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Tuesday, May 03, 2005

Le divergenze compatibili

Può sorprendere, può apparire paradossale, ma i due rapporti, americano e italiano, sull'uccisione dell'agente del Sismi Calipari sulla via dell'aereoporto di Baghdad, sono compatibili. Due mezze verità (diciamo una mezza e un quarto) che si completano e che a chi voleva vedere apparivano con chiarezza già da quella tragica serata. Le responsabilità americane stanno tutte nell'intrinseca fragilità di questi posti di blocco, in particolare di questo sfortunato "volante" in una delle strade più pericolose di Baghdad, in una giornata già confusa dalle misure di sicurezza per l'ambasciatore Negroponte, in una guerra che ha costretto i comandi Usa, non per avventatezza ma per necessità, a utilizzare soldati delle riserve, più fragili dal punto di vista emotivo e dello stress. Leggi Michael O'Hanlon (Brookings Institution). Anche se lo stesso rapporto italiano definisce solo «verosimile» (né vero né falso, forse appena probabile) che la tensione, l'inesperienza e lo stress siano state causa dell'incidente.

Le responsabilità italiane stanno soprattutto nella scelta di agire senza coordinamento, in semi-clandestinità, in una zona controllata dall'esercito americano. Quanto più il check point era di quelli "voltanti", tanto più risulta verosimile che l'autista della toyota abbia potuto trascurare in quel punto la velocità dell'auto e reagire bruscamente alla vista improvvisa del check point. Ha giocato senz'altro a sfavore la scelta di non utilizzare i fuoristrada della coalizione ma di tenere il basso profilo di confondersi tra le auto irachene, ma a tutto questo e a operazione conclusa, poteva ancora esserci un rimedio.

Mi pare che molti giornali abbiano riportato in modo tendenzioso questo passaggio del rapporto italiano, che è una conferma, non una smentita, della precisa scelta di mantenere in semi-clandestinità l'operazione di ritorno dell'ostaggio in Italia. Si legge nel rapporto:
«Mentre è verosimile che la catena di comando statunitense non fosse formalmente a conoscenza del contenuto specifico della missione è, invece, indiscutibilmente certo e assodato che fosse al corrente dell'arrivo del dottor Calipari» e dell'altro funzionario del Sismi, nonché «della loro permanenza» e «dello svolgimento da parte loro di un'attività istituzionale... Era stata infatti richiesta e ottenuta l'assegnazione di alloggi all'interno della base Usa di Camp Victory nel caso la missione fosse durata più giorni... I due funzionari del Sismi, armati di pistola, non avevano fatto mistero della circostanza che si stavano dirigendo verso una località di Bagdad e che sarebbero ritornati non appena cessate le esigenze operative, presumibilmente in serata».
Proprio queste frasi inchiodano i responsabili dell'operazione. Riportare questo passaggio con "gli americani erano a conoscenza della missione, solo non dei dettagli" è quanto meno inesatto. Con il riferimento all'«arrivo» di Calipari si intende il suo arrivo e permanenza a Baghdad, non il suo arrivo in aereoporto, né tantomeno è sottointeso che l'«attività istituzionale» fosse legata al sequestro Sgrena, e comunque non alla sua imminente liberazione e trasporto in Italia. E c'è invece un punto essenziale del rapporto americano nient'affatto smentito da quello italiano. Nel momento decisivo del viaggio dell'auto di Calipoari verso l'aereoporto, almeno in quegli ultimi istanti ultili, i comandi americani potevano essere avvertiti dell'arrivo di Calipari che portava in salvo l'ostaggio. Ce ne fu l'occasione e non fu fatto.

