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Tuesday, February 07, 2006

La democrazia è la "procedura" democratica

Di capitale importanza, a mio avviso - vi ho dedicato molti post e articoli recenti - è contrastare quella tendenza di nuovo di moda oggi tra molti intellettuali a screditare la democrazia come procedura. La dicotomia tra democrazia formale e democrazia sostanziale è solo fonte di troppi equivoci. Questo pregiudizio (mi pare in fondo dettato dalla paura per l'assenza di un fonte d'autorità, di un'etica condivisa, che prevalgano sulle altre) che i cosiddetti valori diano sostanza alla democrazia, mentre le regole si risolvano in vuote forme, fa perdere di vista la premessa di qualsiasi democrazia, cioè proprio il rispetto delle regole che garantiscono il suo corretto funzionamento e la pluralità di quei valori.

Su La Stampa, il cardinale Angelo Scola, rispondendo a un precedente articolo di Rusconi, se la prende proprio con la procedura democratica, «non è neutrale assiologicamente, cioè dal punto di vista dei valori». Il guaio, per il cardinale, è che la procedura è «proceduralizzazione» dei valori ma non coincide con i valori stessi. «I valori democratici sono incorporati dalla procedura e da essa legittimati, ma non sono la procedura». Dunque, dice il cardinale, la procedura democratica è vuota forma che va riempita di contenuti. Rimane aperto «il problema della consistenza assiologia, valoriale della democrazia che è indispensabile alla democrazia e che essa non è in grado di produrre da sé, non essendo della natura di una procedura il produrre valori».

Probabilmente Scola fa l'errore di pensare alla procedura democratica semplicemente nei termini del principio di maggioranza. Se così fosse, avrebbe ragione. Ma non è così. Se pensiamo al costituzionalismo dal punto di vista storico-politico possiamo definirlo una teoria giuridica che rende tecnicamente possibile la democrazia liberale. In senso lato si può dire che ogni Stato, anche una dittatura, ha una sua "costituzione", ma ciò non si può dire se assumiamo che storicamente il termine costituzione non equivale a una qualsiasi legge fondamentale che regge uno Stato, ma a quella particolare forma che rende possibile la democrazia.

Tornando a noi. Le procedure democratiche vanno ben oltre il principio di maggioranza, abbracciano tutta l'architettura costituzionale di un paese, le regole di funzionamento delle sue istituzioni. Esse per noi coincidono con i valori democratici. Sono infatti la premessa necessaria e sufficiente perché nella società cui si applicano conviva una pluralità di valori e di stili di vita. Per questo una democrazia è autosufficiente dal punto di vista dei valori, se funziona. E funziona non quando si fa veicolo o, peggio, dettatore, dei valori, ma quando consente ai cittadini e alle formazioni sociali di un paese di vivere ciascuno secondo i propri, pacificamente e nel rispetto reciproco. Certo, una maggioranza antidemocratica potrebbe prendere il potere democraticamente e abolire la democrazia stessa. Ma non v'è in questo violazione sostanziale disgiunta da una violazione formale. Le regole sono la democrazia.

E' ciò che Gian Enrico Rusconi risponde al cardinale Scola, riaffermando con fierezza che «la democrazia è laicamente autosufficiente nel garantire i suoi valori fondamentali. (...) La democrazia come procedura va intesa non come assenza di valori, ma come condizione necessaria perché coesista una molteplicità di valori. I cittadini convivono, si intendono, sono solidali tra loro sulla base di regole condivise, a prescindere dai loro convincimenti su questioni, anche rilevanti, come la fede, l'idea di famiglia o i confini della sperimentazione scientifica. La democrazia-procedura cioè consente di far convivere civilmente cittadini che hanno differenti convincimenti e stili di vita morali». In presenza di tali situazioni possiamo affermare che una democrazia funziona e ciò non significa «neutralizzazione» a favore di una unilaterale visione laica.

Scola, che riduce la procedura democratica al principio di maggioranza, intende avvertirci che la maggioranza, che della democrazia è procedura, non è di per sé portatrice dei valori democratici. Ma questo lo sappiamo, non è questo, infatti, il suo compito. Se la maggioranza avesse a che fare con la Verità, verrebbe meno la necessità della tutela delle opposizioni e del ricambio al governo. E con ciò saremmo al di fuori della democrazia. La democrazia cessa di esistere non quando manca di farsi veicolo di valori, ma quando la procedura democratica che il costituzionalismo ci insegna viene infranta.

