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Wednesday, June 15, 2005

Invasioni di campo

Dai vincitori di questa campagna referendaria sento chiedere due cose agli sconfitti: riconoscere di aver avuto torto e di non essere in sintonia con il paese reale. Chiedere è lecito rispondere è cortesia, ma se la seconda richiesta è legittima, nel senso che fa parte di una sana autocritica per capire le ragioni della sconfitta, la seconda lo è un po' meno perché rivela una concezione distorta del confronto politico.

In democrazia a chi esce minoranza dalle urne non viene richiesto di abiurare, di riconoscere la ragione dell'avversario. Si troverà piuttosto a dover rispettare la decisione espressa (o non espressa) della maggioranza, ma il principio del rispetto della minoranza si fonda proprio sul presupposto che "i più" non posseggono la verità e che "i meno" possono a loro volta convincere gli altri delle proprie ragioni e divenire a loro volta "i più". Se il voto diviene un modo di accertare non chi "governa" ma chi possiede la verità, non avrebbe più senso curarsi di tutelare la minoranza: si chiama tirannia della maggioranza.

Non mi sorprende, perché la tentazione in cui gli astensionisti sono caduti molte volte durante la campagna è stata proprio quella di parlare come se si dovesse accertare chi fosse in possesso della verità. E' un ambito da cui la politica e il diritto devono rimanere fuori.

La legge è così brutta, sbagliata, ingiusta, feroce nei confronti di chi è sterile, di chi è malato, di chi fa ricerca, «che era un imperativo morale provarci, e non tutte le battaglie che meritano di essere combattute sono baciate dalla vittoria», osservava l'altro ieri il Riformista.
«Abbiamo perso perché sono stati più bravi loro. Loro sono quelli che l'hanno messa sul terreno dello scontro di civiltà, della guerra di valori, Sono quelli che hanno fatto appello ai dubbi e alle incertezze, che hanno discusso se nasca prima l'uovo o la gallina, sicuri che l'elettorato avrebbe rifiutato di rispondere a una domanda per definizione senza risposta... "Sulla vita non si vota". E' con questo slogan che hanno vinto. E noi abbiamo risposto che era giusto, che non si trattava di votare sulla vita, ma solo su alcuni articoli di una legge malfatta. Abbiamo cioè tentato la risposta empirica, razionale, dialogante... Non abbiamo accettato il terreno dello scontro di valori, e allora si è visto un valore, il loro, e nessun valore, il nostro. Avremmo forse dovuto dire che sì, sulla vita si vota, e che votando si diceva sì alla vita per le coppie sterili di oggi e per i malati di domani. Avremmo forse dovuto affrontare la sfida sull'embrione e dire che sì, una donna conta di più di un embrione».
In un futuro speriamo non troppo prossimo la prima vita salvata dalla ricerca sulle staminali embrionali nei paesi dove è consentita, o il primo conflitto in giudizio tra questa legge e la 194, costringeranno gli italiani a riconsiderare l'esito di questo voto, come oggi molti riconsiderano l'esito del voto sul nucleare.

1 comment:

Anonymous said...

Ciao Jimmono,
W l'Oligarchia illuminata quindi?

Mi piacerebbe avere il tuo parere sul mio post di oggi.
Chiedere è lecito...

Ciao!