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Wednesday, May 11, 2005

Le responsabilità vanno cercate oltre Yalta

Continuo a "piegarmi ma non a spezzarmi" e pare che Roosevelt sia da "scagionare" in quanto vittima di una «cospirazione». Anche a. man. "si piega ma non si spezza", scrive che gi Stati Uniti a Yalta «non solo potevano, ma dovevano fare diversamente». Cosa e come non è dato sapere. Ma voglio fare un passo avanti.

L'intervento di André Glucksmann oggi su Il Foglio, e Alessandro Tapparini su Notizie Radicali, mi danno modo di precisare ulteriormente il mio pensiero in questo dibattito su Yalta. A ben vedere lo spirito di Yalta che aleggia ancora e l'ordine che uscì non tanto da Yalta, ma dall'esito stesso della Seconda Guerra Mondiale - un'ordine allora molto meno plasmabile da parte dei Roosevelt di quanto oggi ci appaia - sono gli elementi più condannabili. Non gli accordi in particolare, la conferenza, le intenzioni e le capacità (seppure con i limiti e le "cospirazioni") dei protagonisti, ma la visione, le politiche di appeasement e coesistenza, i pregiudizi, di quanti tra leader politici e intellettuali per decenni, fino all'avvento di Reagan, considerarono irreversibile, insuperabile, persino conveniente quella falsa stabilità, quell'ordine dei due blocchi, quell'equilibrio fondato sul terrore.

Seppure quell'ordine fu necessario ai tempi di Yalta, e per chiudere la Seconda Guerra Mondiale, ciò non significa che lo dovesse essere negli anni immediatamente successivi. Chiamo in causa chi quell'ordine continuò a ritenerlo necessario: conservare, o non agire in modo attivo per sovvertirlo, divenne negli anni sempre più un comportamento condannabile. E' sulla lezione di questi sessant'anni che possiamo concordare: laddove sono assenti libertà e democrazia non esistono pace e stabilità. Per questo continuerò a ritenermi un liberale "assalito dalla realtà". E dalla realtà anche Churchill (un po' troppo lasciato in pace in questo dibattito) e Roosevelt dovettero farsi assalire.

La conclusione di Glucksmann è da sottoscrivere, perché alla faccia di Sergio Romano (che storico non è) la storia, le verità che gli studi e la ricerca raggiungono, sempre aggiornabili e smentibili, devono eccome entrare nella politica.
«Quanto alla storia riservata agli storici, noi non siamo bambini nati dalla tabula rasa, dall'assenza di memoria. La storia sta nell'attualità. Lasciarla agli storici vuol dire ingannare la gente, raccontare delle favole, come fa Vladimir Putin, quando ripropone il mito della Russia sovietica, e nega il rapporto tra tirannide stalinista, gulag e lotta al nazifascismo. La verità è utile in politica. Ed è una questione di politica. Se oggi il culto di Stalin risorge dalla Russia profonda, non è perché c'è troppa storia in circolazione, ma perché non c'è abbastanza verità storica».

3 comments:

Anonymous said...

La conclusione di Glucksmann è deliziosa.

SL

Anonymous said...

Ha ragione Glucksmann: il giudizio su Yalta è stato dato da oltre vent'anni, dall'epoca di Solidarnosc. In compenso in Italia, nelle piazze, si urlava "la coesistenza è truffa", credendo (e facendo credere) che i truffati fossimo noi occidentali, invece di quei milioni di "altri" europei dei paesi dell'est privati della libertà e del benessere.
Donatello - BlogGlob

Anonymous said...

Che ne pensi di quanto ha detto oggi Buchanan sull'argomento ?

Buzzurro