La differenza fra Fatah e Hamas è un particolare fuorviante, la stessa differenza che c'è tra un Khatami e un Ahmadinejad, cioè impercettibile per i democratici. Credete forse che tutti i palestinesi che hanno votato Hamas siano dei terroristi pronti a farsi esplodere? O quelli che hanno votato Fatah non lo siano per niente? No, hanno votato un'organizzazione attiva dal punto di vista sociale e assistenziale contro un sistema di potere corrotto e mafioso.
Il vero volto dell'Autorità nazionale palestinese è costretto a uscire allo scoperto e potrebbe essere, se Europa e Stati Uniti sapranno vederla, un'occasione di chiarezza. Certo, si dovrà riprendere il discorso da prima di Oslo, dalla rinuncia alla distruzione di Israele, ma non era già così nei fatti? Le trattative, se inizieranno, si svolgeranno tra partner entrambi responsabili degli impegni presi e non come fino a oggi, per cui Abu Mazen prometteva, ma non era in grado di mantenere. Occorre fuggire dalla tentazione di rimpiangere Arafat, perché la sua dittatura è la prima causa della vittoria di Hamas oggi. Insomma, l'Anp, dopo la vittoria di Hamas, è più o meno pericolosa di ieri?
Dipende da noi. Gli Stati Uniti hanno già fatto sapere che non intendono avere rapporti con Hamas, a meno che il movimento islamico rinunci a perseguire la distruzione di Israele. «Non tratteremo con chi vuole distruggere Israele». Bush ha però fornito una valutazione positiva del carattere democratico e pacifico delle elezioni, «una sveglia per la vecchia guardia della leadership palestinese, perché la gente vuole da chi governa onestà, servizi, efficienza». Questa frase apparentemente ovvia mostra la totale assenza di ogni pregiudizio razzistico nei confronti degli arabi. Gli Stati Uniti vedono vincere Hamas ma riconoscono che chi l'ha votata cerca, come ogni altro abitante di questo pianeta, «onestà, servizi, efficienza». E' questo desiderio che rende sempre possibile la democrazia. Proprio così, presidente, fiducia nel voto democratico.
Ci sarà qualcuno che, come ha già fatto, ci verrà a dire che «il rischio è quello di annullare la democrazia sostanziale». 'Sta benedetta sostanza. Senza forma, quale sostanza? Fu Magdi Allam, le cui opinioni di solito condivido, a chiedere a Bush e ai leader occidentali impegnati nella promozione della democrazia nel mondo arabo e musulmano una pausa di riflessione. «Il successo dei Fratelli Musulmani in Egitto, che gestiscono la maggiore rete dell'integralismo islamico nel mondo, e di Hamas nei territori palestinesi, che primeggia tra i gruppi terroristici che vogliono la distruzione di Israele», richiede di «sospendere» l'esportazione della democrazia. Il pericolo è che l'islamismo radicale possa sfruttare il «rito» delle elezioni, strumentalizzare la democrazia formale, per arrivare al potere e far fuori la democrazia sostanziale.
Prima delle elezioni, prima della democrazia formale, scrive Allam, bisogna «radicare e diffondere i valori del primato della persona e della sacralità della vita di tutti». Il suo mi sembra un errore fondamentale. 'Sti benedetti valori... Com'è possibile che questi valori si affermino, che almeno formalmente siano riconosciuti i diritti umani e politici dei cittadini in società chiuse? Come provocare quella «rivoluzione di valori» se non a partire proprio dalla democrazia formale? Se è vero, come lo stesso Allam scrive, che «le dittature e l'opposizione teocratica sono due facce della stessa medaglia, il prodotto della stessa ideologia dell'intolleranza, della violenza e della morte», più consentiamo il protrarsi nel tempo di questo circolo vizioso della dittatura che alimenta l'integralismo e dell'integralismo che richiede la dittatura per arginarlo e più sarà difficile provocare e aiutare qualsiasi cambiamento. "Vedete? li facciamo votare, ma poi vincono gli integralisti islamici". E' un equivoco retorico che ha il solo effetto di minare la nostra determinazione a promuovere la democrazia in Medio Oriente.
