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Monday, June 13, 2005

Dai referendum un bagno di realtà

Alla delusione dovrebbe subentrare un tentativo di comprensione. Gli astensionisti hanno vinto, ma non sono stati determinanti. La foto del post precedente è lì più che altro perché era ghiotta e l'avevo preparata giorni fa. L'assenza e l'indifferenza degli italiani, che in queste proporzioni non possiamo mettere in conto neanche alla campagna astensionista, hanno oggi toccato un livello tale da farci rabbrividire e chiedere in quale paese viviamo. Ce lo dobbiamo chiedere, perché non lo sappiamo. E in politica non è un particolare.

Riprendo qui il post di milton, che fin dalla mattina di ieri centrava il nodo del problema:
«Tale è lo stato in cui versa la gran parte della gente, che essa è raggiungibile solo attraverso i programmi imbecilli e volgarissimi che segue in tv... Ma quel che più conta - e temo conterà anche in questo risultato elettorale - è la distanza del dibattito dalla realtà sociale: mentre la politica non ha occhi ed orecchi che per le poltrone rai e le recriminazioni sui reciproci spazi televisivi, generazioni intere vengono svezzate ed educate da un'unica, orrenda nurse che ne fa dei qualunquisti, dei pupazzi ridicoli, dei cinici strafottenti se non dei criminali».
Chi dovrebbe saper colmare quella distanza? La politica, in questo caso i referendari. E' sempre possibile inveire contro l'arbitro cornuto e l'avversario scorretto. E in questo caso l'arbitro era cornuto e l'avversario pure scorretto. Ma se hai perso 4 a 0, dovresti chiederti se la difesa è ballerina e l'attacco inconcludente. Lo scrive Massimo Franco sul Corriere della Sera:
«Il vero scacco del fronte referendario è stato di continuare a immaginare un'"Italia reale" che esiste solo nella nostalgia degli anni '70 e '80. Il Paese offre una modernità che può non piacere, apparire retrograda; ma che è inevitabile e obbligatorio cercare di intercettare e di comprendere, per evitare le smentite brucianti della realtà».
A chi spetta, se non a chi fa politica, «di intercettare e di comprendere»? Da quanti anni ai radicali, in questo assimilabili - pur con ragioni diversissime - agli altri partiti, non riesce «di intercettare e di comprendere»? La cosa preoccupante è che la politica non ci riesce più se non irrigimentando il gregge in occasione delle elezioni politiche. Aldo Cazzullo ha trascorso la giornata di ieri in compagnia di Pannella, che ha ribadito una lettura che fa da anni della politica italiana: viviamo in «un'atmosfera da fine Anni Venti. L'Italia torna a essere un paese singolare, come all'avvento del fascismo. Questo referendum passerà alla storia come un censimento, una conta, pro o contro l'inizio di un regime totalitario. Per questo sarà bello dire: io votai, noi votammo». Massimo Bordin, racconta Cazzullo, lo ha interrotto: «A Marco, la differenza vera è che so' passati trent'anni».
In questo scambio c'è quello che voglio dire. Il riferimento agli anni '20 non va banalizzato pensando a un ritorno del fascismo così come lo conosciamo. Se negli anni '20 e '30 del secolo scorso l'Europa ha vissuto tragicamente l'ingresso delle masse nella storia, nella politica, è perché il fenomeno non fu compreso dal mondo liberale, ma intercettato e irrigimentato dalle ideologie. La «nazionalizzazione delle masse», di George Mosse.

Oggi le masse, nonostante l'astensionismo referendario possa far credere che stiano uscendo dalla politica, in realtà rimangono ben presenti, ma in quale modo? Forse in un modo troppo simile agli anni '20 e '30. Quando le masse fecero il loro ingresso nella politica intercettate dal fascismo, dal nazismo e dal marxismo-leninismo, non furono poste nelle condizioni di decidere, di «conoscere per deliberare», ma furono strumentalizzate. Accade qualcosa di molto simile oggi negli scontri elettorali: si affrontano blocchi capaci solo di delegittimarsi a vicenda, il cui dibattito politico è lontano dalla realtà sociale, ma che riescono a portare i voti all'ammasso facendo leva sulle clientele o sull'appartenenza identitaria. Quante ferite può sopportare la democrazia? Dovute al degrado istituzionale e all'assenza della funzione di controllo di un'opinione pubblica degna di questo nome?

Quando i cittadini si trovano di fronte a un tema singolo su cui farsi un'idea, a dover «conoscere per deliberare», rimangono smarriti. Divenuti professionisti nel chiedere di portare i voti all'ammasso, i partiti (in questo caso i Ds, gli altri non ci hanno nemmeno provato) non riescono più a "fare opinione", a "intercettare" le passioni e le motivazioni più profonde del proprio elettorato. Se il dibattito pubblico è costantemente estraneo al vissuto dei cittadini, la politica e i media perdono ogni credibilità ai loro occhi, e non la recuperano certo occasionalmente, quando finalmente il dibattito si riavvicina al suo naturale destinatario.

Il dibattito sui quesiti referendari ha coinvolto solo i promotori e i difensori della legge 40, ha appassionato la grande stampa e noi piccoli blogger, ma non i cittadini. Se davvero crediamo in ciò che facciamo, cioè a vario titolo politica e informazione, non possiamo, nessuno di noi, essere soddisfatti di vivere in un paese dove ce la cantiamo e ce la suoniamo.

