Ha una qualche fondatezza, dal punto di vista di un approccio liberale, persino dai contorni libertari, la critica mossa ai Pacs da Marco Respinti, sabato scorso su L'Indipendente. Per questo mi sembra utile prenderla in esame.
«Perché mai lo Stato italiano dovrebbe infatti riconoscere per legge una libera unione di fatto, cioè un'associazione privata, in virtù del fatto di essere essa fondata sui particolari gusti sessuali di alcuni suoi cittadini? Perché lo Stato italiano dovrebbe riconoscere per legge una qualunque libera unione di fatto, cioè un'associazione privata, fondata su questa o quella particolare e individuale scelta, orientamento o idea professata da alcuni dei suoi cittadini? La legislazione di uno Stato giusto ha solo il dovere di tutelare i propri cittadini nell'esercizio di un loro fondamentale diritto: quello di associarsi privatamente fra loro in libertà. Se questa libertà di associazione privata fra cittadini non viola la legge esistente, e se rispetta il diritto naturale e non lede la libertà altrui, non c'è alcun bisogno che lo Stato entri nel merito di essa. Anzi, ogni azione dello Stato in questo senso diverrebbe subito ingerenza e si farebbe immediatamente discrimintoria».
Corretto in teoria, strumentale in pratica.
Calandoci per un istante, per assurdo, in una utopica società libertaria, dove i cittadini godessero del libero mercato dei beni e dei valori, e di piena libertà contrattuale, e in cui ci trovassimo di fronte a un'infinità di unioni, sia religiose che laiche, il suo ragionamento non farebbe una piega. La gestione dei beni, dell'eredità e quant'altro sarebbe stabilita dalle parti contraenti, in un patto volontario fra adulti e consenzienti che basterebbe far valere anche nei confronti di terzi. Non essendoci alcuna politica dello Stato, di riconoscimento, di sostegno, o di repressione, di alcuni tipi di unioni rispetto ad altre, non vi sarebbero motivi di conflitto.
Per Respinti dunque un'eventuale legiferazione a favore dei Pacs sarebbe la rottura di questo idilliaco stato di natura libertario, una indebita ingerenza e discriminazione da parte dello Stato. Non possiamo però non osservare che ragionando a questo modo si dovrebbe convenire che il primo atto di ingerenza e discriminazione intervenuto a corrompere lo stato di natura libertario presupposto dai quesiti di Respinti è il riconoscimento costituzionale, e le sue applicazioni legislative, della famiglia tradizionale come forma privilegiata dallo Stato. Forme di ingerenza e discriminazione sono tutte le politiche a sostegno di quella formazione sociale e non di altre.
Dunque, per assurdo, da liberale a tinte libertarie sarei per rimuovere le attuali forme di privilegio statale per alcune formazioni sociali e quindi per non introdurne di nuove. Alla fine della fiera, tra matrimoni e Pacs, a pagare le spese delle libere scelte di vita altrui è sempre l'individuo. Insomma, o a ciascuna formazione sociale si riconosce pubblicamente il proprio ruolo nella società, o a nessuna. Non si può, solo ora che si parla di Pacs, invocare la non ingerenza dello Stato e la libertà contrattuale come fa Respinti.
In generale sono portato a pensare che una politica di intervento attivo nel riconoscere e sostenere le formazioni sociali da parte dello Stato sia fonte più di danni che di benefici, in termini di benessere della comunità e di libertà individuali. Gran parte del problema deriva da un welfare che concede privilegi ad alcuni gruppi di persone: le coppie di fatto sono discriminate perché quelle sposate ricevono sussidi. Se ottenessero simili tutele, altre forme famigliari si potrebbero fare avanti e così via. Su quale base si potrebbero discriminare? Una concezione assistenziale del welfare, rivolto alle categorie e non ai singoli individui in difficoltà, finisce per creare conflitti anziché risolverli.
