Detto questo, e lieti di questo, che dire della strenua «difesa della scuola pubblica» per la quale in questi giorni si sta spendendo Enrico Boselli, e con lui la Rosa nel Pugno? Imbarazzante. Imbarazzante per una soggetto politico che si è scelto Blair come proprio riferimento sui temi dell'innovazione e delle liberalizzazioni. Imbarazzante perché lo slogan di Blair non era state school state school state school, ma al contrario, education education education. Più che a parafrasarlo Boselli riesce a "tradirlo". Imbarazzante per un soggetto politico che fa, giustamente, della libertà di ricerca scientifica una propria battaglia, che però diventa di tutta evidenza inconciliabile con una difesa corporativa, sulla linea dei Cobas, dello status quo nell'istruzione pubblica. Bisogna ancora ricordare, nell'anno 2006, che a rendere di interesse pubblico un servizio non è la proprietà, pubblica o privata, dell'ente che lo fornisce?
La dicotomia pubblico/privato per quanto concerne i servizi - di cui, non dimentichiamolo mai visto che si parla di liberalizzazioni, istruzione e sanità fanno parte - è superata. Il ruolo dello stato è inteso non più come gestore, ma come regolatore dei servizi. Oggi non si tratta più di capire come far entrare i soldi pubblici nelle scuole private, ma come far entrare i soldi privati in quelle pubbliche. La condivisibile contrarietà al finanziamento pubblico delle scuole private non può però attestarsi sulla linea della «difesa della scuola pubblica», ma casomai rientrare in un'idea, meglio un progetto, di riforma complessiva e blairiana dell'istruzione. Si vedrà, allora, come siano arretrati e scontati certi discorsi puramente "difensivi".
Come non dare atto a Bendetto della Vedova di affermare cose esatte quando dice che «il monopolio pubblico e le "mance" per i privati [quindi anche il finanziamento alle scuole private] sono due facce della stessa medaglia: sono distorsioni indissolubilmente intrecciate e dipendenti dall'orientamento "antimercato" delle politiche pubbliche»? Ma è utile proseguire: «La bancarotta sociale, finanziaria e culturale della scuola pubblica non dipende da una qualche forma di "privatizzazione" strisciante (la quota di mercato "privato" nel sistema dell'istruzione, se si escludono le scuole per l'infanzia, è intorno al 5%: praticamente nulla). Al contrario, dipende dallo sclerotismo monopolistico di una scuola statale fatta a misura degli insegnanti, più che degli studenti, in cui le remunerazioni dei docenti e il finanziamento degli istituti è una variabile indipendente (...) dalla qualità dell'istruzione fornita».
E ancora, niente parla meglio dei dati: la scuola italiana «è fra le più costose del mondo (...) I risultati degli studenti italiani sono fra i peggiori d'Europa.(...) Gli insegnanti in Italia sono una marea: il rapporto fra insegnanti e studenti è quasi il doppio di quello francese, tedesco e inglese nella scuola primaria, del 50% superiore in quella secondaria inferiore, di circa il 20% nella secondaria superiore». «All'inizio degli anni 90 - ricorda Della Vedova - i radicali iniziarono a proporre una alternativa di sistema che, con i buoni scuola e i buoni sanità, assegnasse direttamente ai cittadini e alle famiglie il potere di spesa derivante dalla contribuzione obbligatoria e introducesse, per questa via, positivi elementi di concorrenza, creando, anche in questi servizi pubblici, un mercato che oggi, a tutta evidenza, non c'è».
Se l'obiettivo è la qualità dell'istruzione, se al centro devono ritornare gli studenti e le loro famiglie, come consumatori cui è lasciata la possibilità e la responsabilità della scelta, nella scuola come nella sanità, i mezzi non possono che essere concorrenza spietata e meritocrazia, proprio i due principi su cui Blair ha fondato le sue riforme scolastiche.
Meritocrazia, innanzitutto nei confronti del corpo docente. Blair ha introdotto la «performance related pay». Ai gradoni retributivi per scatti d'anzianità ha aggiunto un gradone per merito. I docenti possono integrare il loro stipendio base in modo anche molto cospicuo superando test annuali di valutazione, che non si basano su improbabili corsi d'aggiornamento appaltati ai sindacati, ma sulla conoscenza dell'attualità della materia insegnata, sulla competenza dimostrata nella scelta dei metodi pedagogici e soprattutto sui risultati degli allievi dell'insegnante in questione accertati con una rilevazione quantitativa. Quali risultati ottengono gli studenti del prof. Smith agli esami nazionali? Se il prof. Smith va molto male in più test viene licenziato. Una "tolleranza zero" contro le inefficienze scolastiche e l'impreparazione del personale che troverebbe sulla nostra strada l'opposizione dei sindacati degli insegnanti.
