Nell'editoriale di domenica scorsa Panebianco esponeva una tesi condivisibile: il partito democratico «non potrà nascere semplicemente dalla confluenza fra ex comunisti ed ex sinistra democristiana... perché discontinuità ci sia davvero, perché il limbo [post-comunista] sia abbandonato, occorre che dell'eventuale partito democratico facciano parte a pieno diritto anche gli "anticomunisti democratici", quei democratici che ai tempi della guerra fredda si opposero frontalmente al Partito comunista italiano (per fortuna nostra e anche del Pci)...»
Tutto giusto, ma non manca qualcosa? Panebianco dimentica di scrivere che tra questi «anticomunisti democratici» ce n'era uno, Marco Pannella, che all'inizio degli anni '90 fece dell'idea di un partito democratico iniziativa politica, rivolgendosi all'allora segretario del Pci-Pds, Achille Occhetto. Ritrovo nell'archivio del sito radicale una lettera, datata 15 novembre 1989, di cui non sapevo l'esistenza, in cui si parla di un «Partito Democratico, di stampo anglosassone, e per una riforma istituzionale di stesso segno», a fuggire la soluzione «socialdemocratica, del mondo del proporzionalismo, del partitismo, della parastatalizzazione e nazionalizzazione della società civile, dell'ideologismo, dei giacobinismi più o meno macchiavellici, eticizzanti, e quasi sempre antiliberali».
M'aveva anticipato Malvino, che sul suo post, poi divenuto editoriale per Notizie Radicali, aggiungeva: «Senza la Rosa nel Pugno quel Partito Democratico abortirebbe ben presto in una "cosa" socialdemocratica o cattocomunista».
Mercoledì 18 scriviamo una lettera che viene pubblicata su il Riformista, ma non sul Corriere. Oggi l'editoriale di Panebianco, che si giustifica: «Non ricordavo l'episodio. Ma è vero: Pannella è stato il più coerente degli anticomunisti democratici, convinto che la rigenerazione della sinistra ne richiedesse la trasformazione in una forza liberaldemocratica». Dunque i radicali potrebbero, secondo Panebianco, «legittimamente aspirare a svolgere un ruolo centrale nell'ipotizzato rimescolamento delle carte denominato Partito democratico». C'è un "ma":
«Recuperando dal proprio repertorio storico, come Pannella ha fatto, l'anticlericalismo più intransigente e scegliendo una linea "zapaterista" si possono prendere voti ma ci si condanna, rispetto a eventuali processi di aggregazione a sinistra, alla marginalità. Se non altro, perché si antagonizzano i cattolici. Il neo-anticlericalismo, frutto, a mio giudizio, di un eccesso di allarme per l'interventismo della gerarchia ecclesiastica, porta i radicali a sguarnire i fronti su cui più dovrebbero stare. Dove il centrosinistra è più carente: libertà di mercato, garantismo giudiziario, solidale azione fra le democrazie occidentali contro le dittature. Non che i radicali non se ne occupino. Lo fanno da sempre, unici a sinistra. Ma la cifra con cui hanno scelto di caratterizzarsi, anticlericalismo e zapaterismo, diventa un freno, impedisce loro di svolgere quel ruolo di protagonisti che il loro passato legittimerebbe».Separiamo anche noi il grano dal loglio: Panebianco sbaglia a suggerire ai radical-socialisti di rinunciare all'anticlericalismo. Oltre a essere una necessità contingente contro il dilagare, tra le forze politiche, di una concezione etica dello Stato, è parte essenziale, con le altre aree d'iniziativa radicale, di una storia e di un progetto di riforma del nostro paese. La marginalità che l'anticlericalismo sembra provocare dai «processi di aggregazione a sinistra» è dovuta semmai alla resistenza e al pregiudizio anti-radicale di quelle culture, ex comunista ed ex democristiana di sinistra, inclini al compromesso con il Vaticano, di cui però Panebianco stesso auspica il superamento nel suo primo editoriale, di domenica scorsa, proprio nell'ottica di un partito democratico che non sia né socialdemocratico né cattocomunista, ma alle quali, nell'editoriale di ieri, sembra unirsi nella critica dell'"eccessivo" anticlericalismo radicale.
