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Friday, January 13, 2006

E' difendibile questo processo penale, caro Grosso?

Magistrati di spalleIl parere contrario di Carlo Federico Grosso alla legge sul modello anglosassone di Pecorella che vieta ai pubblici ministeri il ricorso in appello contro le sentenze di assoluzione di primo grado può apparire ragionevole. Dice:
«Prima della riforma, contro le sentenze di condanna di primo grado gli imputati potevano presentare appello, contro quelle di proscioglimento poteva presentare appello la pubblica accusa. Si realizzava in questo modo una situazione di perfetto equilibrio fra le parti del processo. La nuova legge altera questo equilibrio, poiché mentre l'imputato condannato, appellando, può ottenere che un secondo giudice di merito valuti i fatti, il pubblico ministero in caso di assoluzione dell'imputato non è più legittimato a chiedere una analoga seconda valutazione di merito, e può soltanto ricorrere in Cassazione per motivi di legittimità. La diseguaglianza fra le parti processuali diventa a questo punto, in materia di impugnazioni, di clamorosa evidenza».
Grosso dimentica che nella nostra costituzione vige la presunzione della non-colpevolezza e non della colpevolezza. Dunque mi sembra coerente che al condannato in primo grado si conceda un'occasione in più per provare la sua innocenza che non al pubblico ministero di provare una colpevolezza che non è riuscito a provare in primo grado. Ricordiamo che l'onere della prova spetta all'accusa, dunque un processo che finisce con l'assoluzione conferma un qualcosa che si presume: l'innocenza dell'imputato. Al contrario, poiché la condanna ribalta la presunzione iniziale, è ragionevole che sia sottoposta a ulteriore verifica di merito.

Dunque la diseguaglianza tra le parti che lamenta Grosso esiste fin dal principio, dalla presunzione d'innocenza. Se la teoria liberale è teoria dei limiti dei poteri dello Stato, si dovrà convenire che il diritto del cittadino a difendersi non può essere limitato, mentre quello dello Stato a perseguirlo sì, altrimenti la sproporzione dei poteri finirebbe prima o poi per giocare a sfavore del cittadino. Non sarebbe corretto permettere all'accusa di rifare un processo quando, avendo già manifestato i limiti della sua ipotesi accusatoria, è ormai a conoscenza della linea difensiva dell'imputato. Dal punto di vista logico, Tommaso Edoardo Frosini pone su il Riformista un quesito che non si può aggirare: «Come fa un pubblico ministero a motivare un appello se non riesce a dimostrare al giudice di primo grado la fondatezza della sua accusa?»

Continua Grosso:
«I pubblici ministeri (a differenza delle difese degli imputati) sono soliti impugnare soltanto le sentenze che giudicano palesemente errate».
In quest'affermazione c'è un evidente pregiudizio. Prima di tutto, se così fosse le statistiche mostrerebbero che tra le sentenze d'appello quelle che riformano la sentenza di primo grado da un'assoluzione a una condanna sono più di quelle che assolvono a partire da una condanna. E' così? Non ho modo di controllare ma a occhio e croce non credo. Si potrebbe quindi sospettare che sia esattamente il contrario di quanto afferma Grosso, cioè che l'abuso del ricorso in appello sia da addebitare ai pm. Ma non è questo il punto. Sarebbe infatti più che comprensibile se gli imputati tendessero ad abusare del ricorso in appello, essendo la loro libertà in gioco e non avendo nulla da perdere. Per contrastare questo fenomeno e scoraggiare i ricorsi si potrebbero introdurre rigidi limiti giuridici e misure di deterrenza, come per esempio in Gran Bretagna.

Di sicuro le aule giudiziarie sono piene di pubblici ministeri che ricorrono quanto più possono solo per crearsi una seconda opportunità e nascondere così gli errori commessi nella prima. Ricorrono spesso anche se la condanna non è stata accompagnata da una sentenza che ritengono sufficientemente pesante. Quasi che non darsi per vinti sia una questione di prestigio personale, nonostante la loro carriera formalmente non dipenda dai successi in aula. Responsabilità civile, separazione delle carriere e non automaticità degli avanzamenti, un processo davvero accusatorio, sarebbero potuti essere strumenti utili per responsabilizzare i procuratori da almeno due punti di vista: migliore preparazione del processo di primo grado; più attenta valutazione sull'opportunità del ricorso. Ma contro queste riforme si sono alzate le barricate.