Con ciò non intendo sminuire l'importanza delle formazioni sociali. La nostra Costituzione le incoraggia, ispirandosi alla teoria liberale classica che vede proprio nei corpi intermedi della società, e soprattutto nella loro prima cellula, i limiti più efficaci al potere dello Stato. L'art. 2 dichiara che vanno riconosciute tutte quelle «formazioni sociali in cui un individuo realizza la propria personalità». I cittadini hanno diritto a veder sancita la rilevanza pubblica e giuridicamente cogente dei loro rapporti di amore e solidarietà, verso i quali si sentono responsabili e attraverso i quali esercitano il loro diritto alla autonoma ricerca della felicità.
Però i conservatori si devono decidere. Asseriscono che con il matrimonio, rispetto alla semplice convivenza, i coniugi contraggono un impegno più profondo l'uno nei confronti dell'altro ed entrambi nei confronti della società? Sono convinti davvero che il matrimonio offra un porto sicuro in mezzo al mare delle caotiche relazioni interpersonali in cui la nostra vita è immersa; che garantisca una certa stabilità emotiva, una certa sicurezza economica, e la crescita delle nuove generazioni? Non è forse per questo che il legislatore premia la famiglia fondata sul matrimonio? Spero sia questo, e non per puro intento discriminatorio nei confronti delle altre forme di relazioni umane. Ma allora, se è così, se la famiglia tradizionale riceve dallo Stato riconoscimento e sostegno per la sua funzione sociale, non si potrà negare che anche altre formazioni sociali svolgano una loro funzione, certo diversa, ma degna di riconoscimento e tutele.
Per esempio, com'è possibile che proprio i conservatori, che da sempre criticano il disordine e la promiscuità della vita sentimentale degli omosessuali, o anche degli eterosessuali del giorno d'oggi, si oppongano ai Pacs? Se è vero che lo Stato premia il matrimonio per la sua funzione di coesione sociale, allora più il patto civile di solidarietà che il legislatore vorrà istituire si avvicinerà allo status di "piccolo matrimonio", maggiore sarà la sua rilevanza pubblica e la sua funzione di stabilità sociale. La domanda dei Pacs è in realtà un successo dei valori tradizionali.
Vincolando a una collaudata formazione sociale il desiderio di stabilità delle coppie omosessuali, il matrimonio, o un'unione, o un "patto" che più gli si avvicina, offrono agli omosessuali quel riconoscimento sociale e quei benefici da cui sono esclusi, e al giovane omosessuale una prospettiva di equilibrio personale che oggi non conosce. A tutto vantaggio della coesione sociale. Se la persecuzione dei gay non è più un'opzione nelle nostre società civili, i conservatori dovrebbero liberarsi dell'ossessione del "diverso" e rallegrarsi del desiderio sempre più vivo negli omosessuali di aderire ai valori tradizionali piuttosto che combatterli. Il matrimonio, sia etero che omosessuale, è conservatore per definizione. Dato che i rapporti gay esisteranno sempre, a quale funzione sociale pensa il legislatore che decida di mantenere queste relazioni nell'insicurezza, senza sbocchi, prive di un progetto comune? Il giornalista conservatore Andrew Sullivan si poneva queste domande nel lontano 1989.
13 comments:
Dobbiamo organizzarci. Mettere su qualche iniziativa. Dai Jimleggi il primo post su http://squareplaza.blogspot.com/ ne abbiamo tremendamente bisogno.
Il Nepal ne ha bisogno, schiacciato un dittatore e i maoisti. Perchè si sprecano così poche righe al riguardo? conto tu sia dei nostri,
buona giornata, Andrea
Ciao Jim, io capisco il tuo ragionamento, infatti non mi straccio le vesti contri i Pacs. In Svizzera li abbiamo introdotti e onestamente la cosa mi ha lasciato indifferente. Ho votato contro per le ragioni espresse nel giornale che citi. A mio avviso è un accordo privato e non mi sembrava una buona idea concedere allo Stato di intromettersi ulteriormente nella vita privata della gente. Per una questione di trend insomma. Io sono favorevole alla privatizzazione del matrimonio. In realtà, sia in Svizzera che in Italia, ho l'impressione che su entrambi gli schieramenti ci siano un livello di emotività nettamente superiore alla reale portata del tema. Un saluto.