Concorrenza. Blair è partito dalla constatazione che l'istruzione statale non avesse speranze di essere all'altezza dei compiti che le sono affidati finché non fosse messa sotto pressione dalla competizione. Ci ha visto giusto e ha mirato a creare competizione tra istituti presi singolarmente, non secondo lo stereotipo dei due blocchi, statale contro privato. Blair ha aperto la scuola ai finanziatori privati — aziende, fondazioni, onlus, enti religiosi, anche associazioni di genitori — che hanno quindi voce in capitolo sulla gestione dell'istituto e sui programmi. Ospedali e scuole possono benissimo diventare joint venture «pubblico-private», decentralizzate e indipendenti dal governo centrale. È la devoluzione e la liberalizzazione dei servizi pubblici.
Ai finanziamenti privati si aggiungono quelli statali. Oltre a un Programma nazionale (National Curriculum), gli istituti che si specializzano in una disciplina particolare - arti, scienze, lingue moderne o «affari e imprese» - possono acquisire lo status di istituti «specializzati», ricevendo crediti governativi supplementari, ma solo se reperiscono 50 mila sterline (71 mila euro) da fonti esterne, principalmente dalle imprese. Lo Stato quindi non si accolla più l'onere della gestione, ma l'onere del controllo del rispetto di standard minimi generali. L'Office for Standards in Education (Ofsted) pratica ispezioni molto rigorose negli istituti e la Teacher Training Agency si occupa della formazione iniziale e permanente dei professori. Per creare un mercato dell'istruzione in cui gli studenti e le loro famiglie fossero davvero liberi di scegliere da consumatori è stato adottato un sistema definito «opened up to real parent power», aperto a un potere effettivamente nelle mani dei genitori. Fermi restando i programmi nazionali, e tutti i controlli governativi sulla qualità e sull'efficienza, ogni singola scuola dovrà rendere conto delle proprie scelte didattiche non al governo nazionale o locale, bensì direttamente alle famiglie degli alunni.
Certo, fatta la riforma, servono sempre dei soldi per finanziarla, ma teniamo presente che Blair li ha trovati tagliando ben 80 mila posti di lavoro del pubblico impiego, risparmiando oltre un punto di Pil britannico, e chiudendo le scuole più disastrate.
E' vero, qui in Italia abbiamo un problema: il Vaticano. Oggi sono i vescovi a designare gli insegnanti di religione, rilasciando — e revocando — un certificato di idoneità in virtù di un giudizio evidentemente etico e morale, mentre è lo Stato a sobbarcarsi gli oneri della loro retribuzione. L'immissione in ruolo degli insegnanti di religione, circa 20 mila, pone l'ulteriore problema che da qui al 2008 su tre docenti assunti dalla scuola pubblica uno sarà di fatto indicato dalle gerarchie ecclesiastiche. Un fenomeno che Boselli ha efficacemente definito «cassa d'integrazione per il Vaticano». Sono questioni che vanno risolte alla radice ma proprio nell'ottica di una riforma blairiana, e non della difesa dello status quo, sempre che sia Blair il nostro riferimento e non i Cobas. In Gran Bretagna lo Stato non finanzia la Chiesa, nell'insegnamento della religione prevale un approccio "multifaith", con priorità alle tradizioni cristiane ma non confessionale, che non ammette idoneità sui docenti da parte delle autorità ecclesiastiche. Tuttavia, il fatto che da noi le scuole private siano quasi tutte di proprietà di enti ecclesiastici non deve farci rinunciare a creare un sistema di istituti in competizione tra loro con finanziamenti misti e in cui lo Stato sia controllore e non più gestore.
P.S. Il luogo comune contro i buoni scuola
I buoni scuola non sono che welfare, spesa pubblica. Per questo, se non altro, andrebbero considerati con cautela. Ma contro di essi non vale l'obiezione del «senza oneri per lo stato», condizione che la costituzione pone nel riconoscere a enti privati la libertà di istituire scuole e università.
Supponiamo che il costo medio annuo per alunno sia, per le scuole pubbliche, mantenute dallo Stato, cioè dai contribuenti, anche da coloro che mandano i figli alle private, corrispondente alla cifra X (valore dell'edilizia scolastica, costi del personale, di gestione, del materiale didattico, eccetera...). Lo Stato deve garantire a tutti i ragazzi, visto che basta iscriversi, un posto sui banchi delle sue scuole. Calcolando per ciascun ragazzo un X costo medio annuo, per ciascuno che invece si iscrive a istituti privati lo Stato non spende il relativo costo medio X. Lo risparmia, perché è a carico delle famiglie che fanno quella scelta, trovandosi così a pagare due volte per l'istruzione del figlio: una prima, come contribuenti, allo Stato; una seconda, la retta alla scuola privata. Ad alcune famiglie l'istruzione dei figli è pagata dallo Stato, ad altre no, anzi pagano doppio. Si direbbe: chi glielo fa fare, si iscrivano alla scuola statale se vogliono l'istruzione gratuita!