Di quale «perfetto equilibrio» parla dunque Grosso? Da una parte abbiamo i procuratori, che dispongono di budget milionari, praticamente illimitati, di cui comunque (non essendoci alcuna responsabilità civile) non verranno mai chiamati a rispondere, dall'altra abbiamo cittadini il più delle volte, anche i più facoltosi, sprovvisti di paragonabili quantità di denaro, e che comunque pagano di tasca propria. A fronte di pochi privilegiati che come sostiene Grosso ricorrono all'infinito pur di giungere alla prescrizione quanti poveretti subiscono il ricorso da parte di accaniti pm? Poste queste condizioni chiediamoci: è più facile che il magistrato ricorra per semplice puntiglio (tanto che gli costa?) o che un condannato di fronte a una manciata di mesi dentro rinunci all'appello non essendo in grado di pagarne le spese? Chi è la parte svantaggiata? Non è che Grosso ragiona con il retropensiero volto ai Previti, sbattendosene dei Mario Rossi, o degli Abdul-Hakeem?

Basterebbe pensare al meccanismo perverso che si è ormai instaurato nel processo penale a farci riflettere sulla necessità di interromperlo in qualche modo. Ormai è come nella vecchia Coppa dei Campioni, ve la ricordate? Quella ad andata e ritorno. Nel processo sembra istituzionalizzato un doppio turno primo grado-appello, anziché due giudizi un unico giudizio in due tempi, nei calcistici 180 minuti. I giocatori giocano la partita di andata (il processo di primo grado) già pensando al ritorno (l'appello). Così spesso a un imputato può convenire perdere 1-0 fuori casa (il primo grado), puntando a una rivincita in casa (l'appello). I giudici non si preoccupano troppo di condanne dubbie e sentenze "aperte", che' tanto c'è il ritorno a riparare i torti, e i pm cercano di segnare più gol in casa. E' difendibile questo sistema, caro Grosso?

6 comments:

Anonymous said...

Sono d'accordo con te, anche se leggo che vi sono possibili pregiudiziali di costituzionalità, su cui sta "riflettendo" il presidente della repubblica.. sugli articoli 111 e 112 della Carta costituzionale: la parità delle parti, la ragionevole durata del processo, l'obbligatorietà dell'azione penale in capo al pubblico ministero.

Ad un'analisi molto veloce, forse un po' grezza, credo che l'unica su cui i dubbi possano essere veramente fondati è la prima, che te hai gia affrontato, sulla ragionevole durata, visto che al momento NON LO E', non vedo come un accorciamento del procedimento possa essere un ostacolo a questo, non credo lo renda troppo breve. Vi è un gradi di giudizio di fatto e di diritto, e in caso di assoluzione, un altro grado di giudizio di diritto.. altrimenti gli altri due gradi classici.
Sull'obbligatorietà dell'azione penale, credo che questa vada intesa "ove esercitabile", se la legge ne limita l'esercizio in un caso, non penso vada contro questo principio, anche perchè altrimenti il ricorso in appello da parte del pubblico ministero dovrebbe configurarsi come automatico e obbligatorio, e come dice lo stesso Grosso, così non è.

Anonymous said...

in linea di principio sarei anche d'accordo con jimmomo (specie circa il rilievo sul fatto che i pm per perseguire gli imputati hanno a disposizione grandi somme di danaro di cui nessuno mai chiederà loro conto), ma il discorso è più complicato, e così impostato è troppo ideologico e dimentica la realtà del processo. non vorrei infatti che si dimenticassero il diritto di appellare della parte lesa, che è funzionale anche al risarcimento del danno. provate a pensare a tutti i risparmiatori costituiti parte civile nei processi penali derivanti dai casi parmalat, cirio, etc. oppure semplicemente agli eredi delle vittime di omicidio. l'idea della disparità accusa-difesa è giusta ma non bisogna dimentica dimenticare che un reato è un fatto che coinvolge una molteplicità di soggetti, non solo lo stato e l'imputato. ci sono le vittime, e le parti civilmente danneggiate.
saluti.
lo_zoppo

Anonymous said...

se non ricordo male il problema dei PM è che hanno un periodo breve (e reso ancor più breve da una legge del governo Berlusconi) tra l'iscrizione nel registro degli indagati e la presentazione delle prova in aula. Per questo la maggior parte delle prove riescono a presentarle solo in appello e non in prima istanza. Potrebbero non iscrivere subito gli imputati nel registro degli indagati, viene da pensare, ma così facendo tutte le prove dovute ad intercettazioni o che possano in qualche modo sfiorare la privacy non possono essere presentate. In pratica ti intercetto e so che sei colpevole, ti dico che indago su di te e a te basta stare qualche mese tranquillo per farmi arrivare in tribunale senza uno straccio di prova. poi magari dico una cazzata :)

Anonymous said...

veramente l'art. 111 costituzione recita:

La giurisdizione si attua mediante il giusto processo regolato dalla legge.

Ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a giudice terzo e imparziale. La legge ne assicura la ragionevole durata.


dado

p.s. praticamente secondo te il giudice può sbagliare solo se condanna?

Friedrich said...

Non ho letto prese di posizione ufficiali dei radicali sul tema. Mi sono sfuggite? Non è che le battaglie di libertà sono solo quelle che promuovono loro, vero?
Friedrich

Anonymous said...

come volevasi dimostrare...

dado