"La domanda dei Pacs è in realtà un successo dei valori tradizionali."
Cerrrto! e io sono Elvis. ;-)
Marco Respinti impiega in maniera strumentale l'argomento libertario, ma d'altro canto mi sembra che anche tu faccia lo stesso, sorvolando sulla natura statalista dei PACS e glorificando, questa volta, l'interventismo di Stato sui corpi intermedi.
Perche', invece di appoggiare la ricerca dell'ennesimo privilegio di Stato, non si combatte una buona volta la battaglia per liberalizzare il diritto di famiglia?
La legge italiana si è già "scontrata" con un caso di riconoscimento di un coppia gay, in base al diritto di libera associazione.
Il 1 giugno 2002 una coppia omo di latina si è sposata in olanda. Subito dopo ha richiesto il loro riconoscimento in Italia.
Il Comune si rifiutò di registrarla per "motivi di ordine pubblico". Il Tribunale a cui fecero ricorso lo respinze perchè "Il matrimonio tra persone dello stesso sesso contrasta con storia, tradizione e cultura della comunità italiana".
In sostanza il Tribunale interpretando l'articolo 2 e 29 della costituzione ha dato risalto all'aggettivo "naturale".
Quindi una qualsiasi unione gay risulterebbe, con la modifica dei codici, sì una formazione sociale (art. 2) ma diventando famiglia e richiedendo i diritti a lei garantiti (art.29) diventa "innaturale" quindi non riconoscibile.
Ecco perchè il PACS e non un allargamento o miglioramento del diritto privato con piccole modifiche ad hoc. Le coppie gay non sono una semplice formazione sociale tra due cittadini, sono delle unioni che richiedono lo status di "famiglia" attraverso l'istituzione PACS.
Insomma solo un riconoscimento istituzionale consentirebbe di allargare il concetto di famiglia alle coppie gay.
Andreas Martini
In effetti rovesciare la prospettiva da statalista ad antistatalista, come sempre, aiuta a fare chiarezza. Ma mentre la "funzione sociale" della famiglia naturale (la potenziale procreazione), per quanto opinabile in punta di libertarismo, precede il diritto positivo, rimane poco chiara quale sarebbe quella delle unioni gay. Al di là della sacrosanta volontà di "regolarizzare" la propria posizione amministrativa (a mio avviso perseguibile anche tramite il ricorso al diritto privato), non vi è un vero "contributo automatico" alla comunità da parte delle coppie omosessuali che oltrepassi, per l'appunto, quello di un qualsiasi corpo intermedio della società. Ai conservatori, comunque, la famiglia risulta particolarmente importante perché costituisce il luogo della trasmissione non coercitiva dei valori "tradizionali" (cioè che si tramandano). Può avvenire, in una famiglia gay, per quanto convincentemente "putativa"?
Ismael secondo me ha centrato perfettamente la questione.
La domanda semplice che mi sono posto (da liberale): i Pacs sono più stato o meno stato? Secondo me più stato, perciò intanto vanno bocciati.
Poi, in punto libertario, certo, ci sarebbe anche da rivedere il diritto (statalista) di famiglia...e moltre altre cose (come l'aborto di stato, a spese degli antiabortisti, l'obbligo, per chi vuole contrarre matrimonio civile, di contrarre un matrimonio divorziabile...etc...).
Grazie per l'ospitalità.
Ciao Jim, come vedi sono venuta a leggere. Sei stato convincente. Baci.
Beh, vogliamo discutere di forma e sostanza come fossero due cose separate? Allora neghiamo la Giurisdizione e le sue prerogative.
Ognuno e' libero di pensare come crede, ma almeno non si appelli al Diritto operando disquisizioni basate su di un errore cosi' marchiano...
