Lunga analisi-appello, ieri su il Riformista, di Michele Salvati sul partito democratico. A più di quindici anni dalla caduta del Muro, esaurita ogni funzione storica della socialdemocrazia, oggi non ci si può dire "di sinistra" senza dirsi con convinzione liberali e senza abbracciare pienamente il libero mercato. Così è già in larga parte dei paesi europei, soprattutto il New Labour di Tony Blair. «... l'ideologia delle correnti dominanti... se non la si vuole identificare con la Terza via di Giddens, ci si va molto vicino: nella sostanza è una delle innumerevoli varianti (una delle varianti di sinistra) nell'universo dominante delle ideologie liberali».
Salvati si sofferma sui geni di questa sinistra liberale: «... la sua scelta decisa dell'individuo come standard di giudizio delle scelte sociali... la scelta del mercato: un mercato regolato in modo da controllarne le conseguenze più ingiuste (sempre secondo standard liberali) sugli individui da cui la società è composta, ma sempre di mercato e di capitalismo si tratta». L'Europa e i grandi temi di politica estera affrontati senza pregiudizio anti-atlantista.
Terza grande area di policy, quella relativa ai temi della bioetica, della famiglia e dei rapporti con la Chiesa cattolica. Salvati descrive lucidamente ciò che sta accadendo: «Con una gerarchia ecclesiastica che, in mancanza di un partito stabile di riferimento, fa attivamente lobbying presso i diversi partiti, e implicitamente promette vantaggi per quelli che sostengono policies più vicine alle proprie posizioni, si è generata una concorrenza tra partiti a schierarsi con la Chiesa». E accade che, nell'ambito del centrosinistra, sia la Margherita, per convenienza, a esasperare le differenze.
Dunque se i geni che Salvati sembra individuare sono quelli di una sinistra liberale che pone l'individuo al centro delle sue politiche, che si affida al libero mercato per assicurare il benessere, all'europeismo e all'atlantismo in politica estera, e alla laicità, sorprende che si dimentichi dei radicali e del ruolo che la loro cultura liberale e laica può svolgere nella nascita del partito democratico né cattocomunista né socialdemocratico. Eppure non scorda lo Sdi che, non ha dubbi, «ritornerebbe all'ovile». La rosa, scrive, «prevarrebbe» sul pugno. Ma i radicali non sono mai stati "pugno" e anzi indicando in Loris Fortuna uno dei modelli di riferimento del nuovo soggetto radical-socialista, Pannella intende recuperare dalla lunga e ricca storia del socialismo italiano quelle storie umane e politiche che rappresentano i pochi «frutti liberali» spendibili oggi, attuali proprio nella prospettiva di un partito democratico che non potrà essere socialdemocratico.
Il partito democratico è «la condizione necessaria di sopravvivenza e sviluppo per la corrente riformista dei Ds», ma ci vuole, come già indicava Pannella nella lettera a Occhetto del 1989, e poi nell'appello del 1993, un sistema veramente maggioritario. «Si impegnino i Ds - scrive Salvati - a imporre subito nell'agenda del governo una legge elettorale maggioritaria: meglio una a doppio turno di collegio, ma potrebbe anche andare una a turno unico e senza quota proporzionale, come voleva un referendum fallito per un soffio [promosso dai radicali, guarda caso] e per il quale, diciamo così, gli stessi Ds non si erano spesi all'estremo».
Il liberale, scriveva Friedrich A. von Hayek in "Perché non sono un conservatore", ultimo capitolo del libro "La società libera", non può essere né conservatore né socialista. La sua fiducia nella competizione e nella concorrenza, nella scienza, nella politica e nell'economia, lo rende equidistante sia dai conservatori, che rivendicano la superiore saggezza e autorità della tradizione di cui si sentono difensori, sia dai socialisti costruttivisti, nemici allo stesso modo della competizione e della concorrenza. Tuttavia il fallimento del comunismo e l'esaurimento della socialdemocrazia, che per oltre un secolo hanno occupato lo spazio politico della sinistra nei parlamenti democratici, farebbero forse intravedere oggi a von Hayek la possibilità di un proficuo innesto dei liberali nel loro alveo naturale: a sinistra rispetto a un polo conservatore. Innesto che finora ha vissuto con successo solo la sinistra britannica, con cospicui vantaggi per tutto il suo sistema politico.
Non rimane che, per prima cosa, «giurare» tutti su "On Liberty" di John Stuart Mill.
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