Ha ragione invece, pur dimenticando l'adesione dei radicali, unico partito, all'«agenda Giavazzi», quando osserva che gli altri fronti, riforme economiche e istituzionali, giustizia, politica estera, sono rimasti sguarniti. «Non che i radicali non se ne occupino», ma mancano iniziative politiche per una serie di cause concomitanti: la più difficile intesa con lo Sdi su questi temi, ma non ultima la convenienza di molti, stampa e partiti, a marginalizzare la Rosa nel Pugno nel ghetto dei "diritti civili".
In qualche modo, rimproverando a Panebianco di aver dimenticato il nome di Marco Pannella, che oggi lui stesso definisce «il più coerente degli anticomunisti democratici», gli chiedevamo di dare forza alla Rosa nel Pugno nel discutere della nascita di un Partito Democratico, perché è lì che oggi il patrimonio degli «anticomunisti democratici» si trova, è da lì che si può cambiare la sinistra in senso liberale. Qualcosa, risponde Panebianco, impedisce ai radicali di svolgere il ruolo al quale pure sono legittimati: il neo-anticlericalismo. Curioso argomento, rinunciare all'anticlericalismo per concentrarsi solo su fronti dove il centrosinistra sarebbe più carente, come libertà di mercato, garantismo giudiziario, e atlantismo, si direbbe la ricetta buona per svolgere un ruolo nel centrodestra, o almeno così ci diceva Benedetto Della Vedova. Ma siamo sicuri che il centrosinistra non abbia bisogno anche di forti dosi di laicità? Persino certe difese dell'aborto, la concezione della giustizia o del ruolo dello Stato nell'economia che si sentono a sinistra sembrano estranee a una concezione laica e non clericale della politica.
Può darsi che sia così, che i radicali siano mal tollerati anche nel centrosinistra per il loro anticlericalismo, ma allora proprio Panebianco, sostenitore di un partito democratico che non sia mera confluenza di ex comunisti ed ex democristiani di sinistra, non si sarebbe dovuto unire, nell'editoriale di oggi, alla critica, di sapore cattocomunista, che questi - i Mastella, i Rutelli, i Fassino - muovono spesso ai radicali. Il Panebianco di oggi sembra contraddire il Panebianco di domenica scorsa. Il partito democratico da lui evocato non era forse lontano dal cattocomunismo? Lontano dal togliattismo, dal dossettismo, e dal craxismo?
Non solo il pregiudizio anti-mercato e l'antiamericanismo sono i retaggi di tutte quelle culture politiche, ma anche la tendenza al compromesso con il Vaticano. A quale scopo? Per non «antagonizzarsi» i cattolici? Energie sprecate, se per cattolici s'intendono i credenti e non i clericali. Dovrebbe essere assimilata la lezione che i cattolici impartirono con i referendum su divorzio e aborto. Non solo la recente indagine dell'Eurispes, ma anche la realtà storica del nostro paese, suggeriscono che laico e credente sono connotati dello stesso tipo antropologico e quindi che le proposte che hanno caratterizzato gli ultimi mesi di iniziativa politica radicale e della Rosa nel Pugno, quella linea "zapaterista" che in realtà è anche blairiana e fortuniana, non sono percepite come eccessive da gran parte della popolazione. Oggi il confronto è fra laici, credenti e non, da una parte, e clericali dall'altra.
Il temuto neo-anticlericalismo non è che la risposta a un temibile neo-clericalismo. Anche se il secolarismo, connotato centrale della modernità, continua il suo lavoro incessantemente, l'allarme per l'interventismo delle gerarchie ecclesiastiche non sembra eccessivo se entrambe le coalizioni fanno a gara a sposare le tesi della Cei di Ruini. Si badi, della Cei, senz'alcuna preoccupazione per i credenti. Panebianco, e Della Vedova, dovrebbero guardare alla Chiesa come ai sindacati. Una corporazione parassitaria che impone la conservazione dei propri privilegi e il proprio controllo sulla politica grazie alla forza che gli deriva dal denaro pubblico.
