Liberali e neocon non si facciano "ingannare" dalla battaglia di Ratzinger contro il relativismo
Il piglio deciso con il quale riafferma le radici cristiane dell'Occidente, la determinazione con la quale combatte la sua battaglia al relativismo culturale - quel relativismo reo di indebolire la risposta ideologica delle nostre società all'aggressione del fondamentalismo islamico - sono gli aspetti della figura e del pensiero di Benedetto XVI che esercitano un forte appeal su alcuni politici e intellettuali liberali e laici. Che libertà e democrazia non siano sacrificabili in nome di una falsa stabilità e di una cinica realpolitik in politica estera, o in nome di un ingannevole "quieto vivere" nelle nostre società multiculturali, è solo una delle possibili declinazioni politiche del pressante appello ratzingeriano a non sacrificare a un male inteso spirito di tolleranza, a una modernità asettica dove tutto è relativo, l'identità e i valori su cui si fonda l'Occidente.
Ma possiamo azzardare che possa essere proprio questo volto, in un certo senso "neocon", della battaglia ratzingeriana a sedurre alcuni liberali. Se proprio vogliamo insistere a consolarci con questa lettura ingenuamente "politica" del pontificato di Ratzinger, dovremmo almeno fare attenzione alla piega realista, quindi relativista dal punto di vista politico, che Benedetto XVI sembra ansioso di intraprendere, e con maggiore decisione di quanto avesse fatto Wojtyla. Secondo il Daily Telegraph, il Vaticano sarebbe pronto a stabilire relazioni con la Cina Popolare sacrificando i propri rapporti con Taiwan. Una politica di appeasement che dovrebbe portare a un sensibile miglioramento della condizione dei milioni di cattolici cinesi. "Come se Giovanni Paolo II invece che Solidarnosc avesse appoggiato Jaruzelski in cambio di qualche concessione", è l'acuta osservazione di Enzo Reale, del blog 1972.
Continuando ad applicare un'ottica "politica" nell'interpretazione della figura e del ruolo di Giovanni Paolo II e del suo successore si finisce per cadere in falsi miti. Siccome siamo sensibili alla promozione della libertà e della democrazia ovunque siano assenti nel mondo, ci diciamo entusiasti e vicini al Wojtyla che senza compromessi si batteva insieme a Reagan per la libertà dell'Europa orientale e contro il comunismo sovietico. Non per questo però dovremmo scordarci delle decine di altre circostanze nelle quali Wojtyla e la sua Chiesa furono fin troppo realisti e dialoganti con le dittature: ricordate, per fare solo un esempio, la visita a Cuba che doveva servire a preparare il dopo-Castro e che invece si risolse in un tripudio anticapitalista? In realtà, l'agire della Chiesa sfugge a ogni lettura politico-ideologica. Wojtyla ha sì contribuito al crollo del blocco sovietico, ma sarebbe sbagliato arruolare la Chiesa cattolica nel campo dei promotori di libertà e democrazia.
Il richiamo al valore della pace scambiato per pacifismo "senza se e senza ma", la politica di compromessi con i regimi autoritari, l'assenza di dibattito interno, la chiusura sulle libertà individuali e i temi etici, e persino la condanna dell'operato dei Parlamenti democratici laddove questo si ponga in contrasto con il magistero della Chiesa, sono tratti che hanno caratterizzato il lungo pontificato di Wojtyla e che caratterizzeranno con ogni probabilità quello di Ratzinger.
