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Sunday, February 05, 2006

La «koinè liberale» non c'è. Chi avvilisce la cultura liberale

Prosegue con un'altra risposta all'analisi-appello di Michele Salvati il dibattito sul partito democratico. Biagio De Giovanni ci pare cogliere il nodo, nel deficit di cultura liberale, la sola dove le diverse culture di sinistra, sconfitte dalla storia, potrebbero incontrarsi e invece la respingono.
«Ma è proprio sicuro, Salvati, che le forze principali da federare nell'unico partito (Ds e Margherita) siano attestate su una koiné liberale, come egli afferma ripetutamente? (...) così non pare che sia, e quella koiné deve ancora fare, probabilmente, molta strada prima di potersi dire che si sia affermata come un terreno comune. Per ora, abbiamo la necessità della prova (...) perché mai forze d'origine cattolica e comunista, senza significativi sostegni esterni, dovrebbero possedere la virtù infusa dello spirito liberale, e avere la disponibiità a metterla in comune? In altri momenti, non è stato questo lo spirito che metteva insieme forze di ispirazione cattolica e comunista, e il fatto stesso che ci siano dei precedenti dovrebbe invitare a riflessione più approfondita. (...) Il precedente più visibile, è l'ipotesi di "compromesso storico" (...) sintomatico della tentazione costante di un rapporto fra culture politiche che proprio non hanno nello spirito liberale il loro punto caratteristico (...) perché dobbiamo dare per scontato che quel cuneo abbia prodotto tutti i suoi effetti, e il sistema Margherita-Ds ne abbia interiorizzato le spinte liberal-socialiste, laiche e moderne?»

Sicuramente, scrive De Giovanni, la laicità è «al cuore dello spirito liberale», nient'affatto alternativo a uno «spirito cristiano». Alla condizione però «che nel partito dove è più presente la componente cattolica (la Margherita), prevalga, aggiornata, quella dimensione cattolico liberale che fu di De Gasperi e per molti aspetti di Sturzo. Ma è così, o non sta avvenendo proprio il contrario? Io credo che stia avvenendo proprio il contrario», sia per le scelte di Rutelli sia per la prevalenza dell'«ascendenza dossettiana». E «il prodismo sta largamente in questa koinè».

Perché mai dunque «il loro sommarsi [di Ds e Margherita] dovrebbe sprigionare uno spirito che non è affatto pacificamente presente nelle sue componenti»? Questo discorso sull'unità dei riformismi rischia di di essere «generico» e «ideologico». Si può, si chiede De Giovanni, rappresentarlo in modo che non si riduca a una «socialdemocrazia attenta ai valori cattolici?». Quindi insiste: «Il punto centrale, oggi, è la koinè liberale da conquistare... il liberalsocialismo capace di difendere le libertà individuali dai poteri corporati che non rappresentano più la dimensione sociale; il cattolicesimo liberale capace di difendere con forza la laicità dello stato e la coscienza laica della vita comune».

Oggi sul Corriere, la replica di Salvati, costretto, mi pare, ad accogliere l'obiezione di De Giovanni, senza trarne le conseguenze: «... il terreno comune dell'incontro non può che essere una culturale liberale, di sinistra ma liberale». I comunisti e democristiani sono stati in effetti i principali oppositori della diffusione di una cultura liberale nel nostro paese, e lo sono ancora, ma cosa ci dice, si chiede Salvati, «che ex democristiani ed ex comunisti, lasciati ognuno nel proprio contenitore», intraprendano la via giusta?

Benedetto Croce seppe vedere, fin dal 1949, questo comune istinto della cultura comunista e di quella cattolico-democristiana ad «avvilire il pensiero laico e liberale»: «Il fatto nuovo è la situazione politica formatasi in Italia, che ha permesso ai clericali d'impadronirsi di gran parte della vita pubblica e tra l'altro del governo della scuola, portandovi quell'ingordigia e quelle altre attitudini onde Ludovico Ariosto aborriva i preti e che il Machiavelli e lo stesso Guicciardini confermavano in gravissimi e perpetui giudizii. Né c'è da contare sull'opposta parte che si dice comunistica (...) perché essa si è messa sempre d'accordo coi suoi concorrenti, quando si trattava di avvilire il pensiero laico italiano, e non aspira ad altro che a collaborare con essi a questo intento».

