Certo, il programma dell'Unione esce a pezzi dall'editoriale di ieri di Alberto Alesina su il Sole24Ore, che indirettamente porta anche in superfice alcune incongruenze e lacune della linea della Rosa nel Pugno, che di quella coalizione dovrebbe essere la spina liberalizzatrice nel fianco. Vediamo perché.
Alesina punta l'indice sulle 280 pagine di programma, esempio della «verbosità della nostra cultura politica», della sua «vacua ampollosità pianificatoria»; «parla di tutto (e quasi del contrario di tutto) e non dà alcuna idea delle priorità, né spiega come tutte le proposte di spesa pubblica (e ce ne sono tante) siano compatibili con la critica situazione del bilancio». In ultimo, come più osservatori hanno rilevato, quel mare di parole servono «a dare alternativamente un colpo al cerchio della sinistra conservatrice di Bertinotti e un altro alla botte del riformismo innovatore».
Ma l'economista del Sole individua anche una «ragione profonda» della prolissità del programma:
«È insita nella cultura della sinistra europea, sia laica sia cattolica, la convinzione che lo Stato debba intervenire molto per far ben funzionare l'economia e la società. In questo, purtroppo, la sinistra italiana non si differenzia dalla destra, la quale è in gran parte altrettanto se non più statalista. Quindi, se servono tanto Stato e una programmazione pervasiva, se bisogna spingere i mercati in questa o quella direzione con la politica industriale (ancora stiamo a parlare di politica industriale nel 2006), se occorrono infrastrutture sempre più ampie (le beniamine dei governi di ogni colore) e un'università solo e sempre pubblica più grande, è chiaro che ci vogliono 284 pagine per spiegare bene ogni dettaglio».
Ed è patetica, ai limiti della comicità, la risposta di Tiziano Treu, oggi su Europa. «Meschinità» quelle di Alesina, perché una situazione complessa come quella italiana richiede un programma complesso. Poi Treu si avventura a voler riprendere alcuni dei punti sollevati dall'economista, sostenendo che in realtà nel programma ci sono. E qui scatta la risata, poiché Treu complica le cose ancora di più, aggiunge verbosità a verbosità, dà implicitamente ragione ad Alesina riempiendo di se e di ma, di distinguo, le sue argomentazioni. Come non prendere come un segno di resa l'ultimo capoverso, dove Treu rinvia alle 12 pagine di presentazione redatte da Prodi?
L'esempio proposto da Alesina però chiama in causa anche la priorità programmatica declamata dalla Rosa nel Pugno, la «difesa» della scuola pubblica. La sinistra insiste sul ruolo della ricerca, e «per potenziarla» sopra tutto si prevede «l'incremento del finanziamento pubblico». «Dovrebbe essere ormai chiaro - obietta Alesina - che il difetto della nostra università, e della scuola più in generale, non è la mancanza di fondi pubblici ma l'impossibilità di creare gli incentivi corretti, licenziando insegnanti, ricercatori e professori incapaci (o, almeno, pagandoli molto meno dei loro colleghi più produttivi) e spostando l'onere del finanziamento dei costi universitari, dai contribuenti agli utenti».
Al posto delle «pagine gialle», Alesina suggeriva «tre proposte da attuare subito», da spiegare in sei cartelle: «liberalizzare tutti i mercati dei beni e dei servizi, comprese le professioni, mettendo finalmente al centro dell'attenzione e dell'azione gli interessi dei consumatori»; «eliminare completamente i divieti e i costi di licenziamento, introducendo sussidi alla disoccupazione, anche generosi, ma legati all'attiva ricerca di un posto di lavoro con un'applicazione inflessibile delle regole sia per chi viola le norme anticoncorrenziali sia per chi un lavoro non lo accetta o non lo cerca»; «ridurre drasticamente i costi amministrativi e burocratici per le imprese».
Sono questi alcuni dei punti della stessa "agenda Giavazzi", cui la Rosa nel Pugno ha aderito. Quando però si vanno a elencare si rischia di dimenticarne qualcuno. E' il caso del «reddito minimo di cittadinanza», associato spesso da Boselli o dalla Bonino alla liberalizzazione dei servizi e delle professioni, mentre Giavazzi, e Alesina, parlano piuttosto di «sussidio di disoccupazione». S'intende la stessa cosa? E' bene chiarirlo, perché con la prima espressione, dal suono vetero-statalista, viene in mente un assegno vitalizio, mentre la seconda è più idonea a dare l'idea di un sostegno a termine legato alla ricerca di un nuovo lavoro. Comunque il sussidio, che andrebbe a sostituire la cassa integrazione, è inscindibile dall'«eliminare completamente i divieti e i costi di licenziamento», cioè da quella «libertà di licenziamento» che troviamo nell'"agenda Giavazzi", e in Alesina, ma non tra le priorità della Rosa nel Pugno.
La fine del socialismo reale in Europa, il fallimento delle politiche stataliste delle socialdemocrazie, offrono un'occasione unica per il liberalsocialismo, per dimostrare che liberali e socialisti sono sinonimi, per l'innesto dei liberali in una sinistra, appunto e finalmente, liberale, ma a patto di non dare spazio a rigurgiti statalisti, altrimenti il liberalsocialismo ritorna a essere nell'immaginario di tutti l'utopia dell'Ircocervo crociano, cioè un paradosso. Alla Rosa l'onere della prova.
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