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Thursday, June 16, 2005

Azionisti sì, Togliatti no

Questo blog nutre per Oscar Giannino una stima illimitata, ma si chiede a cosa sia dovuto l'editoriale di ieri su il Riformista, una vera e propria conversione a U della linea referendaria del giornale e di Giannino stesso, che senza demonizzare la campagna astensionista della Cei aveva però sottolineato come la sua condotta di fatto a-concordataria presupponesse la rinuncia al «regime di protezionismo concordatario».

Oggi lezione ai laici: addirittura ebbero ragione Togliatti e La Malfa a votare il richiamo ai Patti Lateranensi (siglati da Mussolini) all'articolo 7 della Costituzione repubblicana.
«Oggi che la Chiesa italiana di Ruini e quella del progetto europeo-universale di Ratzinger si mostra così energicamente e solidamente capace di tornare a inteipretare "la guerra dei valori", l'errore peggiore è quello di rimpannucciarsi nelle recriminazioni dell'intransigentismo laicista».
E chiama la sinistra a «superare il rassicurante schema di una Chiesa montiniana il cui esito sembrava quello, obbligato, di avere il cattolicesimo sociale per definizione alleato al proprio fianco e sotto le proprie bandiere».

Nessun intrasigentismo laicista, né reclutamenti forzati, riconosciamo la «piena importanza e centralità» della religione, cattolica ma non solo, nella vita politica, riconosciamo alla Chiesa il diritto di competere sul mercato libero delle idee cercando di affermare i propri valori anche nelle scelte legislative, rispettiamo i cattolici che seguono la Chiesa, purché sia obbedienza e non sottomissione, purché il dibattito interno non sia silenziato, purché ai credenti sia assicurata la stessa libertà di coscienza e d'espressione di cui godono tutti i cittadini.

Solleviamo però sommessamente una questione: tutto ciò è compatibile con il regime di privilegi concordatari di cui la Chiesa gode in ragione del fatto di essere la religione degli italiani? Sarebbe troppo discuterne l'abolizione? Non ne deriverebbe più libertà per tutti?

A proposito di Partito d'Azione, una riflessione forse fin troppo ottimistica ma suggestiva sulla disfatta referendaria, giungeva ieri dallo storico Giovanni De Luna su La Stampa. Non è andata poi così male considerando che «un elettorato settentrionale, metropolitano, colto, collocato in fasce sociali medio-alte, chiuso agli anziani e ai giovanissimi, molto coinvolto nel circuito dell'informazione, così saldamente collocato nel bacino elettorale dei partiti di sinistra» ha deciso di «mettersi in gioco in una partita che si è giocata su valori del tutto svincolati dagli interessi materiali», riconoscendosi «in una tradizione marcatamente laica» e riscoprendo «le ragioni identitarie della sua appartenenza politica».

E' come se la «vecchia, esigua minoranza "azionista" degli esordi della nostra Repubblica sia diventata oggi un'attiva e consapevole minoranza "di massa"», mentre il mondo cattolico, a prescindere dalla scelta di disertare le urne, «smarrisce il suo carattere "clericale" in modo sempre più accentuato man mano che ci si allontana dai suoi vertici». A guardar bene, «la cautela che ha sconsigliato la propaganda aperta per il no scaturiva proprio da questa consapevolezza: non esiste più una base cattolica» da chiamare al voto.

Più utilmente severo con il mondo laico Gian Enrico Rusconi, su La Stampa:
«Si è esaurito un modo inerziale di concepire le ragioni tradizionali della laicità, che si ritenevano facili da comunicare.

I laici (credenti, non credenti e diversamente credenti) sono finalmente consapevoli di essere una minoranza in una società post-secolare, dove contano non già le appartenenze religiose in senso autentico, ma la funzione surrogatoria che la religione esercita nel fornire un'etica pubblica».
I laici credevano di avere il loro solito discorso «già bell'e pronto, invece devono ancora rielaborarlo in modo convincente».

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