Il gen. Mario Marioli, vicecomandante della Forza multinazionale in Iraq, la sera del 4 marzo aspettava al check point dell'aereoporto la toyota, lo stesso ufficiale - hanno ripetuto per giorni Governo e Sismi - che aveva informato il capitano Green, addetto al rilascio dei badge. Peccato che accadde il contrario, lo informò ordinandogli di tacere, mentre con una semplice telefonata avrebbe potuto avvertire tutti i posti di blocco lungo il percorso, fissi e volanti, dell'importanza della missione e di lasciar passare la toyota che per l'incolumità degli occupanti doveva raggiungere l'aereoporto in tutta fretta. Si legge nel rapporto americano (su questo non smentito):
«Alle 20.30 il generale approcciava il capitano per sapere come stava e chiedergli se il tenente colonnello gli avesse detto cosa stava accadendo. Il capitano rispondeva "no", ma aggiungeva che sospettava che stesse accadendo qualcosa che aveva a che fare con la Sgrena. Il generale gli disse: "Sì, ma è meglio che nessuno lo sappia". Il capitano prese quello di non comunicare la circostanza a nessuno come l'ordine di un superiore. Inoltre, il generale non aveva alcuna intenzione che il capitano prendesse qualunque iniziativa».
Particolarmente duro, ma condivisibile, con le responsabilità e le «reticenze» italiane (se in casi come questi è consigliabile guardare prima in casa nostra) è l'editoriale di Giuseppe D'Avanzo, su la Repubblica, che nelle ultime righe delle 67 pagine del rapporto italiano individua 4 conclusioni «alquanto nette» che suonano ocme un "vorrei ma non posso":
«Se si parte dalla coda, si comprende che il governo italiano non ha in mano nessuna fonte di prova - né forse la voglia o la possibilità - di accusare alcuno. Il governo italiano conviene che è stata una tragedia accidentale. Un omicidio colposo. Nessuno può finire sul banco degli imputati. è una conclusione che, se si escludono le percezioni del maggiore e della Sgrena, si sovrappone agli esiti dell'indagine americana come una fotocopia al punto che c'è da chiedersi perché Palazzo Chigi si è risolto a non firmare il lavoro della commissione».
Sul perché, D'Avanzo è particolarmente duro con il Governo e richiama tutta la lunga fila di depistaggi e reticenze (i nostri militari hanno già dimostrato - vedi Ustica - di sapersi difendere benissimo personalmente) messe in atto in questi giorni giocando sull'«orgoglio patrio» e facendosi forte dell'eroismo di Calipari:
«Il governo deve salvare la faccia. Ha giocato la sua partita inalberando il vessillo della "dignità nazionale" e dell'"orgoglio patrio", avvantaggiandosi dell'inedito sostegno della sinistra radicale. Contemporaneamente il capo del governo non può davvero rompere con gli americani. Dà allora un colpo al cerchio e un altro alla botte. Accetta la conclusione del comando multinazionale e dissemina il rapporto di reticenze e trucchi verbali. Deve stare alla trama dei fatti non ai fantasmi della propaganda e, quelli, i fatti, non gli offrono alcuna vera possibilità di spingere in fuorigioco l'amico americano. Quando bisogna mettere parole nero su bianco non lo si può fare con i veleni o i bocconi tossici distribuiti in questi giorni all'opinione pubblica».
Dunque, mancano nel rapporto italiano tutte quelle rivelazioni diffuse e accreditate da "fonti di intelligence" o da "fonti vicine al governo" in queste settimane che avrebbero dovuto inchiodare gli americani:
«Non c'è la bubbola che Nicola Calipari fosse pedinato nella sua missione a Bagdad. Scompare nel nulla venefico da cui era nata, la notizia che un'auto ha seguito la Toyota Corolla per un'ora nelle strade della città. Non si ha traccia dell'aereo che teneva dietro l'auto degli italiani lungo l'autostrada verso l'aeroporto. Non c'è più traccia della comunicazione che il Sismi avesse informato il capostazione della Cia della missione che doveva riportare a casa la nostra giornalista. È stato uno dei punti chiave. Roma, il Sismi, il governo, il ministero della Difesa - non si sa chi - aveva comunicato al comando della forza di coalizione che Nicola Calipari sarebbe atterrato a Bagdad per liberare la giornalista? Le "soffiate" distribuite prevedevano, un sì o un nebuloso sì forse.