La dicotomia tra democrazia formale e sostanziale è fonte di troppi equivoci. La forma è sostanza. Questo pregiudizio di nuovo di moda in certi intellettuali - in fondo dettato dalla paura - che i cosiddetti valori diano sostanza alla democrazia, mentre le regole si risolvano in vuote forme, fa perdere di vista la premessa di qualsiasi democrazia, cioè proprio il rispetto delle regole che garantiscono il suo corretto funzionamento formale. Per rincorrere i valori pensati in astratto si perdono spesso di vista le regole empiriche che li fanno vivere.
Pretendere di promuovere prima i valori, o lo sviluppo economico, è un approccio, quello sì idealista e teorico. Proprio perché nessuno crede a trapianti irrealistici e utopistici, le democrazia dev'essere una scelta innanzitutto dei palestinesi, al massimo noi possiamo rimuovere gli ostacoli. E non è un parere disincantato, è del maggior storico del Medio Oriente e dell'islam, Bernard Lewis.
Ha osservato correttamente 1972 che «Hamas e al-Fatah sono l'unica cosa che i palestinesi hanno conosciuto fino ad oggi. La sfida consiste nell'aiutarli a conoscere qualcos'altro e per farlo non c'è momento migliore di quello in cui, perfino chi ha votato Hamas, ha capito di poter contare. Hamas è un'organizzazione terrorista e va combattuta. Ma la democrazia è un processo e va incoraggiato». In una società chiusa è fisiologico, ma sono persuaso che in una società aperta e con elezioni libere, che solo il rispetto formale delle regole democratiche può garantire, si possa «conoscere qualcos'altro», forze autenticamente liberali e democratiche possano dire la loro. Votare e basta non produce automaticamente società democratiche modello, ma certo è quello il primo passo. Spetta anche a noi vigilare affinché la società palestinese sia costretta ad aprirsi sempre più e ad adattarsi alle istituzioni e alle procedure democratiche, non accettando, per esempio, regressi nel processo appena avviato e rifiutando di trattare con i terroristi. Non mi illudo che Hamas possa cambiare, ma che possa essere sconfitta dall'interno perdendo il suo consenso.
Se ci guardiamo intorno ci accorgiamo che i movimenti fondamentalisti esercitano una forte attrazione sulle popolazioni islamiche quando da oppositori a regimi autoritari e corrotti intercettano il malcontento popolare indirizzandolo contro la modernizzazione. Hanno il vantaggio di non aver mai governato prima. Possono addirittura presentarsi all'opinione pubblica come benefattori, difensori del popolo, solo perché non hanno ancora preso il potere. Come Khomeini negli anni '70 era il campione delle organizzazioni per i diritti umani, della BBC, e dei filosofi francesi di sinistra. Parlava di democrazia, uguaglianza e diritti umani. Non c'è bisogno di dire com'è andata a finire. Tuttavia, i fondamentalisti perdono la sfida del governo, quasi subito il consenso, e sono costretti a conservare il potere con la forza. I paesi democratici dovrebbero vigilare e non permetterlo.
Da tempo ci si chiedeva cosa sarebbe accaduto se attraverso elezioni democratiche una forza fondamentalista avesse preso il governo. Quella palestinese sarà un'occasione utilissima per testare la determinazione e la capacità dei paesi democratici nell'aiutare la società palestinese ad aprirsi nonostante Hamas. Il test arriva con una popolazione di poche centinaia di migliaia di persone, per fortuna, non un grande stato arabo ricco di risorse geostrategiche. Ci riusciremo? Forse, ma è l'unica strada, come spiega Christian Rocca.
«La democrazia non è un sistema perfetto e questa imperfezione può anche consentire a movimenti totalitari di arrivare al potere sfruttando le libertà democratiche, come è successo nel passato. Ma in sé questo non è un argomento contro la dottrina Bush. Non dimostra il contrario, cioè che senza la democrazia non ci sarebbe stato il fascismo. E non lo può dimostrare per il semplice fatto che l'assenza di democrazia è già fascismo».
6 comments:
Proprio perché nessuno crede a trapianti irrealistici e utopistici, le democrazia dev'essere una scelta innanzitutto dei palestinesi, al massimo noi possiamo rimuovere gli ostacoli.