Quanto ai PACS, non ci si attenda che i loro effetti siano immediati. Ci vorra' piu' di una generazione per valutarne l'impatto sociale. A mio parere non sono solo inutili, ma anche dannosi, legittimando la pervasivita' dello Stato in ogni dove. Qualunque statalista giubilera', ma se a farlo fosse un liberale consiglierei un esame del QI.
Qualche osservazione sul matrimonio gay
Omologate dallo Stato al regime dell'Identico e sottoposte per legge alla monarchia del re-coppia, le omosessualità accederebbero all'istituto del pacs, ovvero a un matrimonio di serie B, in attesa che il matrimonio diventi uguale per tutti, ovvero indifferenziato. E' come dire che “ se c'è un istituto giuridico che si chiama matrimonio non sono ammesse discriminazioni, tutti debbono poter esercitare la facoltà di accedervi, ma per adesso accontentiamoci del pacs”.
Modeste e talvolta bellissime deviazioni, le piccole e grandi omosessualità oggi visibili, politicizzate e concentrate in versione spettacolare neo-gay si pongono come istanza ideologica progressista e libertaria. Numerose persone che si vivono come gay - appartenenti nella maggior parte dei casi a una classe media prudente, informata, nemica dell'oltraggio - parlano quindi di “trionfo gay” e sembrano non aspirare ad altro che a conformarsi alla follia della normalità, al diritto a una bella stufa calda e alla strategia della pensione.
In pratica, è come se non esistesse alcuna differenza fra una sessualità di piacere ( a volte banale, semplicemente anale - un'ars amandi che non tutti disprezzano - altre volte una forma di comunicazione affettiva che può anche assumere un immenso rilievo esistenziale) e il matrimonio che per sua costituzione è uno stato di vita che ha rilievo pubblico e richiede non poche responsabilità e rinunce pulsionali in considerazione del bene comune e in cambio di alcune compensazioni ( anche in termini di tutela della maternità e di sicurezza sociale) .
Non a caso il termine “matrimonio” contiene la radice latina di madre e include quindi l'accesso della donna alla maternità legale, come bene pubblico, quindi da tutelare, come uno dei suoi elementi strutturali. E' per questo che lo Stato entra, a buon titolo, nelle camere da letto. D'altra parte è anche vero che nell'etimologia delle parole non è contenuto un senso fisso e immutabile, e che nelle società borghesi occidentali ad alto livello di sviluppo la posizione della donna-madre è mutata e la figura del padre è andata sbiadendo, perlomeno dall'epoca di Proust in poi.
La successiva invenzione della pillola, insieme al controllo chimico delle nascite e le tecniche di riproduzione non-umane, permettono alla donna di non generare e di renderla più autonoma, meno legata alla maternità come “destino”, e quindi nel bene e nel male più libera di dire “sì” o “no” al dono della vita. Contemporaneamente la donna è meno bisognosa di trovare nei figli una giustificazione di se stessa e di recuperare in loro un potere da cui è esclusa. Da parte dei figli c'è quindi una diminuita angoscia nei confronti di una madre che non ha più il bisogno di esercitare un potere fantasmatico sui figli. Secondo lo psicoanalista Elvio Fachinelli, che ne scriveva negli anni ottanta, da questa situazione deriverebbero i tratti contraddittori rispetto al sesso, rinvenibili nella nostra epoca: “ da un lato, diminuita virilità, nel senso tradizionale maschilista, dei maschi, per la ridotta capacità di identificazioni decisive con il padre; dall'altra minore drammaticità e, si direbbe, maggiore facilità e sicurezza nell'assunzione di un ruolo maschile meno impegnativo, per la maggiore autonomia della madre. Di conseguenza – osserva Fachinelli – accresciuta tolleranza nei confronti dell'omosessualità, sia di quella manifesta sia di quella tendenzialmente esistente in ciascun maschio”.
