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Monday, January 30, 2006

L'enciclica verso la parastatalizzazione della Chiesa

Veduta aerea di Piazza San Pietro«La Chiesa non può e non deve prendere nelle sue mani la battaglia politica per realizzare la società più giusta possibile. Non può e non deve mettersi al posto dello Stato. Ma non può e non deve neanche restare ai margini nella lotta per la giustizia... La società giusta non può essere opera della Chiesa, ma deve essere realizzata dalla politica».

«L'attività caritativa cristiana deve essere indipendente da partiti ed ideologie. Non è un mezzo per cambiare il mondo in modo ideologico e non sta al servizio di strategie mondane». Nessuno quindi, sia un Pera o un Ferrara, si senta legittimato a pensare alla Chiesa come instrumentum regni, o che sia disposta a legare i propri destini a un progetto politico in fondo antidemocratico e antiliberale.

La tentazione sarebbe quella di tirare un sospiro di sollievo da questi passaggi contenuti nella prima enciclica di Papa Benedetto XVI, Deus Caritas Est. Dovrebbero raffreddare i bollenti spiriti dei laicisti, consigliarli a riporre nel cassetto lo "scandaloso" anticlericalismo ottocentesco?
«Alla struttura fondamentale del cristianesimo appartiene la distinzione tra ciò che è di Cesare e ciò che è di Dio (cfr Mt 22, 21), cioè la distinzione tra Stato e Chiesa o, come dice il Concilio Vaticano II, l'autonomia delle realtà temporali.[19] Lo Stato non può imporre la religione, ma deve garantire la sua libertà e la pace tra gli aderenti alle diverse religioni; la Chiesa come espressione sociale della fede cristiana, da parte sua, ha la sua indipendenza e vive sulla base della fede la sua forma comunitaria, che lo Stato deve rispettare. Le due sfere sono distinte, ma sempre in relazione reciproca».
Ammetto che mi sarei aspettato di peggio, ma questi passaggi riaffermano semplicemente, e sarebbe stato incredibile il contrario, che la Chiesa non ambisce a governare in prima persona la società. Ma la questione dei rapporti fra Chiesa e Stato non vi trova ancora soluzione.

Esiste un nodo istituzionale da sciogliere. Non si vuole imbavagliare la Chiesa. Massima libertà d'espressione e d'"ingerenza" politica, persino con la partecipazione del clero, ma senza privilegi concordatari e 8 per mille da far impallidire i finanziamenti pubblici di partiti e sindacati. Proprio oggi, con la fine dell'unità politica dei cattolici e la Chiesa che interviene direttamente per ciò che le sta a cuore, s'impone il superamento di un concordato che appartiene a un'epoca passata.

Rimarrebbe comunque la questione politica. La Chiesa come attore politico nella società, «non deve restare ai margini nella lotta per la giustizia» scrive il Papa, continuerebbe inevitabilmente a essere oggetto di critiche per le sue politiche ispirate a una concezione etica dello stato e del diritto.

Un'enciclica «socialdemocratica» l'ha definita Oscar Giannino su il Riformista. A non accorgersene non sono solo a sinistra i cattocomunisti, ma anche i liberali e i liberisti, che vedono in questo Papa, e nella Chiesa, validi alleati nella battaglia per i valori e l'identità dell'Occidente contro il fondamentalismo islamico, e per una società non solo liberale e democratica ma anche «buona».

Il comunismo viene definito un «sogno svanito», ma «senza che il pontefice ritenga di fare alcun riferimento - né diretto né indiretto - all'economia di mercato, al liberismo e all'individuo come metro e moltiplicatore di superiorità del modello che del collettivismo marxista ha avuto storicamente ragione. (...) il vero imbarazzo più rilevante da collegare all'enciclica forse non è affatto quello vero o preteso dei neocon, di chi si attendeva trattati i temi del conflitto di civiltà oppure dell'etica della vita. E' un papa più socialdemocratico che liberista...».

Quella che emerge è quindi un'enciclica molto più in sintonia con l'idea di stato etico soft che appartiene alla sinistra socialdemocratica che non ai liberali conservatori.

Lo Stato, scrive Ratzinger, deve perseguire la «giustizia» e «lo scopo di un giusto ordine sociale è di garantire a ciascuno, nel rispetto del principio di sussidiarietà, la sua parte dei beni comuni». È quanto la dottrina cristiana sullo Stato e la dottrina sociale della Chiesa hanno sempre sottolineato. «Un'indicazione fondamentale» soprattutto «nella situazione difficile nella quale oggi ci troviamo anche a causa della globalizzazione dell'economia».

«La giustizia è lo scopo e quindi anche la misura intrinseca di ogni politica. La politica è più che una semplice tecnica per la definizione dei pubblici ordinamenti: la sua origine e il suo scopo si trovano appunto nella giustizia, e questa è di natura etica». Come realizzare la «giustizia», e che cos'è? E' affare della ragione, ma «per poter operare rettamente, la ragione deve sempre di nuovo essere purificata, perché il suo accecamento etico, derivante dal prevalere dell'interesse e del potere che l'abbagliano, è un pericolo mai totalmente eliminabile. In questo punto politica e fede si toccano... essa è una forza purificatrice per la ragione».

