Nell'arco di poche ore un accordo tra russi e ucraini sul nuovo prezzo del gas siberiano destinato a Kiev è stato raggiunto. Un'intesa per 5 anni in cui Kiev si impegna a pagare più cara la bolletta del gas russo, dagli attuali 50 dollari a ben 230 dollari (circa 190 euro), ma avendo ottenuto da Mosca un aumento del 40% dei diritti di transito e di comprare rifornimenti dall'Asia centrale a 95 dollari. Dunque non era poi così difficile trovare un nuovo accordo che accontentasse le parti. Se è vero che le rivendicazioni di Gazprom erano fondate (l'Ucraina pagava un prezzo francamente fuori mercato e rubava quote di gas) è anche vero che a Kiev non si poteva chiedere un aumento che non fosse graduale, tale da non strozzare la sua economia, che la Bielorussia del dittatore Lukhashenko, stretto alleato di Putin, guarda caso riceve ancora un trattamento di favore, e che la clausola sul prezzo bloccato fino al 2009 rivela il carattere tutto politico delle forzature di Mosca.
Perché allora, da parte della Russia neo-autoritaria di Putin, ricorrere a un atteggiamento così intransigente e aggressivo se poi un accordo si è potuto trovare velocemente? C'era proprio bisogno di provocare questa crisi? A quale scopo? Non di questione economica, ma di geopolitica si è trattato. La sua rapida conclusione suggerisce che la crisi sia stata provocata in modo strumentale da Putin per tenere a battesimo la sua nuova arma di pressione internazionale da poco messa a punto: la leva energetica da esercitare nei confronti di vicini riottosi e concorrenti globali. Un disegno curato nei minimi dettagli che oggi assume ai nostri occhi tratti inequivocabili.
Putin in questi anni ha pazientemente ri-nazionalizzato, attorno al colosso Gazprom, le riserve energetiche russe, ricorrendo anche a una campagna liberticida contro i cosiddetti oligarchi costata la galera siberiana a Khodorkovskij, capo dell'ex colosso petrolifero Yukos. Ha sapientemente coltivato buone relazioni personali con alcuni leader occidentali, come Schroeder, Chirac e Berlusconi. Riportando d'autorità sotto il controllo del Cremlino le risorse energetiche del paese Putin persegue l'obiettivo non tanto di tutelare un settore strategico dell'economia, quanto di farne un uso geopolitico, di dotarsi, nella sua azione di politica estera, di un formidabile strumento di cui ha voluto testare le potenzialità.
Fatte le debite proporzioni, si tratta del battesimo di una nuova arma, come nel '45 il lancio della prima bomba atomica su Hiroshima servì d'avvertimento all'Unione sovietica aprendo, dal punto di vista degli armamenti, la Guerra Fredda. Il «nuovo deterrente» della Russia postsovietica si chiama Gazprom, ha commentato ieri Enzo Bettiza su La Stampa: «Né totalitaria né democratica, né alleata né avversaria dell'Occidente, questa Russia spregiudicata e sfuggente come l'uomo del Kgb che la guida ha assegnato al suo straordinario potenziale energetico una valenza politica assoluta e, al tempo stesso, ha coniato nell'irregolarità e nell'ambiguità il suo marchio di fabbrica internazionale».
Il ricatto del gas pesa come un'ipoteca sulla giovane democrazia ucraina e va certamente inteso come una forma d'intimidazione per la svolta filo-occidentale del paese "arancione" che guarda sempre più all'Ue e alla Nato. Putin spera già di condizionare le delicatissime elezioni politiche danneggiando la presidenza Yuschenko, già indebolita da un fronte riformatore in parte deluso e diviso al cospetto di un fronte pro-russo guidato da Yanukovich in rimonta, ma il suo ricatto potrebbe anche ricompattare gli "arancioni" dietro Yuschenko, visto come vincitore nella crisi del gas.
Putin ha voluto sondare la reazione dell'Europa, dipendente in modo cospicuo dal gas russo. L'avvertimento ha raggiunto le cancellerie europee, soprattutto i nuovi membri dell'Ue, un tempo parte dell'impero sovietico, i più dipendenti dalle forniture di Mosca e i più diffidenti nei suoi confronti. La Russia ha fatto capire di voler giocare tutte le sue carte, buone o cattive, per esercitare un ruolo globale da superpotenza dell'energia. Per una volta l'America e l'Europa hanno saputo fare fronte comune. Il Dipartimento di Stato Usa ha deplorato pubblicamente l'uso dell'energia come arma di pressione politica definendolo inaccettabile e l'Ue ha svolto un ruolo di mediazione che ha favorito gli ucraini.
L'Occidente però ha finora chiuso gli occhi sulla vera questione, la democrazia russa, e sulla condotta del Cremlino: l'accentramento politico, con i governatori nominati direttamente da Mosca, le restrizioni della libertà di stampa, il sistema giudiziario non indipendente, la messa al bando delle ong, i crimini di guerra in Cecenia, i legami con Siria e Iran. Bisogna riporre più fiducia nel potere dell'Europa, perché se è vero che abbiamo bisogno del gas russo, la Russia ha comunque bisogno di noi. E chissà che la sfida di Putin non abbia sortito l'effetto opposto, cioè di aver svegliato, anziché spaventato, l'Europa. Il prossimo G8, incentrato sulla sicurezza energetica e ospitato proprio da colui che l'ha messa in pericolo nel cuore dell'Europa, è un'occasione da non mancare, da parte dell'Unione, di Stati Uniti e Giappone, per ricordare al presidente russo che se vuole rimanere tra i grandi del mondo deve cominciare a comportarsi responsabilmente.
1 comment:
linkato, grazie ;)
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