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Thursday, June 09, 2005

Sono anche affari nostri

Fino all'ultimo si spende anima e corpo il Card. Camillo Ruini. Stavolta però il tentativo è quello di arrestare la deriva di un giochino che gli è sfuggito di mano e che potrebbe addirittura rivelarsi controproducente a causa dei confini oltre i quali si è spinto.
«... non siamo e non saremo noi ad esacerbare i contrasti e le contrapposizioni... non vogliamo forzare le coscienze...»
Rassicurazioni che stridono con quelle che sono nei fatti la prepotenza e l'invasione di campo della campagna per l'astensione portata avanti dalla Cei e dal Comitato Scienza e Vita, finanziato da anonimi benefattori. Non è solo uno spaventato JimMomo a sostenerlo, né i peggiori relativisti o radicali di questo paese. Gian Antonio Stella è stupito del fatto che «il mondo cattolico più attento ai principi sacri e intoccabili della democrazia non abbia colto fino in fondo il senso della denuncia» di Don Andrea Gallo.
«In ballo non sono solo i valori per cui legittimamente si battono (forsennatamente, a volte) i difensori della legge in vigore sulla procreazione assistita o quelli per cui altrettanto legittimamente (e altrettanto forsennatamente) danno battaglia i sostenitori del sì al referendum. C'è qualcosa d'altro. Non so se più o meno importante dei quesiti morali e scientifici posti dai referendum, ma c'è: il segreto dell'urna. Vale a dire il nocciolo della libertà di pensiero. Quello che per primo viene negato, violato, vilipeso da ogni dittatore di destra o di sinistra, al momento di imporre il suo potere.

Don Andrea Gallo... dice che, se l'invito (legittimo) dei vescovi alla astensione si dovesse fare troppo pressante, com'è sotto gli occhi di tutti in questi ultimi giorni di campagna, ogni cattolico che sceglierà di votare (magari votare no, ma votare) sarà automaticamente marchiato come un disobbediente. Con tanti saluti alla segretezza del voto e alla separazione Stato-Chiesa. "Io non posso accettare che il mio vescovo mi ordini di non andare a votare", dice don Gallo. Ha ragione. E non sono solo affari suoi e del suo vescovo. Sono anche affari nostri».
Marco Politi, su la Repubblica, non ci va leggero, dopo quella strana frase pronunciata ieri dal Papa: «Astenersi da tutto ciò che è odioso a Dio». Che coincidenza.
«Lascerà tracce questo 12 giugno referendario marcato da una invadenza ecclesiastica senza precedenti. Parroci, vescovi, cardinali: tutti mobilitati a prendere per mano l'elettore cattolico e vietargli l'ingresso in cabina elettorale. E' una vicenda che riporta le relazioni tra Stato e Chiesa indietro di cinquant'anni... si sta giocando una partita sui diritti del cittadino e del credente. La posta in gioco è la libertà di ogni uomo e di ogni donna italiani di entrare nel processo legislativo con il proprio voto, dato in piena indipendenza e coscienza... I referendum... trasformano il cittadino in arbitro laddove il Parlamento ha promulgato una legge malfatta o di cui si chiede la verifica. Non c'è molto da arzigogolare su materie cosiddette complesse su cui il popolo bue non avrebbe la capacità di esprimersi.
(...)
Ormai lo hanno capito tutti. La campagna per l'astensione lanciata dalla dirigenza della Conferenza episcopale non è il grido coraggioso del testimone, ma un'astuzia tecnica, una "turbata" come la chiamano anche molti cattolici, una manovra studiata a tavolino per impedire che si veda in assoluta trasparenza su quali quesiti l'elettorato – prevalentemente cattolico, visto che siamo in Italia – manifesta il suo consenso e su quali no. C'è un silenzioso patto fondamentale, che presiede alla nascita dello Stato moderno e che vincola Stato e Chiesa ad un reciproco rispetto senza invasioni di campo. E' l'accordo per cui lo Stato non interferisce più nelle nomine dei vescovi, momento sovrano della vita ecclesiale, e dal canto suo la Chiesa non interviene direttamente nel processo del voto, momento supremo della sovranità popolare. E' questo patto che il cardinale Ruini ha rotto e mostra di ignorare. Non si tratta di impedire la libertà di parola di nessuno».
E ancora Politi affonda il coltello sulle piaghe giuste: i «sei o sette» che decidono per i duecentocinquanta vescovi della Cei, l'inerzia straordinaria dell'associazionismo cattolico, il dibattito «strozzato», la tattica dell'astensione studiata in segreto, la «militarizzazione» inquietante delle parrocchie.
«E' questa la Chiesa italiana? Oh no. Girando per il Paese, si incontra un cristianesimo vivace, plurale, dialogante, appassionato di fede e serenamente laico, con parroci, fedeli e vescovi molto umani e attenti ai problemi quotidiani. C'è un gap in Italia tra cattolicesimo reale e cattolicesimo istituzionale».
Uno scisma sommerso che prima o poi verrà a galla. Sarà uno tsunami.

E «se un qualsiasi presidente del Consiglio ci suggerisse di non andare a messa il giorno di Pasqua»? (Giordano Bruno Guerri per 4 sì).

Gian Enrico Rusconi su La Stampa riflette sull'asimmetria delle due concezioni che si confrontano: la semplicità di una equiparazione suggestiva che ha prodotto una legge estremista e la complessità di un'«etica della cura di tutte le vite» di 4 quesiti abrogativi moderati.
«Altroché "La vita non si mette ai voti"! come suona uno degli slogan più insidiosi degli astensionisti. A parte il fatto che la legge è già stata "messa ai voti" con una maggioranza parlamentare, che ha ostinatamente rifiutato ogni correzione migliorativa, l'astensionismo oggi equivale al rifiuto di prendere in considerazione un'idea diversa di "vita" che hanno altri cittadini. Questo è il punto, semplice, decisivo ma sistematicamente eluso in molta comunicazione pubblica che ripropone meccanicamente da un lato i difensori della "vita" (concetto che ruota integralmente attorno alla questione dell'embrione) e dall'altro tutti gli altri, che pure hanno una visione positiva, ma più complessa di "vita" in tutte le fasi del suo sviluppo».
A che prezzo? Quale sarà il conto che l'astensione presenterà all'Italia. Cerca di rispondere, sul Corriere della Sera di oggi, Sergio Romano:
«Se la legge di un Paese limita drasticamente la ricerca o addirittura vieta quella sulle cellule dell'embrione, i suoi studiosi emigreranno verso università e laboratori stranieri. Se la ricerca produrrà farmaci capaci di aggredire alcune insidiose malattie genetiche, i brevetti saranno stranieri. Ci asterremo dal produrre quelle medicine o dall'adottare quelle terapie perché derivate da esperimenti che violano i principi dell'ordinamento italiano?»
A questo ci spingeremo per coerenza con la legge 40?
«... tutti comunque, ricchi o poveri, scenderemo di parecchi gradini nella scala dei Paesi che accettano le sfide della modernità e vogliono condurre il gioco anziché subirlo... come i veneziani del '600 quando rifiutarono di costruire galeoni, come nei Paesi del Nord, e preferirono continuare a mettere in cantiere le vecchie galere del buon tempo antico... le navi inglesi, uscite da Venezia insieme a quelle veneziane, andavano e tornavano dalla Siria due volte "prima che i veneziani avessero compiuto un solo viaggio di andata e ritorno"».

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