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Friday, September 21, 2007

Un approccio libertario per la riforma del matrimonio

In un paese in cui non si riesce a discutere laicamente né di unioni di fatto né di divorzio breve, non c'è da aspettarsi un'accoglienza serena per la proposta di una esponente dei cristianosociali bavaresi, Gabriele Pauli: propone un "matrimonio a termine", con tagliando obbligatorio al settimo anno.

Non da oggi mi chiedo: il calo del numero dei matrimoni non sarà forse dovuto alla rigidità dell'uscita dall'istituto e alle lunghezze burocratiche da affrontare, che spaventano quanti sarebbero interessati, spingendoli verso forme di convivenza alternativa. Piuttosto che i Pacs, non sarebbe più efficace rendere più flessibile il matrimonio, restituire ai cittadini, liberi e responsabili delle loro scelte, una libertà contrattuale più piena?

Potrebbero essere di questa specie le soluzioni per "salvare" il matrimonio. Considerazioni ragionevoli sono quelle di Alberto Mingardi, su Libero: «Ogni tanto le istituzioni hanno bisogno di venir smontate per essere salvate».
«Semplicemente, nella nostra società sono di meno i legami "per la vita" che sopravvivono, perché finalmente entrambi i partner godono ormai di un ventaglio di scelte che tradizionalmente alle donne erano precluse. Sposarsi continua ad avere senso per godere di alcune tutele, e per il bisogno di simboli che soddisfa, ma è cambiato il panorama delle sanzioni sociali. Un tempo, anteporre il benessere di un individuo alla sopravvivenza di una famiglia era socialmente mal visto. Ora, al contrario, siamo molto più severi con l'ipocrisia, coi tentativi di preservare le forme a dispetto della sostanza, anche perché, quando sono tante le opzioni a disposizione di ciascuno, non può che essere la sostanza quello che conta».
Il "per sempre" rimane una promessa, non può essere una garanzia. «Ci si può impegnare, quello sì», ma anche questo dipende dal carattere dei singoli. La proposta della Pauli «mira ad abbassare i costi della separazione (anziché "rompere" un'unione, si può semplicemente aspettare che "scada") e a dare nuova legittimità al matrimonio stesso. Un uomo e una donna non possono stare assieme, senza esserne convinti. La libertà è stare con chi vogliamo e con chi vuole».

Mi convince quindi l'approccio libertario e contrattualistico di Mingardi, perché, come scrive, «sottrae decisioni cruciali a quello che molte volte è il momento delle minacce e dei risentimenti», ma soprattutto perché la burocrazia e il potere pubblico dovrebbero interferire meno possibile con la libertà contrattuale. E non sarà quello strisciante e costoso ostruzionismo previsto dalla legge a salvare un rapporto ed evitare un divorzio.

3 comments:

Anonymous said...

La Pauli è un personaggio sconveniente.
L'idea cui Mingardi accenna deve in ogni caso concretizzarsi non nel solco della legislazione di Stato, ma nel solco della legislazione privata (ovvero tramite contratti stipulati in piena libertà senza seguire alcun modello prestabilito dalla legge, come la Pauli da invece ad intendere).

Anonymous said...

http://ideashaveconsequences.org/lo-stato-e-il-monopolio-della-famiglia/jacopo

fabiana said...

...e poi avvocati e tribunali di che campano?
Io ci sono divuta tornare quattro volte (una al mese), in tribunale, per la sentenza di divorzio.
Consensuale...
In tutto, tre anni di separazione, uno per metterci d'accordo, uno per aspettare la prima udienza, e quattro mesi per concludere.
Quanto e quanti ci hanno mangiato?