Da parte dell'Unione c'è «un disagio, una spocchia» nei confronti della Rosa nel Pugno, ha detto proprio oggi Emma Bonino, intervenendo al Congresso dello Sdi: «Ci trattano come chi voglia perdere... sembra quasi che certi amici ci dicano: "ci siete però dovete rimanere marginali". Beh, non è così... Questo disagio non è dovuto al presunto cattivo carattere dei radicali e di Pannella, ma è l'autonomia politica della Rosa nel Pugno che si è manifestata in questi mesi con le sue iniziative, le sue lotte, le sue proposte di riforma, che mette a disagio sul piano puntuale delle politiche e su quello intellettuale complessivo il progetto cattocomunista che vuole essere ri-egemone. Se questo è, saremo la vostra spina, le vostre spine nel fianco, perché una sinistra vincente deve fare tesoro degli slanci liberali, socialisti, laici che pure esistono nell'opinione pubblica italiana; perché la storia dimostra che è vincente la nostra tradizione e non quella comunista o cattocomunista», perché «siamo quelli che prima di altri hanno saputo capiere, interpretare, governare le istanze del mondo nuovo».

Salvati scrive che il partito democratico può nascere solo «se si sdogana la parola liberale». Ma almeno come «enzima» della società civile può considerare la Rosa nel Pugno? «Una forza liberale organizzata qui c'è», afferma la Bonino, va detto ai Salvati e ai Polito di una sinistra che «ci vive e ci soffre con disagio, che ancora non ha capito che siamo un'opportunità per una sinistra più laica e liberale, più adeguata ai tempi».

Il blairismo all'italiana non c'è ancora, ammette, come De Giovanni, anche Antonio Polito, giungendo però a una conclusione simile a quella di Salvati: cosa ci dice che rimanendo ciascuno sulla propria strada ex comunisti ed ex democristiani incontrino la cultura liberale? Certo, se continuano ad avere un atteggiamento repellente nei confronti dei radicali e del nuovo soggetto liberalsocialista ci sono poco speranze.
«Dieci anni sono passati dalla vittoria del primo Ulivo. Che cosa vi ha veramente fatto seguito in termini di definizione di una nuova cultura politica del centrosinistra? (...) Per nuova cultura politica io intendo lo scioglimento di alcuni nodi di fondo del governo di una moderna società capitalistica: lo stato non è sempre la soluzione dei problemi, ma spesso è il problema; la giustizia sociale non si misura più in termini di spesa pubblica; la centralità dell'individuo (nell'accezione liberale) e della persona (in quella cristiana) contro il vecchio tabù collettivista, tristemente tramutato in un farsesco corporativismo; l'interesse del cittadino utente dei servizi (gli studenti,i malati,i viaggiatori, i risparmiatori) come sovraordinato a quello dell'erogatore dei servizi (gli insegnanti, i medici, i tranvieri,i banchieri); la scelta occidentale contro ogni nostalgia policentrista. E così via.

Ma se è vero che la cultura politica ex comunista ed ex cattolica non hanno ancora compiuto la loro infusione di cultura liberale, perché mai, come dice De Giovanni, dovrebbero essere lasciate libere di continuare a maturare (a marcire?) nei contenitori attuali, sperando che un giorno si incontrino per serendipità liberale? Che cosa ci fa pensare che nella concorrenza reciproca sulle rispettive porzioni di voti (e dunque di gruppi di interessi, di corporazioni, di lobby), e in tempi di proporzionale, dovrebbero mettersi sulla strada della virtù? In queste condizioni sono già passati dieci anni, e nel frattempo è nato, prosperato e morto il berlusconismo. Nato, prosperato e quasi morto il blairismo. (...) No. Io credo che la divisione accentui soltanto i difetti dei due possibili contraenti. Credo che l'unione sia una buona scorciatoia per quella rivoluzione culturale che De Giovanni, come noi, auspica da dieci anni. E credo che solo una nuova leadership, un'avanguardia, possa piegare la resistenza della vecchia forma partito...»
Polito difende la Margherita dalle critiche, è sbagliata l'identificazione come un partito cattolico. «La varietà di culture politiche compresenti nella Margherita è superiore a quella di ogni altro partito... Oserei dire che la Margherita è una specie di embrione del partito democratico». E' vero che la varietà delle culture c'è, che la Margherita era nata come «embrione del partito democratico». Tuttavia, mi pare innegabile che la varietà di quelle culture è più che altro fittizia, che a guardare la politica espressa ce ne sia poca traccia, e che, come ha ben fatto notare Boselli, l'«Ulivo non poteva sopravvivere alla scelta integralista di una delle sue componenti fondamentali... non è possibile costruire un partito democratico con un partito che sceglie la sintonia con le posizioni più conservatrici delle gerarchie ecclesiastiche».

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