Il tentativo di dialogo col mondo laico e liberale intrapreso da Ratzinger quando era cardinale rischia di rivelarsi una vera e propria "trappola". La critica liberale a un certo relativismo si fonda su ben altri valori e presupposti filosofici rispetto a quella ratzingeriana, che è critica al relativismo tout court. Depositaria di una verità definitiva, la critica ratzingeriana ha come esito l'anatema contro i molteplici frutti del pensiero moderno fondato sul dubbio e sullo spirito critico, sulla ricerca di un sapere fallibile e rivedibile, sulla libertà di coscienza. Per il pensiero moderno la verità va cercata, sottoposta a critica, e il suo superamento è lo scopo stesso della ricerca; per la Chiesa cattolica la verità è rivelata, fissata secula seculorum, e va solo annunciata. Chi la rifiuta si becca l'anatema di "relativista", non importa se si sia posto al di fuori di quella verità ma ne abbia abbracciate altre, perché agli occhi di chi sale al soglio di Pietro è come se si ponesse al di fuori di qualsiasi verità. Ma il rifiuto, o l'indifferenza, nei confronti di qualsiasi verità e valore è un qualcosa che neanche il liberale può accettare: ecco la "convergenza", che però è più che altro apparente.
Per Ratzinger quel "dialogo" coi liberali alla Marcello Pera non rappresenta che una sponda per una "penetrazione" religiosa e culturale. Lo scopo è quello di fare breccia nel mondo laico per farne un veicolo, più o meno inconsapevole, di affermazione delle verità della fede così come sono custodite dal magistero di Santa Romana Chiesa, per esercitare un potere di condizionamento nella vita civile del paese. Finora mi sembra che l'esperimento stia riuscendo.
7 comments:
Non sono d'accordo sul giudizio su Jaruzelski. E' abbastanza appurato che fu lui il fautore del passaggio "morbido" alla democrazia. Morbido significa senza repressione non tanto polacca, quanto sovietica. Jaruzelski, dopo il colpo di Stato e la repressione (che giustificò come unico modo per evitare l'ingresso dei carri armati sovietici), consentì a Solidarnosc di ricostituirsi in forma semi-legale (ufficialmente non era legale, ma era di fatto tollerata) e dopo il referendum del 1987 aprì al sindacato (e alla Chiesa) le porte di una trattativa che portò alla transizione fino alle elezioni democratiche. In quel contesto, Giovanni Paolo II combattè il comunismo sovietico scegliendo una strada che fosse la più lontana possibile da soluzioni cruente.
Rispetto alla questione cinese, c'è un punto di cui non tieni conto. Che potrà sembra irrilevante, ma a me sembra fondamentale. In Cina chi si professa cattolico apostolico romano è perseguitato dal regime e incarcerato. La Chiesa vive in clandestinità. Benedetto XVI vuole ridare la libertà religiosa ai cattolici e, poiché non ha un esercito e la bomba atomica, usa l'unica arma che ha: il dialogo. Arroccarsi su una posizione di principio significa condannare i cattolici alla persecuzione infinita e più cruenta e non mi sembra che nessuno di noi abbia il diritto di chiedere a milioni di persone di sacrificarsi in nome di un principio che noi enunciamo comodamente seduti sulle nostre poltrone, mentre questi milioni di persone vengono uccisi.
A fare pressioni sulla Cina non deve essere il Vaticano (che peraltro, a differenza di altri paesi occidentali come l'Italia, riconosce Taiwan). Ma dovremmo, semmai, essere noi (europei e americani). Che, invece di farci vicendevolmente le scarpe per conquistare fettine di commercio cinese, dovremmo metterci d'accordo per fare pressioni su Pechino tutti insieme.
Ciao,
harry
Più che un post sulla politica della Chiesa in Cina voleva essere un post che contesta certa lettura "politica" dei pontificati con cui si tirano Wojtyla e Ratz. per la tonaca.
ciao
Prima nazista, ora col pungo chiuso e nemico dei laici, domani come lo si ritrarrà il povero Benedetto XVI? Col coltello da decapitazioni?
Guardi, glielo dico con l'affetto e con la stima che nutro per lei : "ma va là, va là, va là!"
:)
Harry sa quanto lo stimo. Ma che per giustificare l'operato di Ratzinger si arrivi a riscrivere la storia fino a far passare Jaruzelski come un riformatore mi sembra un po' troppo. Credo che Wojtyla si rivolterà nella tomba e Walesa nella poltrona.