La Cia lo sapeva. Di certo, dicevano le voci di dentro ai giornali, il capitano Green, aiutante di campo del nostro generale Marioli sapeva, era stato informato 20, 25 minuti prima della sparatoria. Purtroppo è saltato fuori che, è vero, il generale Marioli disse a Green che in aeroporto stava arrivando con Calipari la Sgrena, ma gli disse anche di tenere la bocca chiusa con tutti.
(...)
Tutte le bagatelle costruite, con il consueto metodo depistatorio che ha governato la nostra lotta al terrorismo, si sono afflosciate come un sacco vuoto, alla prova di un documento ufficiale. Quel che resta nero su bianco sono, si può dire, osservazioni da polizia stradale incrociate alle notule di un burocrate ministeriale.
(...)
Quel che segue è addirittura imbarazzante perché sembra che l'estensore, gli estensori del rapporto vogliano discutere della tragedia di Nicola Calipari come se si trattasse di un incidente stradale lungo la Roma-Civitavecchia. È fuor di dubbio, che i rilievi della scientifica sul tratto autostradale italiano siano possibile ad ogni ora del giorno e della notte, ma i rappresentanti italiani (o chi ha corretto il loro lavoro) sembrano pretendere che le stesse modalità siano rispettate su un'autostrada detta "della morte", dove per ogni miglio ci sono in media quasi dodici attacchi al giorno».
Anche Giuliano Ferrara, nel suo editoriale di oggi su Il Foglio scrive che quando le categorie usate sono quelle dell'eroismo dell'agente e dell'orgoglio nazionale, «emozioni e demagogia si incontrano, i fatti in realtà scompaiono».
«Occorre la condanna preventiva dei soldati che hanno sparato per ottenere l'assoluzione preventiva del nostro operato. Ma nonostante l'amicizia per il governo italiano alleato, gli Stati Uniti non sono in grado di cancellare le informazioni in loro possesso e offrire questa via d'uscita... Una soluzione molto all'italiana, buona per salvare il senso di un'operazione nata dalle migliori intenzioni (liberare la Sgrena pagando un riscatto e filandosela via in tutta fretta) ma finita male, con un tragico incidente probabilmente reso possibile da cattivi metodi.
(...)
Insomma, visto che si è deciso che i fatti non contano, visto che è fallito il compromesso per definire una verità possibile all'insegna della ragion di stato, ciascuno rifluisce nella sua verità di parte e nel suo vantaggio particulare, con un premio speciale della giuria a chi rinnova il grido: "Ritiriamoci dall'Iraq per ritorsione immediata". E' andata così, e non c'è niente da fare. L'unico effetto collaterale da evitare, per ragioni di decenza, è l'uso e l'abuso dell'eroismo di Nicola Calipari per suffragare vantaggi particolari. Il valore del comportamento di un funzionario come lui non si dovrebbe pesare sulla bilancia delle polemiche di parte: semplicemente, non è in discussione».

3 comments:

Anonymous said...

A proposito di divergenze catastrofiche... che ne pensi di questo articolo di Pelanda?
Pagheremo tutti la "cassandrizzazione" della vision politica Radicale sulla promozione globale della democrazia, della libertà e dei diritti umani?
Dove sono le "internazionali" dei sindacati dei lavoratori?
Ciao
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Se Europa e Usa non convergono, sarà una crisi a ristabilire l’equilibrio economico globale.