Ma questa è un'obiezione oltre che classista anche statalista, perché altera la libera scelta del consumatore ad acquistare sul mercato il prodotto che ritiene migliore. E infatti è la logica per la quale non c'è concorrenza tra istituti. Se attraverso le tasse pago lo Stato perché fornisca un'istruzione a mio figlio, ma il servizio è scadente, dovrei avere indietro i miei soldi per recarmi da un altro fornitore di istruzione. Poniamo il caso che lo Stato dica: tutti i cittadini hanno diritto a un telefonino. I telefonini Tim li passa lo Stato, basta fare richiesta. Dunque, lo Stato s'è impegnato con me, ma se io decido di prendermi un Omnitel pagandolo di tasca mia perché funziona meglio, lo Stato nel mio caso risparmia. Se il Tim lo paga 100 euro e l'Omnitel io lo pago 150, lo Stato pagandomi un buono telefonino di 99,99 euro non ci rimette nulla oltre la spesa prevista.
Dunque, non è corretto parlare di «oneri» per lo Stato fin quando il valore del voucher scolastico non superi X-1. Inoltre, sarebbe interessante calcolare questo X costo medio annuo per alunno a carico del sistema scolastico statale, perché non sono affatto convinto che venga fuori una cifra di molto inferiore alla retta annuale di una scuola privata.
Oscar Giannino, su il Riformista, ci invitava a guardare alla Svezia, che nel 1992 ha introdotto una riforma che prevede il voucher alle famiglie.
«Se una scuola privata risponde ai requisiti di qualità formativa dell'Agenzia nazionale per l'educazione [è dunque in questa sede che vanno affrontate le delicate questioni attinenti alle scuole confessionali], le famiglie possono girarle il voucher che equivale al costo medio per il contribuente di una scuola pubblica-pubblica di analogo tipo. Sono ammessi istituti religiosi e no, a scopo di lucro come no. Da meno dell'1% sul totale dell'offerta formativa 13 anni fa, oggi gli istituti privati-pubblici sono saliti all'11%. I loro iscritti hanno risultati migliori negli studi, e gli istituti sono insediati soprattutto dove le scuole pubbliche-pubbliche offrivano servizi e rendimenti peggiori. Risultati del tutto analoghi sono quelli vantati dalle simili Charter Schools introdotte anni fa a Chicago, per combattere il degrado che era divenuto intollerabile dell'istruzione pubblica-pubblica. Sono i più poveri a emergere meglio che nelle scuole disastrate di Stato, i bilanci pubblici sono sgravati dei dipendenti, e alla fine anche le scuole solo pubbliche sono costrette a migliorare, se non vogliono chiudere i battenti».
10 comments:
Vabbè, mettiamola così, se fai in fretta un posticino tra i salmoni ancora lo trovi :)
Forse, un pensierino, ma quando qualcuno del centrodestra gli dirà che sono "rognosi" ;-))
ottima risposta alla seconda obiezione che avevo mosso più sotto. ;) Condivido in toto.
Alessio - Imola
beh ma in qualcosa i radicali (o rosa nel pugno)devono pure andar d'accordo con i sinistri no? Scagliarsi contro la scuola privata accontenta entrambi...
io mi sono fermato all'uguaglianza tra liberalismo e socialismo.
http://www.riformatoriliberali.org/dettaglio.asp?id=207
Questione di nomi, come sempre, nell'Italia compione di mistificazioni: si chiama privata, ma è pubblica. Scuola di Stato. SCV. Stato della Città del Vaticano (concedetemi la licenza poetica, per fare rima). Del resto i vescovi, che nominano gli insegnanti (figuratevi l'incompetenza: ne ho conosciuti 3 o 4 di recente) che poi noi stipendiamo, sono organi equiparati a istituzioni pubbliche in Italia.
Ottimo articolo. E lungo. Me lo dovrò studiare per poterlo sintetizzare (e come sempre, ahimé, stravolgere) per il Salon Voltaire. Ma com'è che sei così esperto di scuola: hai fatto anche il professore o solo lo studente? :-)
M'è bastato lo studente, ahimé ;-)
Capezzone avrà ripetuto mille volte che era a favore del buono scuola(associato all'abolizione del valore legale del titolo di studioi,però).
E sicuramente ne è ancora convinto.
In pratica credo che l'unico contributo dello SDI alla rosa sia questo.
Si chiamano compromessi,come quello di stare nell'unione e di essere i giapponesi di Prodi...turarsi il naso e associarsi allo sdi.
Saluti e complimenti Federico
COmplimenti per l'articolo, Federico. Mi associo alla perplessita' di a man nel vederti incatenato ai difensori della scuola statale. D'altronde, molti a destra si ritrovano incastrati in mezzo a difensori della scuola cattolica, come ricorda Nico Valerio.
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