Il quotidiano il Riformista, in un editoriale di oggi, ha parlato di «paese post-democratico», di una politica «debole, condizionata, ricattata», che dunque «obbedisce, tacendo o parlando a comando». Una politica che «sa di non rappresentare il popolo... di trarre la sua residua forza dal favore dei poteri extra-politici e si comporta di conseguenza»: «Ruini ha detto di tacere, e che silenzi hanno ottenuto. Il grande silenzio organizzato dell'astensione, che si incista su una debolezza della democrazia, l'apatia, per farsene beffe».
«Qualcuno avrà trovato curiosa la sintonia di questi giorni tra Fassino e Fini, ai due antipodi in Parlamento, sul referendum. Tanto curiosa non è: sono entrambi figli della prima Repubblica, del tempo dell'autonomia della politica, e del Leviatano di Hobbes. Pensano ancora, poveri illusi, che il Sovrano abbia il monopolio del potere, e che il popolo sia il Sovrano. Così non è più in questa post-democrazia, dove comandano le lobby e i media, ognuno padrone nel suo feudo, e il Parlamento non è più il luogo della sovranità».
Dinanzi a questo panorama «post-democratico», «riprendono il sopravvento i grandi poteri non democratici che avevano governato la vita degli uomini: la Chiesa e l'Aristocrazia».

5 comments:

Rabbi' said...

Direi che il tuo incipit e' perfetto, la gente se ne frega. Ma da qui a dire che Aristocrazia e Chiesa riprendono il potere, mi sembra che salti un po'. In piu' dobbiamo anche guardare in faccia alle cose: un politico non e' mero esecutore della volonta' popolare. Un politico e' capace di analisi e sintesi, e se ritiene che una cosa sia positiva per il Paese, la fa e la difende al massimo cercando di convincere chi non la pensa come lui. Guardiamo Blair, per fare un esempio.
Il problema e' forse questo, che la politica ha cessato di essere propositiva ed e' diventata vergognosamente passiva. A parte i Radicali, devo dire.
Forse oggi la vera sfida non e' riportare la gente nei seggi, che sia per referendum o per elezioni. Oggi la sfida e' riportare le scelte e le proposte al centro della politica. La gente torna e partecipa se e nella misura in cui esistono proposte su cui confrontarsi e su cui ci si possa rispecchiare.

JimMomo said...

D'accordo con entrambi.

Rabbì, il post va letto nella chiave con cui lo hai commentato.
ciao

Anonymous said...

"Alla luce dei numeri e voltandosi indietro per guardare alla campagna referendaria, emerge uno scenario per cui ciò che pensa il Paese reale coincide sempre meno con le idee degli opinion makers e delle élites intellettuali. Ieri gli italiani hanno forse riscoperto le loro radici millenarie, perché se è vero che lo Stato è laico e la società secolarizzata, è altrettanto vero che questo voto boccia il credo laicista e il totem dello scientismo sganciato dai valori morali."
(Mario Sechi, Il Giornale, 13/6/2005)


"[...] se ufficializzata, la disfatta del fronte referendario risulterà più pesante e in un certo senso dovrà essere valutata come un segnale « di sistema » . Viene alla ribalta un'Italia impermeabile, di più, indifferente ai messaggi di una classe politica che, soprattutto a sinistra, usa categorie autoreferenziali quanto consunte. Sia o no cattolica, vota o si astiene non perché glielo chieda o glielo vieti qualcuno, ma perché tira le proprie conclusioni: che piacciano o no. In qualche misura, è la conferma del superamento di qualsiasi dicotomia fra laicità e cattolicità. Soprattutto perché si tratta di una divisione che l'opinione pubblica ha archiviato da tempo, sebbene minoranze clericali e anticlericali cerchino di perpetuarla insieme alle proprie posizioni di rendita. [...]

Probabilmente il presidente della Cei si asterrà da trionfalismi nel rivendicare la vittoria, anche perché è il primo a sapere che l'Italia non si è astenuta perché gliel'ha ordinato lui, ma perché il suo suggerimento coincideva con le convinzioni e le perplessità di larga parte dell'opinione pubblica. [...]
(Massimo Franco, Corriere della Sera, 13/06/2005)

Anonymous said...

Veramente mi pare che la larga parte dell'opinione pubblica non sapesse neanche di cosa trattavano i referendum....e quel che è peggio non gliene fregava nulla...

Benvenuti alle soglie del Medioevo prossimo venturo.....

Anonymous said...

Non vi voglio male, però mi tocca informarvi:

Enrico La Loggia (FI): "Si può cominciare ad aprire una riflessione sulla Legge 194. Vedo, e sono certo di non essere il solo, una forte ripresa di quei principi e di quei valori che sono a fondamento della religione cattolica e che sono alla base del nostro vivere civile".

Maria Grazie Sestini (FI): "Discutiamo per cambiare la 194, in qualche modo. Il primo articolo della legge 40 è in contrasto con la legge 194".

Vogliamo spostarci un po' più a destra?

Alessandra Mussolini (Azione Sociale): "Sono favorevole a una revisione della 194 atta a garantire la tutela della donna e il feto".

Riccardo Pedrizzi (AN): "Esprimiamo soddisfazione e apprezzamento per l'iniziativa annunciata dal ministro della Salute, Francesco Storace, di istituire una commissione ministeriale con lo scopo di capire come è stata attuata, finora, la legge 194".

Maurizio Ronconi (UDC): "Dopo il fallimento del referendum, ora bisogna adeguare la 194".

Roberto Fiore (Forza Nuova): "Il pronunciamento del popolo italiano impone di abrogare le leggi abortiste".