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Saturday, June 25, 2005

Cosa ci serve, cosa facciamo

L'elenco delle cose che dovremmo fare sta nel programma che Tony Blair ha presentato al Parlamento europeo, ed è il tema dell'editoriale di Francesco Giavazzi sul Corriere della Sera di oggi:
«L'economia italiana non cresce perché sopporta il peso di troppe rendite (nelle professioni, nell'energia, nelle comunicazioni) e di regole disegnate per proteggere i fortunati che hanno un posto di lavoro (nelle fabbriche, nelle aziende pubbliche, nelle università) a scapito di chi è escluso...

Completare il mercato interno là dove ancora non funziona: professioni, energia, servizi finanziari; delegare le decisioni sul finanziamento della ricerca a una agenzia indipendente sul modello della National Science Foundation americana: solo Italia e Polonia hanno votato contro questo progetto, nel nostro caso per l'opposizione della lobby dei ricercatori, terrorizzati dalla prospettiva che i fondi vengano assegnati sulla base del merito; smetterla di destinare metà del bilancio europeo agli agricoltori; meno aiuti di Stato alle aziende grandi e decotte, vedi Alitalia, e meno tasse per quelle piccole e di successo».
Berlusconi si definisce, insieme al premier britannico, «alfiere del nuovo corso», ma cosa fa concretamente, qui e ora, per inaugurare il nuovo corso in Italia? Assume 40 mila (dico 40 mila) precari della scuola, ne promette altrettanti per l'impiego pubblico, mentre Blair ha snellito la burocrazia di 80 mila impiegati e ne ha messi in mobilità altri 20 mila. Affida il programma per il 2006 al colbertista e quasi-no-global Tremonti, per non parlare dei recenti aumenti agli statali. Si sa, entriamo nell'anno elettorale, ma Berlusconi crede davvero di ottenere voti da ceti tradizionalmente ostili al centrodestra? Come pensa, invece, di ridurre la spesa pubblica e realizzare l'obiettivo "meno Stato"?

Per comprendere bene lo spartiacque di fronte al quale ci troviamo in Europa è utile anche il punto di Piero Ostellino, oggi sul Corriere della Sera.
«... se dovere di ogni buon europeista è difendere l'Europa che ha prodotto un'agricoltura dirigista di tipo sovietico ma, al tempo stesso, parassitaria di genere corporativo, beh, allora, mettiamo fin d'ora in preventivo che, come europei, siamo condannati alla decadenza economica e a restare indietro nella competizione mondiale. Insomma, se invece di continuare a fare della retorica europeista, il dito dietro il quale nascondiamo la sudditanza a una cultura corporativa, dirigista e burocratica, facessimo empiricamente un paio di conti, capiremmo che quello che ci è stato finora venduto come un progetto di Europa politicamente unita e la burocratica e centralistica ossessione napoleonica di tutto armonizzare e regolamentare, che poco lascia alla spontaneità del mercato e all'autonoma liberta di scelta del cittadino...

L'idea di un'Europa liberale, aperta, nella quale gli interessi nazionali competano dentro un quadro istituzionale e un sistema economico autenticamente federali e il momento unificante siano l'euro, una politica estera e di difesa comuni, non una oguale quantità di cacao nelle barrette di cioccolato. Nel federalismo americano i singoli Stati hanno un'autonoma capacità legislativa in molti campi e lo Stato federale non è nato per devoluzione di sovranità da parte dei primi, ma ha una funzione di contrappeso (vedi Montesquieu, non Rousseau) rispetto a quelli. E se la mia idea fosse la stessa che sta inducendo anche molti altri europei a diffidare di questa Europa? Meditate gente, meditate».

1 comment:

Anonymous said...

Appunto: Berlusconi e' la caricatura di un liberista riformatore, cosi' come Fassino & C. sono la caricatura di una sinistra socialdemocratica. Prodi invece e' la caricatura del nulla. E gli riesce a meraviglia.