Senza la fede la ragione non può «svolgere nel modo migliore il suo compito». È qui che entra in gioco la dottrina sociale cattolica, che «non vuole conferire alla Chiesa un potere sullo Stato», o «imporre» a tutti «prospettive e modi di comportamento che appartengono a questa», ma «contribuire alla purificazione della ragione e recare il proprio aiuto per far sì che ciò che è giusto possa, qui ed ora, essere riconosciuto e poi anche realizzato». Dunque, "aiutare" a imporre ciò che si ritiene "giusto".

La dottrina sociale della Chiesa si fonda su «ciò che è conforme alla natura di ogni essere umano». Dunque, esiste una conformità naturale cui attenersi. La Chiesa non farà valere politicamente questa dottrina, ma vuole «contribuire affinché cresca la percezione delle vere esigenze della giustizia e, insieme, la disponibilità ad agire in base ad esse». La costruzione di un «giusto ordinamento sociale e statale», essendo «un compito politico», non può essere «incarico immediato della Chiesa», ma essa ha «il dovere di offrire attraverso la purificazione della ragione e attraverso la formazione etica il suo contributo specifico, affinché le esigenze della giustizia diventino comprensibili e politicamente realizzabili».

Il Papa non vuole uno Stato che «regoli e domini tutto», ma che «generosamente riconosca e sostenga, nella linea del principio di sussidiarietà, le iniziative che sorgono dalle diverse forze sociali», e la Chiesa è una di queste. «Missione dei fedeli laici è pertanto di configurare rettamente la vita sociale... la carità deve animare l'intera esistenza (...) e quindi anche la loro attività politica, vissuta come "carità sociale"». Questa enciclica chiama direttamente i politici di orientamento cattolico alla costruzione di uno stato social-assistenziale non basato sulle strutture burocratiche statali, ma sulle strutture ecclesiastiche, scuole, ospedali, istituti di carità, oratori, ordini, associazioni, da finanziare con il denaro pubblico che la politica amministra - «generosamente riconosca e sostenga» sta scritto. E' la via che conduce alla «clericalizzazione» della politica e alla «parastatalizzazione» della Chiesa al pari di partiti e sindacati.

La carità privata è un fattore essenziale in una società a economia di mercato, e secondo alcune tesi libertarie dovrebbe persino sostituire il welfare, più costoso e meno efficiente, dello Stato, ma l'esperienza ha dimostrato che la povertà si riduce e si sconfigge non con l'intervento dello Stato o la carità, ma con la crescita generata dalla libertà economica. Ora i liberisti, non più solo i laicisti, avrebbero validi motivi per opporsi all'influenza della Chiesa come all'influenza dei sindacati, a un'idea di società, espressa dalla Dottrina sociale cattolica, fondata ancora sul pregiudizio anticapitalistico, anti-individualista, che vede il male nel consumo, nella merce, nel denaro, tanto da invitare, ogni Natale, a non esagerare nel "consumismo".

Incontrando le Acli, il Papa continua a parlare di una democrazia sotto tutela, nella quale la regola della maggioranza vale finché, a giudizio della Chiesa, non venga in contrapposizione con valori, giustizia sociale e verità. «Una democrazia senza valori si converte facilmente in un totalitarismo aperto oppure subdolo». «La giustizia è il banco di prova di un'autentica democrazia. (...) non va dimenticato che la ricerca della verità costituisce al contempo la condizione di possibilità di una democrazia reale e non apparente».

La laicità non si contrappone alla religione, bensì a qualsiasi pretesa, confessionale o ideologica, di monopolizzare l'etica pubblica. Il diritto deve limitarsi a un minimo etico, individuare i suoi limiti e la dimensione propria dell'etica, non sposarne una visione. Pretese etiche o educative del diritto vanno respinte, provengano esse dalla Chiesa, dai partiti, o da qualsiasi altra forza sociale che pretenda di esprimere la sua società "buona".

2 comments:

Anonymous said...

E' perfetto, complimenti, meglio di così non poteva essere detto. Mandalo a Polito, così com'è.
[L.C.]

Anonymous said...

Non si vuole imbavagliare la Chiesa. "

Eh, già! con quello che tu e i tuoi amici radicali avete detto negli ultimi anni. Abbastanza ridicolo.

Massima libertà d'espressione e d'"ingerenza" politica, persino con la partecipazione del clero, ma senza privilegi concordatari e 8 per mille da far impallidire i finanziamenti pubblici di partiti e sindacati.

I preti in politica? No, no, grazie. Meglio se stanno fuori, così restano più liberi di esprimere giudizi, senza lacci partitici sono più credibili.
In quanto ai "privilegi concordatari", sono finiti con la revisione del 1984, come te lo devo dire che l'8 per mille non è un privilegio della Chiesa Cattolica, ma se ne avvalgono anche tante altre confessioni religiose, oltre che lo Stato?
Invece di "impallidire" dovresti arrossire dalla vergogna a dire certe banalità.