Il modo diretto per affrontare questo nodo non era cambiare una legge equilibrata, ma forse, ancora una volta, il nostro processo, passando del tutto al modello anglosassone della separazione delle carriere e della giuria popolare. Non un magistrato incaricato di interpretare la norma, di calarla in modo tecnico, quindi arbitrario, sul caso preso in esame, ma una giuria di cittadini chiamata a giudicare il comportamento dell'imputato e a valutare la proporzionalità della sua difesa secondo buon senso. Fin qui i difetti, ma di una cosa sono certo: non mi unisco ai critici di questa nuova legge, che mi sono apparsi più che altro ideologici, talmente sprezzanti della proprietà privata, portati quasi a giustificare sociologicamente la rapina.
E' un sentimento di ribellione nei confronti di tali argomenti che mi porta a condividere l'impostazione dell'editoriale di Francesco Merlo, certo non uno scalmanato leghista, su la Repubblica. Anch'egli avrebbe voluto «una legge non pasticciata e non leghista, non vendicativa e non razzista, rigorosa e semplice. Una legge che non sbagli i toni come questa della Lega, e che non sia così insensatamente elettorale e volgarmente politica». Epperò: «Siamo sicuri che la legittima difesa sia di destra, che sparare agli aggressori sia sempre di destra? Immaginiamoci una sera qualsiasi, nella nostra casa di campagna, con i bimbi gia a letto, la moglie che legge in poltrona...»
«Lo Stato deve prevedere e "legalizzare" le occasioni nelle quali siamo costretti a essere carogne perbene... In quei terribili attimi dobbiamo sentirci sicuri di reagire in nome e per conto dello Stato che non è ubiquitario, ma difende legittimamente i suoi cittadini anche quando non è presente con il poliziotto, con il carabiniere. In quei momenti lo Stato sono io... Sparando al suo posto, ne interpreto la norma. (...) Non è Far West difendere la propria famiglia, la propria casa, la propria vita, non è Far West la reazione malinconica e severa dell'aggredito, del violato, della vittima che incarna lo Stato oltraggiato dal delinquente. E invece Far West l'insicurezza, la paura sociale, l'estrema vulnerabilità, l'assenza, non fisica ma ideale, dello Stato».
«Dove c'è un cittadino che rispetta le leggi dello stato, li c'è lo Stato. E' la polizia che delega a me compiti di polizia; è lo Stato che mi assegna la funzione di difendermi per difendere se stesso. (...) La fatica dell'essere usciti dalle caverne dell'homo homini lupus deve essere ben ripagata e rispettata e, questa sì, vale piu della vita di un delinquente. A meno che non si pensi che la serenità familiare sia costruita sulla vita da marciapiede degli esclusi, che la proprietà sia un furto, e che il delitto sia sempre la conseguenza di un'ingiustizia sociale: il delitto come diritto del marginale, il delitto come legittima difesa dello sfortunato».
Tendo, dal punto di vista del principio, più verso una concezione libertaria quale quella esposta da Oscar Giannino, su il Riformista. «Per noi libertari la proprietà è sacra al pari della vita, ed è questa la differenza radicale dell'impostazione individualista da quella roussoiana per la quale si legge nel Contratto sociale che "i frutti appartengono alla terra e la terra a nessuno", cioè a tutti. Per noi sparuta pattuglia libertaria è sacro il secondo emendamento della Costituzione americana, approvato sin dal 1791 tra i dieci punti del cosiddetto Bill of Rights, volto alla difesa dal rischio di uno strapotere federale: "Essendo necessaria alla sicurezza di uno Stato libero una ben ordinata milizia, il diritto dei cittadini di tenere e portare armi non potrà essere violato". Diceva James Madison nei Federalist Papers che la differenza dell'America di liberi, rispetto ai regimi statolatrici e tirannici dell'Europa continentale stava nel fatto che questi ultimi temevano di mettere le armi nelle mani dei propri cittadini.