Tuttavia non per questo passaggio che potremmo definire epocale e storicamente liberatorio il rapporto eterosessuale diventa in tutto e per tutto simile al rapporto omosessuale. In quanto costitutivamente ( e non accidentalmente) sterile, piacevole e magari fecondo in termini psicoemotivi e anche affettivi, il rapporto omosessuale resta di fatto in alcun modo omologabile al rapporto eterosessuale ( che può essere sterile di fatto, per scelta, per vecchiezza o per malattia, ma non è mai sterile nel suo principio costituito dal segno della differenza che permane nel sesso maschile o femminile).
Il neo-gay - a meno di non voler eludere o rendere insignificante una differenza o deposito che trascende l'egoismo dei nostri piaceri o dispiaceri, e che ci costituisce in un sesso maschile o femminile – non può rivendicare una vera ed autentica pretesa mimetica nei confronti dell'eterosessuale. Il rapporto omosessuale resta di fatto altro da quello eterosessuale. E non sarà certo strappando il matrimonio a una pretesa “aristocrazia” etrerosessuale che le persone che si vivono come omosessuali diventeranno – uguali agli eterosessuali, oltre che più liberi e più felici.
Non riuscendo a sostenere nel bene e nel male la differenza, i neo-gay più oltranzisti - oscillando tra arroganza, prepotenza e vittimismo organizzato dai guardiani dei bisogni - pare che non intendano pagare il prezzo della libertà e dell'enigma ( se non del mistero ) costituito dalle omosessualità maschili e femminili. Scambiando la legge del desiderio per uno strano desiderio di legge, gli attivisti neo-gay e i loro guardiani credono di poter ridurre la sessualità a gestione ottimale dei bisogni .
In un regime del genere – postosi sulla via del pacs e del matrimonio indifferenziato presentato come avanzamento libertario - si arriva a negare il diritto di essere generati da un uomo e da una donna o di essere accuditi da entrambi. Non solo, come scriveva “il Foglio” allorché fu introdotto in Spagna il matrimonio gay - “ si rendono insignificanti il racconto di Adamo ed Eva e tutta la narrazione civile, politica e letteraria intorno a quel momento della coscienza umana che è la propagazione della specie”, ma si perpetua anche l'oblìo delle lotte dei primi movimenti omosessuali per tenere lo Stato fuori dalle camere da letto. Il pacs finisce nella riproduzione in versione omosessuale di tutti i vecchi e necessari meccanismi di perbenismo e di esclusione insiti in una istituzione monogamica fino ad ieri strutturalmente fondata sull'unione dell'uomo e della donna, il bene pubblico e l'ordine delle generazioni.
E' assurdo irridere o rendere indifferenziato il matrimonio, che resta una necessità per la maggior parte degli uomini, cedendo alle richieste dei neo-gay politicamente organizzati che cercano di convincere l'universo mondo che il matrimonio è un istituto giuridico lì apposta per riconoscere le coppie di fatto esistenti nella società.
Non è neanche vero che tutti gli omosessuali non aspirano ad altro che a essere – tramite una finzione giuridica – simili agli eterosessuali supposti o suggeriti “normali”, tutti con figli “normali” e titolari di privilegi dai quali i gay sarebbero ingiustamente esclusi. E' come se, in nome di un astratto principio di uguaglianza, uno volesse entrare in un club – quello dei cosiddetti eterosessuali - di cui però non condivide né le pratiche, né lo statuto, né le finalità. Oppure, come se non essendo disabile se non per partito preso, uno volesse rivendicare il diritto al posto macchina in nome del principio astratto di uguaglianza fra tutti i cittadini ( non mi si dica “eterofobo”, non intendo paragonare gli etero ai disabili, sarebbe troppo facile).