Va bene, "noi" possiamo provare a rimuovere gli ostacoli; ma soprattutto Israele dovrebbe. Senza l'occupazione militare dei territori, i palestinesi avrebbero probabilmente scelto la democrazia già da un pezzo. Del resto è quel che hanno fatto nel 1996, con le elezioni legislative e presidenziali, che anche se furono boicottate da Hamas, FPLP e FPLP, ebbero una grande affluenza (73% in Cisgiordania, 86% a Gaza). Per quanto Arafat possa essere stato mafioso e corrotto, non è corretto definirlo "dittatore".
Non è corretto riscrivere la storia del popolo palestinese come una progressiva marcia verso la democrazia: ahinoi, i palestinesi degli anni Settanta erano probabilmente più laici di quelli di oggi. Il processo che porta Hamas al potere non è un processo di democratizzazione, ma di islamizzazione della società. Ahmenejad si congratula e fa bene.
Tutto questo si poteva evitare? Credo di sì. Come? Sgomberando i Territori Occupati prima della seconda Intifada, quando Arafat era ancora un leader carismatico e democraticamente eletto. Corrotto, mafioso, ma democraticamente eletto (tutto sommato rientrava negli standard dei leader mediterranei). Invece si è preferito accerchiarlo per anni, mentre la Palestina scivolava nell'anarchia. Questo è il bel risultato. Mi dispiace, ma non riesco a trovarlo positivo.
Speriamo che la responsabilità politica la condivida solo e non la rivendichi, insieme a quella storica e morale.
Volevo poi dire Ahmadinejad. Pardon.
Caro Fede,
io sono molto più cauto nel riflettere sulla questione. Tra l'alro, al di là della dottrina Bush, è bene riflettere sulla effettiva possibilità che la democrazia sia veramente auspicabile ... o meglio, attuabile, subito e ovunque ...
Saluti,
Inoz
ciao jim: so che sei impegnato, ma magari quello che ho scritto ti interessa. ciao.
"Vedo chiaramente nell'eguaglianza due tendenze: una che porta la mente umana verso nuove conquiste e l'altra che la ridurrebbe volentieri a non pensare più.
Se in luogo di tutte le varie potenze che impedirono o ritardarono lo slancio della ragione umana, i popoli democratici sostituissero il potere assoluto della maggioranza, il male non avrebbe fatto che cambiare carattere. Gli uomini non avrebbero solo scoperto, cosa invece difficile, un nuovo aspetto della servitù…”.
Sono parole di Alexis Clérel de Tocqueville (1805-1859), il saggista francese a cui è intitolata la nostra città dei liberi, che conquistò la fama con opere che sono rimaste esemplari. Specialmente "La democrazia in America" , scritta fra il 1832 e il 1840 è tuttora fondamentale e contiene spunti per leggere l'attualità.
Non basta "votare" per avviare un autentico processo democratico.
Vi sono casi in cui la medicina ammazza il malato. E' presumibile che anche in un'associazione di malfattori si “voti”, oppure che anche le società di cannibali si “votassero” i capi che poi avrebbero condotto la maggioranza a mangiarsi i vicini.
Hamas è stata portata al potere da una "maggioranza" di nemici della democrazia. Non è un paradosso, se si pensa alla passata "elezione" del FIS in Algeria, a quella di Hitler nella Germania nazista, o alla vittoria del lugubre Amhedinejad nella Repubblica islamica dell'Iran. Vox populi vox dei, e talvolta anche del diavolo...
" Se - con le parole, ancora una volta, del Tocqueville - in luogo di tutte le varie potenze che impedirono o ritardarono lo slancio della ragione umana, i popoli democratici sostituissero il potere assoluto della maggioranza, il male non avrebbe fatto che cambiare carattere. Gli uomini non avrebbero solo scoperto, cosa invece difficile, un nuovo aspetto della servitù.
Per me, quando sento la mano del potere appesantirsi sulla mia fronte, poco m'importa di sapere chi mi opprime, e non sono maggiormente disposto a infilare la testa sotto il giogo solo perché un milione di braccia me lo porge".
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