Ma non sarebbe più semplice lodare Ratzinger quando lo merita e criticarlo quando si deve? Vuol dare la libertà a milioni di cattolici? Perché invece di scendere a compromessi con il regime non dichiara che la dittatura cinese offende non solo i cattolici ma un miliardo e trecento milioni di persone? Perché sacrifica i rapporti con la democratica Taiwan (non ci sono cattolici a Taiwan?) per strizzare l'occhio a Hu Jintao che userà questa apertura come arma politica per rinforzare il suo potere?
Davvero, onoriamo la memoria di Wojtyla come si deve. Ratzinger appoggi le Solidarnosc cinesi e fra qualche anno ne riparliamo.
Saluti.
Enzo
Appunto, Enzo, tra qualche anno. Diamogli tempo, è stato eletto da neanche un mese.
Con stima a tutte alle persone intervenute
Daisy Miller
Quel che ho scritto di Jaruzelski si può trovare su molti libri di storia. Ne cito solo un paio:
- G. Mammarella, Storia d'Europa dal 1945 a oggi, Laterza;
- G. Formigoni, Storia della politica internazionale nell'età contemporanea, Il Mulino.
Lo stesso si può trovare nel Libro nero del comunismo, che non è certo un esempio di propaganda sovietica. Ma affermare che Jaruzelski non fu uno stalinista non significa dire che fu un illuminato liberale. Anche Nagy era un comunista, ma da noi viene ricordato come martire della repressione sovietica. Stiamo parlando, all'interno del paradigma del totalitarismo comunista, di un dittatore che contribuì a portare fuori il suo paese dalla dittatura senza spargimenti di sangue.
La vicenda di Jaruzelski è costituita da due fasi. La prima, repressiva. E va dal colpo di stato a (più o meno) l'avvio della perestrojka. Si tratta di una fase in cui la dirigenza polacca vuole evitare che l'Armata Rossa intervenga a sedare le manifestazioni di Solidarnosc. Jaruzelski reprimerà le rivolte, facendo arrestare i leader di Solidarnosc, ma opponendosi all'ala "radicale" del partito comunista che chiede la loro soppressione. Sedata la rivolta, cominceranno a esservi lenti e progressivi allentamenti della repressione (i prigionieri verranno via via liberati). E si tollera Solidarnosc, pur senza riconoscerla legittimamente. Ovviamente Wojtyla e Walesa continueranno a lavorare sottotraccia. Ma è quando appare ormai chiaro che l'Urss non interverrà più con l'esercito nei paesi satelliti che allora Jaruzelski (al contrario per esempio di Ceausescu) aprirà all'opposizione, chiamerà Solidarnosc al dialogo, si recherà in Vaticano, e farà percorrere al paese la strada della transizione.
Questo non vuol dire che fu un leader democratico, ma riformatore sì: non c'è solo il bianco e il nero. Ciao!
harry
Se il generale Jaruzelski fu costretto a capitolare non è perché credesse nelle riforme ma perché l'evoluzione della società polacca e l'opposizione crescente al regime non gli lasciarono altra scelta. Se Wojtyla e la Chiesa, invece di lavorare allo scardinamento della dittatura, si fossero messi d'accordo con lui oggi saremmo probabilmente qui a raccontare un'altra storia. Se oggi Ratzinger, invece di una pacifizazione Zapatero-style, lavorasse per consolidare un'opposizione non-violenta al regime cinese seguirebbe la strada del suo predecessore e forse dimostrerebbe di non pensare solo all'interesse immediato di milioni di cattolici (ma davvero crede che Hu gli darà quel che vuole?) ma a quello a medio e lungo termine di un miliardo e trecento milioni di cinesi.
Ma possibile che lo debba spiegare proprio io a un cattolico di tutto punto?
Saluti.
Enzo
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