In Italia il matrimonio omosessuale non è "per il momento" oggetto di una proposta di legge. Perlomeno ufficialmente il movimento glbt non chiede il matrimonio bensì una legge che dia vita a un istituto diverso e distinto dal matrimonio che nella proposta legge a firma di Franco Grillini è chiamato Pacs. Sembra quindi esserci un apparente rispetto della diversità fra Patto di solidarietà e matrimonio. Il matrimonio indifferenziato per tutti resta tuttavia una rivendicazione politica in una prospettiva considerata libertaria e progressista. Per numerosi attivisti della sinistra utopica pare inoltre trattarsi di una semplice questione linguistica.
Certamente matrimonio è una parola, ma quello che alcuni nominalisti e relativisti sottovalutano, considerandola una semplice difesa della parola matrimonio, costituisce il 90% del problema. Strappando il matrimonio a una presunta “aristocrazia” eterosessuale, rendendolo indifferenziato e ridotto a un mero rapporto d'interdipendenza emotiva svincolato dalla paternità e dalla maternità, i nuovi perbenisti prudenti, informati , tesserati ed evanescenti , svuotano di significato l'unione dell'uomo e della donna, ne diventano la parodia spettacolare color rosa bonbon.
Stabilire giuridicamente che il matrimonio può essere anche omosessuale, ovvero matrimonio indifferenziato, comporta la destabilizzazione se non la dissoluzione del matrimonio eterosessuale. In altri termini, se una coppia sposata pubblicamente non è più formata da un marito e una moglie il significato della parola matrimonio non sarà più condivisibile. E sarebbero in primo luogo gli eterosessuali a perdere la capacità di parlare in pubblico del 'loro' matrimonio facendosi capire .
Paradossalmente è proprio in nome di parole rese banali, se non banalizzate, come “libertà”, “ uguaglianza” e persino “amore” che oggi i neo-gay inseriscono il dato omosessuale nel matrimonio e invocano paradossalmente lo Stato nelle camere da letto, i divani e i pagliai, nell'illusione omofagica che l'universalità del diritto possa rendere tutti uguali in tutto e per tutto, quando per fortuna o sfortuna non lo si è.
Legalizzati in nome dell'accesso all'uguaglianza per riparare alla presunta ingiustizia proclamata da chi preventivamente si dichiara vittima delle circostanze ( “Dio, il buon Vasaio, o la natura mi ha fatto così...” ), i matrimoni gay sono una scelta compiuta in obbedienza alla bestialità politica e alle condizioni demagogiche oggi esistenti per la costituzione di una coscienza: una scelta distruttiva per l'esercizio responsabile della libertà e per la verità antropologica, storica, sociale che è nella differenza.
Il matrimonio indifferenziato non rende giustizia né a quegli imperfetti abbracci che si vivono come omosessuali né a quegli incerti amori che si vivono come eterosessuali.
L'istituzione del pacs, così come del matrimonio gay, ovvero unisex, parassitando nella forma e nella sostanza l'istituzione del matrimonio, costituisce in definitiva una vera e propria forma di volgarità, se volgarità è proprio voler apparire quello che non si è.
Due uomini, o due donne, che decidono di vivere insieme e di scambiarsi dei piaceri formano una coppia di amici, di sodali, d'innamorati, di amanti , non di marito e moglie. L'amicizia, i piaceri condivisi, le passioni, l'amore sono realtà pre-giuridiche che non hanno niente a che fare con l'istituzione del matrimonio e potrebbero, volendo, trovare una forma di regolarizzazione nelle leggi esistenti e , se del caso, nell'istituzione delle unioni civili senza distruggere il diritto di famiglia. Senza cioè introdurre – a partire dalla demolizione del simbolico costitutivo della nostra civiltà, oltre che del senso comune – innovazioni demagogiche e liberticide nel regime dell'Identico.
http://giannidemartino.splinder.com
( scusa JimMomo,l'altro blog è per il momento vuoto).
A dispetto del solito ho trovato la tua argomentazione un po' troppo contorta: non sarebbe bastato dire che il ragionamento di Respinti era strumentale perchè prima che i Pacs riguarda i matrimoni?
Argomentazione un po' troppo lunga e con qualche ridondanza, è vero: ma "contorta" o deviata proprio non direi...
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