Dove ci condurrebbe il discorso del cardinale lo rivela egli stesso, sostenendo che soltanto i valori religiosi, entrati nell'argomentazione pubblica e nell'ambito legislativo, sarebbero in grado di correggere «l'insufficienza dei valori incorporati dalla democrazia occidentale». Ma, obietta Rusconi, «un conto (...) è il discorso pubblico, un altro è il processo deliberativo legislativo tramite il quale le convinzioni di singoli e gruppi diventano o pretendono di diventare leggi vincolanti per tutti. In questo equivoco cadono molti - vocalissimi - cattolici che lamentano come una loro presunta mortificazione nel discorso pubblico il fatto che ci sia resistenza e protesta da parte di chi la pensa diversamente e vede in certi loro comportamenti pericolose forzature dei procedimenti democratici. (...) Non si tratta di disconoscere la legittimità degli argomenti religiosi che suoi cittadini esprimono nel discorso pubblico. Ma questi si devono fermare quando tramite tali argomenti sono promosse norme controverse che diventano vincolanti anche per chi non li condivide».

Il «relativismo», fino a pochi anni fa nemico dei liberali, perché inteso popperianamente, oggi viene usato da Ratzinger e dagli atei devoti «come una clava per liquidare il pluralismo delle convinzioni e degli stili morali», ciò che Popper chiamava «pluralismo critico».
«... quella filosofia che è stata descritta come relativismo; una filosofia che porta alla tesi che tutte le tesi sono intellettualmente piú o meno difendibili. Tutto è accettabile! Cosí il relativismo porta all'anarchia, alla mancanza di leggi, e al dominio della violenza. (...) A questo punto mi piacerebbe confrontare il relativismo con una posizione che è quasi sempre confusa col relativismo, ma che invece è totalmente differente da esso. Io ho spesso descritto questa posizione come pluralismo, ma ciò ha semplicemente portato a questi fraintendimenti. Pertanto lo caratterizzerò qui come pluralismo critico. Il piú confuso relativismo, che sorge da una scadente forma di tolleranza, porta al dominio della violenza, il pluralismo critico può contribuire a tenere la violenza sotto controllo. Allo scopo di distinguere il relativismo dal pluralismo critico, l'idea di verità è di cruciale importanza. Il relativismo è la posizione che tutto può essere affermato, o praticamente tutto. Tutto è vero, o niente è vero. Pertanto la verità è un concetto senza significato. Il pluralismo critico è la posizione che, nell'interesse della ricerca della verità, per tutte le teorie, le migliori in particolare, dovrebbe essere favorita la competizione con tutte le altre teorie. Questa competizione consiste nella discussione razionale delle teorie e nell'eliminazione critica. La discussione dovrebbe essere razionale – e ciò significa che dovrebbe avere a che fare con la verità delle teorie in competizione: la teoria che sembra avvicinarsi di piú nel corso della discussione critica è la migliore; e la teoria migliore rimpiazza la teoria piú debole».
(K. R. Popper, Toleration and intellectual responsability)

1 comment:

Anonymous said...

aldilà delle considerazioni ecclesiastiche credo che sia giusto quello che dice scola, cioè, non so se è un liberale, ma la pensa come un liberale.

Il fatto è che la democrazia è nata in opposizione all'assolutismo in pieno periodo illuminista, all'apice, quindi, del liberalismo classico.

La democrazia serviva quindi come luogo di discussione per le nuove menti liberali salite alla ribalta
Il problema è che quasi subito socialismo e romanticismo hanno rifiutato questo sistema, proponendo un sistema (comunismo fascismo eccetera).

Mancanti le possibilità di giungere al potere con la violenza si è usata la democrazia come strumento di lotta per rovesciare lo status quo.

Nascono in questo i problemi già sollevati da Tocqueville (il filosofo, non l'aggregatore) riguardo la dittatura della maggioranza.

LA democrazia è obsoleta perchè è cambiato lo scenario, ma la battaglia comunque sarà una battaglia delle idee (credo) che avverrà all'interno del sistema democratico. Per questo quello che dice Scola non è affatto stupido, la democrazia è un'arena dove si svolge una guerra civile non violenta.