E Thomas Jefferson amava citare il nostro Cesare Beccaria: "Falsa idea di utilità è quella che sacrifica mille vantaggi reali per un inconveniente o immaginario o di poca conseguenza, che toglierebbe agli uomini il fuoco perché incendia e l'acqua perché annega... Le leggi che proibiscono di portare armi sono leggi di tal natura; esse non disarmano che i non inclinati né determinati ai delitti, mentre coloro che hanno il coraggio di poter violare le leggi più sacre della umanità e le più importanti del codice, come rispetteranno le minori e le puramente arbitrarie e delle quali tanto facili ed impuni debbon essere le contravvenzioni, e l'esecuzione esatta delle quali toglie la libertà personale, carissima all'uomo carissima all'illuminato legislatore, e sottopone gl'innocenti a tutte le vessazioni dovute ai rei? Queste peggiorano la condizione degli assaliti, migliorando quella degli assalitori, non scemano gli omicidii. Ma li accrescono, perché è maggiore la confidenza nell'assalire i disarmati che gli armati".»
Detto questo, Giannino teme della nuova legge «un'interpretazione assai più radicata nel nostro passato medievale, quando il diritto a portare e usare armi era espressione delle lotte civili più che della difesa dei diritti». E anche lui individua nella giurisprudenza la stortura che andava corretta: «Giudici meno scioccamente inflessibili nel condannare gioiellieri che hanno sparato contro i rapinatori a mano armata, ci avrebbero evitato una riforma che rischia di essere peggio del male».
Falso e fazioso, come nel caso della legge Pecorella sulla inappellabilità delle assoluzioni, che avevamo già trattato, Carlo Federico Grosso, su La Stampa. E' vero, come scrive che la «norma, correttamente interpretata, era del tutto idonea» a considerare proporzionata anche l'uccisione dell'aggressore, a tutelare «chi si fosse difeso nei limiti della ragionevolezza». Di fatto, non veniva più interpretata a questo modo. Poi si abbandona alla menzogna, perché è falso che la nuova norma autorizza «anche l'uccisione del ragazzino che cerca di impossessarsi di qualche frutto» o «del ladro silenzioso».
Il parere giuridico forse più centrato sulla norma introdotta è quello Carlo Nordio, su Il Messaggero. Non è cambiata di molto e in termini semplici vuol dire che «è lecito usare le armi contro il ladro che entri in casa o in bottega e che, invece di scappare, ti voglia aggredire». Insomma, non «un capolavoro di umanità, ma non è nemmeno una licenza di uccidere». La vecchia norma, di 75 anni fa, ha spiegato Nordio, «risente della costruzione filosofica hegeliana, ove lo Stato assume il ruolo di tutore etico e di garante politico», ma «se ha retto e regge, dopo quasi sessant'anni dalla Costituzione della Repubblica, è perché ha una buona dose di equilibrio liberale». E conferma che «in mano a giudici saggi sarebbe stata, come lo è stata per decenni, quasi perfetta. Se non che, negli ultimi tempi, essa ha subito la conseguenza di due deviazioni perniciose: l'esasperata lunghezza dei processi, e l'eccessivo bizantinismo di alcuni magistrati».
Riconosce che il legislatore ha voluto mirare «a trarne un vantaggio elettorale. Operazione più che legittima dal punto di vista politico, ma inutile sotto quello giuridico e operativo». La riforma, in realtà, «cambia poco».
«Introduce una sorta di presunzione di innocenza di chi usa le armi, legittimamente detenute, contro chi ruba nell'abitazione o nel negozio, ma ne condiziona l'esercizio alla mancata desistenza del ladro e al pericolo di aggressione. Sotto questo profilo essa è anche più rigorosa di quella vigente. Ma soprattutto essa lascia inalterato l'aspetto processuale della questione. Con la conseguenza che le indagini e i processi si faranno lo stesso, con gli stessi tempi lunghi, le stesse spese, e lo stesso calvario di tanti imputati. Questo perché la normativa sulla legittima difesa è il pilastro di un edificio che si chiama codice penale, inserito in un complesso ancora più imponente che si chiama procedura. Toccare un pilastro non serve a nulla, se non a rendere instabile e incoerente il sistema».
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