L'anticlericalismo radicale non consiste in nulla di eccessivo o intransigente, ma guarda al modello americano per i rapporti fra Stato e Chiesa. Massima libertà d'espressione, d'ingerenza politica, ma senza privilegi concordatari e 8 per mille da far impallidire i finanziamenti pubblici concessi ai partiti. E' falso che i radicali vogliano imbavagliare la Chiesa, come è falso che volessero, è arrivato a sostenere questo Giuliano Amato, chiudere i sindacati.
Panebianco, di nuovo, dimentica. Come può pensare, conoscendo la loro storia, che i radicali abbandonino o trascurino le «decennali battaglie» condotte in solitudine, spesso da precursori, e pagandone i costi? Per dieci anni hanno proposto referendum per riforme liberali e liberiste delle istituzioni, dell'economia e della giustizia, ma lo stesso Corriere e lo stesso editorialista, Panebianco, pur sottolineando la necessità di tali riforme dimenticavano, esattamente come oggi per il partito democratico, di citare i radicali e le loro proposte referendarie che erano lì, in quel momento, pronte a essere sottoscritte e sostenute. Oggi come allora, Panebianco dimentica che i radicali hanno scelto con forza, con la formalità di un congresso, unico soggetto politico a farlo, di adottare l'«agenda Giavazzi», anche editorialista del Corriere.
Nonostante questo però, sul fatto che i fronti della libertà di mercato, del garantismo giudiziario, della politica estera, siano rimasti sguarniti di iniziative politiche ci sono pochi dubbi. Non è chiaro, per esempio, quanto le riforme economiche proposte da Giavazzi siano condivise nella Rosa nel Pugno, dallo Sdi, o tra gli stessi radicali oltre a Capezzone e a pochi altri. L'esempio più recente è il silenzio della Rosa nel Pugno e dei radicali sull'inappellabilità delle sentenze di assoluzione, la legge Pecorella rinviata alle Camere dal presidente Ciampi. Eppure, con la marcia di Natale per l'amnistia, la giustizia è stata al centro della loro iniziativa neanche un mese fa. Fin dall'inizio, all'indomani della sconfitta referendaria e ai primi passi mossi con lo Sdi, ho sempre ritenuto che dovesse essere fatto di tutto per non farsi rinchiudere nel ghetto dei "diritti civili" o dell'anticlericalismo.
5 comments:
Scusa Federico, ma il seguito di questo post lo avremo "coraggioso e tremante" PRIMA, o "confermativo ed accodato" DOPO la parola del Vate delle 20.30 di stasera?
Tra i radicali vige una consuetudine: la trasparenza. Il commento lasciato dall'anonimo è cretino, prima ancora che maligno. La questione è questa: Federico ed io siamo sicuri che Pannella manderà Panebianco a fare in culo. Già da adesso, sono certo, Federico potrebbe sottoscrivere quello che io ho scritto qui (http://malvino.ilcannocchiale.it/?id_blogdoc=823703); ed io potrei sottoscrivere quello che Federico seguiterà a scrivere come e quando deciderà di farlo. Il trucco c'è, lo svelo io per amor di trasparenza: sul neo-anticlericalismo siamo io e Federico a dettare la linea a Pannella.
;-)
Luigi Castaldi
Non sono cattolico, ma sul tema dell'anticlericalismo era tempo che mi premeva di esprimere un mio parere: Panebianco l'ha fatto meglio di chiunque altro.
Absit injuria verbis
Federi', complimenti di cuore: è allo stesso tempo una replica chiara e completa, e uno sfavillante editoriale. (Malvino)
complimenti a te ed al Castaldi, davvero notevole!
dovlatov
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