Di recente, in un intervento sul Washington Post dal titolo «La promessa della pace democratica», Condoleezza Rice esponeva i motivi della centralità della promozione della democrazia nella politica estera della sua amministrazione. Pochi giorni dopo gli rispondeva un'altra Rice, Susan E., analista della Brooking Institution, che condivide l'analisi del segretario di Stato, ma ritiene «inadeguata» la soluzione dell'amministrazione Bush per garantire la sicurezza degli americani dal terrorismo.
La Rice della Brooking muove le sue critiche da una posizione di scuola realista e ieri il suo articolo era tradotto su il Riformista. Non fa l'errore di ridurre a mera retorica l'impegno dell'amministrazione Bush per la promozione della democrazia. Anzi, riconosce che la promozione della libertà e della democrazia «è divenuta l'asse portante della politica in materia di sicurezza nazionale (...) l'unico elemento che identifica l'approccio sul lungo termine del presidente Bush in materia di lotta al terrorismo».
Almeno sa di cosa parla. L'accusa che muove a Bush è l'eccesso di idealismo della sua politica estera. La Rice riconosce inoltre che «la democrazia e la libertà sono aspirazioni umane universali, nonché obiettivi di una politica saggia che dovremmo perseguire in modo attivo». Tuttavia, ecco l'obiezione tipica della scuola realista, ritiene «incauto» per gli Stati Uniti pensare di affidare la propria sicurezza completamente nelle mani della democrazia in Medio Oriente illudendosi che eliminerà il terrorismo. Chi ci garantisce che la democrazia nel mondo arabo non produrrà governi ancora più ostili agli interessi Usa e popolazioni solidali con i jihadisti?
Anche la realista Susan E. Rice ritiene che sia auspicabile la democrazia in Medio Oriente, ma si ferma a questo auspicio paralizzata dalla «paura». Se li facciamo votare e poi vincono gli integralisti? Lo stesso riflesso che riscontrammo qualche giorno fa in un articolo di Magdi Allam, che spaventato dal successo dei Fratelli Musulmani alle elezioni-farsa egiziane e dalla popolarità di Hamas nei territori palestinesi, chiedeva a Bush e ai leader occidentali impegnati nella promozione della democrazia nel mondo arabo e musulmano di prendersi «una pausa di riflessione», di «sospendere» l'esportazione della democrazia. Il pericolo è che gli islamisti radicali vincano le elezioni e instaurino teocrazie fondamentaliste.
Ma se è vero, come lo stesso Magdi scrive, che «le dittature e l'opposizione teocratica sono due facce della stessa medaglia, il prodotto della stessa ideologia dell'intolleranza, della violenza e della morte», più consentiamo il protrarsi nel tempo di questo circolo vizioso della dittatura che alimenta l'integralismo e dell'integralismo che richiede la dittatura per arginarlo e più sarà difficile provocare e aiutare qualsiasi cambiamento. Dittatura o democrazia, tertium non datur.
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