Chi fa scenari globali sta osservando un aumento di probabilità del caso peggiore: gli squilibri economici nel mercato planetario saranno ribilanciati attraverso crisi e non via azioni di governance che le evitino.
Per esempio, il disequilibrio provocato dall’eccesso di competitività delle esportazioni cinesi non può essere ribilanciato solo da una rivalutazione dello yuan, come invece – segno evidente di impotenza – raccomandato dai G8 nell’ultimo vertice di Washington, ma richiede un incremento progressivo del costo del lavoro in Cina, cioè la riduzione del “social dumping” lì praticato.
Ottenibile solo con una pressione che imponga a Pechino la costruzione graduale di un welfare, cioè di garanzie e salari più elevati per i lavoratori.
Ma solo la convergenza di forze tra Usa ed Ue potrebbe convincere i cinesi ad alzare i costi del sistema interno perché renderebbe credibile la minaccia di un maggior svantaggio politico ed economico se non lo facessero. Senza tale convergenza, i cinesi, invece, possono ricattare e ciurlare come vogliono.
Altro esempio. L’America importa da tutto il pianeta, ma non esporta altrettanto. Ciò crea un deficit commerciale che deve essere necessariamente riequilibrato da un ritorno equivalente di dollari nel mercato statunitense. Ma il deficit è tale da richiedere oggi quasi 60 miliardi di dollari al mese, 80 domani senza variazioni. In tale tendenza il riequilibrio delle tensioni avverrà come nei terremoti: caduta del dollaro e delle Borse, tutto il pianeta in recessione, devastante nell’eurozona. Per evitarlo, l’Europa dovrebbe crescere di più ed assorbire parte dell’export planetario che ora grava sulla sola America. E le due banche centrali dovrebbero coordinarsi, e molto, sul piano della politica monetaria e, indirettamente, di cambio.
In sintesi, la crescente probabilità di riequilibrio via crisi dipende dalla mancata convergenza tra Usa ed Ue per il governo del sistema mondiale.
E in alcuni think tank, nelle simulazioni, si è visto con chiarezza che per l’ordinamento mondiale manca un pezzo dell’ordinatore: un’Europa estroversa e più attiva sul piano geopolitico e crescente su quello economico, combinata con un’America, semplificando, meno arrogante nella relazione con gli europei. Ma cosa può svegliare il gigante europeo e convincerlo ad unirsi a quello americano in modo che il mondo sia retto da un Atlante a quattro braccia e non solo a due?
Finora non si è visto alcun segnale. Ma, recentemente e miracolosamente, qualche voce governativa europea sta vagamente cogliendo il punto. Un filo di speranza c’è, lo si capisca più in fretta prima del sisma.

Carlo Pelanda, Il foglio, 03.05.05

Rabbi' said...

Quante storie, ancora, su questa vicenda... Un tragico incidente di guerra. Perche' per forza si devono trovare dei responsabili? Una disgrazia puo' sempre succedere. Se gli italiani non hanno avvisato gli americani, un motivo l'avranno avuto. Se gli americani hanno sparato sulla Toyota, un motivo l'avranno avuto. Sto cominciando a scocciarmi della tiritera di "e' colpa degli americani che mettono ragazzini inesperti e tremanti di paura ai posti di blocco" e dei "servizi italiani che hanno fatto tutto di testa loro" e dei " ritiriamoci dall'Iraq perche' non siamo complici del massacro che stanno facendo gli americani". E basta. Per fare le frittate, bisogna rompere delle uova. A volte rompi quelle sbagliate, per errore, ma non e' che devi rinunciare alla frittata.

Anonymous said...

Concordo con l'analisi: divergenze compatibili. E' la stessa tesi tra l'altro della Cnn: "the two Administrations will agree to disagree".
Per alleggerire un dibbbattito che
- concordo con Rabbi - è andato ben sopra le sue righe, come al solito qui da noi, considero che c'è qualcosa che effettivamente accomuna questa tragedia con un incidente sulla Roma Civitavecchia: è la solita tragicomica affermazione del conducente:"sarò andato a 40, 45kmh, non di più ... ". Una volta si sarebbe detto che noi italiani ci facciamo sempre riconoscere.
ciao, Abr