; i contrasti e le paure per l'inizio dei negoziati di adesione della Turchia; l'allarmismo sul fenomeno dell'immigrazione; la strenua difesa dei privilegi nazionali attraverso i patti agricoli comunitari e le politiche protezioniste, a danno dei paesi nordafricani; l'ossessione per le liberalizzazioni, la concorrenza, il dumping, la delocalizzazione; l'orgogliosa opposizione della Vecchia Europa alla politica americana contro il terrorismo e per la democrazia in Medio Oriente. Questi sono stati gli argomenti sui quali Chirac e le sinistre francesi, Schroeder e Prodi hanno giocato, questi argomenti erano già di per sé anti-europei, e questi alla fine non potevano che essere i messaggi e i timori trasmessi agli elettori, che ne hanno tratto la più logica delle conseguenze.
Chiamare i cittadini a votare "sì", come ha fatto Chirac, con l'argomento che il nuovo Trattato avrebbe meglio tutelato gli interessi francesi, è già una sconfitta in partenza. Che senso ha vedere nell'Unione Europea un vincolo burocratico a cui strappare tutele e privilegi nazionali e non un progetto, una visione comune, che coinvolga una cittadinanza europea? Nessun senso. Infatti, i leader che per la tutela di quei particolari privilegi si sono battuti nella stesura del nuovo Trattato sono apparsi come la dimostrazione più evidente delle ragioni dell'anti-europeismo dell'estrema destra e dell'estrema sinistra. Se i compromessi alla base del nuovo Trattato dimostrano essi stessi quanto le rivendicazioni di Bové e Le Pen siano fondate, quanto la protezione di quei privilegi sia sentita come legittima, perché tenersi questa Europa che è solo un ostacolo?
Gli attuali leader europei portano con sé la responsabilità di aver ingrossato, con le loro stesse politiche comunitarie, cavalcando menzogne e illusioni, le file delle realtà politiche, culturali e ideologiche che domenica hanno votato in massa "no". Il paradosso sta nel fatto che gli stessi Chirac, Schroeder, Prodi hanno posto le premesse logiche e razionali per la sconfitta di questa loro Non-Europa per mano sia degli anti-europeisti sia degli europeisti.
Infatti, ciò che fa comodo tacere in questi giorni di commenti è che estrema destra ed estrema sinistra non avrebbero mai raggiunto il 55% dei voti se non avesse pesato una terza forza non organizzata. Quella degli europeisti che Daniel Cohn-Bendit ha definito "radicali", dei federalisti, delusi da questa Europa, da questo Trattato, da questi leader. Abilmente, da anni, i tecno-burocrati di Bruxelles, i professionisti dell'europeismo "corretto", gli ideologi dell'Europa inter-governativa e degli egoismi nazionali, si scelgono gli avversari: preferiscono nutrire gli istinti e le fobie di estrema destra ed estrema sinistra per meglio demonizzare il dissenso alla loro Non-Europa; invece, "silenziano" gli europeisti radicali, federalisti, che con buone ragioni oppongono a questa Non-Europa una diversa e più attraente idea di Europa, democratica, federale: gli Stati Uniti d'Europa. Rilanciamo gli Stati Uniti d'Europa o tanto vale tenersi il mercato unico.
Domenica è stata punita questa arroganza del "sì", degli euroburocrati abituati a pensare alla volontà popolare come a una ratifica formale e scontata da apporre su una decisione presa altrove. Quei professionisti dell'europeismo "corretto" si erano attrezzati bene, scegliendo gli avversari più facili da demonizzare, non potevano neanche immaginare che si potesse votare "no", credevano che a loro, i "buoni", la vittoria fosse dovuta. E doveva essere più facile contro questi "cattivi", "silenziando" gli europeisti più pericolosi, radicali, trasformare il referendum in un «test di europositività», come l'ha chiamato il filosofo Jean Baudrillard.
Ma finalmente, come ha scritto Enrico Rufi su Notizie Radicali, «la strategia di neutralizzazione» dei cittadini europei è «entrata in crisi».
«Il sì avrebbe rappresentato una sanatoria su tutta quell'architettura europea sempre più abusiva, che come federalisti noi andiamo denunciando da anni, spesso nella più totale solitudine; e avrebbe rappresentato un addio definitivo al progetto di Stati Uniti d'Europa (e possibilmente d'America) che ci è caro».Quella dei "no" è stata quindi una vittoria anche dell'europeismo radicale. Ora abbiamo la possibilità di riaprire il dibattito, da federalisti, su "quale Europa", anche se l'establishment europeo, c'è da scommetterci, tenterà di annacquare, di far finta di niente e andare avanti, ancora una volta di neutralizzare il dibattito imponendo il suo pensiero unico "politicamente corretto".
E' uscita sconfitta l'idea di un'Europa a guida franco-tedesca; l'idea di Unione inter-governativa, che si prefigge come unico scopo il compromesso al ribasso dei vari egoismi nazionali; l'Europa da cui è bandita ogni politica liberale e liberista; l'Europa del centralismo, del dirigismo, del protezionismo con cui le oligarchie tecno-burocratiche e i poteri finanziari ci hanno portati al declino economico, sociale e politico. I paesi che hanno davvero sposato politiche economiche liberali e liberiste (vedi Repubblica Ceca e paesi baltici) crescono e fanno paura. Il presidente francese e quello tedesco inseguono il sogno di un'Europa anti-americana lungo l'asse Parigi-Berlino-Mosca, mentre gli altri Stati membri, che non hanno alcuna voglia di sacrificare Washington per Mosca e Pechino, dovrebbero adeguarsi. Il "no" di domenica è una prima sconfitta per il tentativo di Parigi e Berlino di ricavare per l'Europa, nel nuovo ordine internazionale, un ruolo di cerniera tra oriente (islamico, russo e cinese) e occidente (anglo-americano), di contrappeso al potere americano, rompendo quindi la comunità transatlantica, dividendo l'occidente a favore di un mondo multipolare.
Infine, la presunta "costituzione". Ha ragione Angelo Panebianco oggi sul Corriere della Sera: è stato un atto di «atto di arroganza» aver presentato come "La Costituzione" un macchinoso e caotico trattato inter-governativo, in totale dispregio del costituzionalismo liberale. Il diritto «all'integrità fisica e morale degli uomini e delle donne di sport», «all'assistenza sociale e abitativa» che garantisca una «esistenza decente», il diritto dei bambini a esprimere «pienamente il loro punto di vista», sono solo alcune delle astrusità che vi si leggono. E a quali ambiti viene ristretta la competenza dei Parlamenti nazionali se a Strasburgo ci si occupa anche di naselli e sogliole?. Solo demagogia? Non credo. Il nuovo Trattato e le istituzioni europee smarriscono i diritti fondamentali nella selva intricata e nell'ipertrofia burocratica dei "nuovi diritti". Siamo sicuri che quei 448 articoli non schiudano le porte all'avvento di un nuovo assolutismo, soft, burocratico e imperscrutabile?
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