Non è la solita bega di cuginanza tra Italia e Francia. Della gravità del caso Suez/Enel, di cui avevo già parlato ieri, si sono accorti oggi due degli economisti che più stimo. Francesco Giavazzi, sul Corriere, rilancia il tema delle liberalizzazioni e invita a resistere alla forte tentazione di erigere a nostra volta barriere protezionistiche, seguendo la logica di una reciprocità che può sembrare semplice buon senso in questi casi. No, chiuderci in noi stessi non farebbe che peggiorare la nostra condizione.
Certo, al di là del nuovo trattato non ratificato, delle divisioni sull'Iraq, è l'evidente assenza di ciò che almeno ritenevamo acquisito, il mercato comune, ad affossare il sogno europeo: «... l'Europa non cresce proprio perché vi è troppo poca concorrenza, troppe protezioni, un'eccessiva interferenza dello Stato nell'economia. Per riprendere a crescere occorre aver il coraggio di liberare l'economia e spiegare agli elettori che ogni protezione dei produttori corrisponde a uno sfruttamento dei consumatori».
I privilegi dei produttori si traformano in danni per consumatori e lavoratori. Questo semplice concetto potrebbe risultare efficace per convincere gli elettori a sostenere riforme più coraggiose.
Anche Oscar Giannino, su Il Messaggero, esprime la propria disillusione per l'Europa e punta l'indice sulla Francia, che «ha dimostrato la propria concezione del mercato unico europeo: aperto alle acquisizioni francesi in casa altrui, blindato a quelle straniere in casa propria». Un comportamento che «ricorda la politica di piano e l'orgoglio dell'autarchia» e richiama alla memoria le guerre protezionistiche di fine '800.
Nell'accezione comune e anche, bisogna dirlo, nella storiografia "ufficiale", la Gran Bretagna è il paese cui viene sempre attribuito il ruolo di freno del processo d'integrazione europea. Pesano un pregiudizio anglofobico e il sospetto per la special relationship di Londra con gli Stati Uniti. Chissà che una storiografia più coraggiosa non riesca invece a rintracciare nella Francia quel germe anti-europeista che nei momenti clou ha prevalso impedendo all'Europa di fare il salto di qualità. Accadde con la CED, la Comunità europea di difesa, bocciata nel 1954 dalla Francia, che avrebbe rappresentato il volano per un progetto volto a creare una struttura federale o confederale. Accade oggi con la bocciatura della costituzione - causata dal suicidio di una classe politica, destra e sinistra, unita nell'alimentare le paure dei francesi giustificando così le politiche protezioniste e dirigiste - e con il caso Suez/Enel, colpo tremendo al mercato unico, che sembrava un dato acquisito.
L'intera storia del processo d'integrazione europea andrebbe insomma reinterpretata alla luce della rivalità tra la Francia dirigista e la Gran Bretagna mercatista. Le due potenze hanno finito per giocare il ruolo dei poli respingenti, con Londra naturalmente rivolta verso Washington, ma anche spinta oltreoceano da Parigi, gelosa del suo ruolo egemone in Europa. Oggi constatiamo sempre di più che le istituzioni europee hanno finito per assumere i caratteri burocratici e dirigisti di Parigi.
4 comments:
Giannino e' un giornalista che stimo molto. mi risulta pero' difficile capire come mai su alcuni temi (il sistema bancario italiano) risulti estremamente prudente e suggerisca molta cautela prima di parlare di liberalizzazioni, mentre su altri, si erga ad alfiere delle liberalizzazioni
Aspettavo di trovarti alla premiazione , come mai non sei venuto?
M'avrebbe fatto piacere, ma non sono stato invitato ;-(
ciao
Sul mio blog avevo invitato tutti e la stesso cosa aveva fatto Galileo , peccato , sara' per la prossima volta
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