![Daniele Capezzone con Marco Pannella](http://www-5.radioradicale.it/images/news/capezzone_pannella.jpg)
Il bravo Adalberto Signore, che oggi, su il Giornale, ha acceso i riflettori sull'ultima animata riunione di Direzione dei Radicali italiani - nient'affatto "a porte chiuse", tant'è che dal giorno dopo il video era accessibile a tutti sul sito di Radio Radicale - pur cogliendo le parti più salienti dello scontro Pannella-Capezzone-Bonino ha bucato una frase.
Per carità, il suo è un resoconto diligente e completo. Vi compaiono tutti i tre livelli sui quali s'è svolta la discussione: il dissidio personale, tra Pannella e Capezzone, e le questioni politiche, che Capezzone tentava di porre, e gli altri due leader di eludere, che riguardano l'atteggiamento dei radicali nei confronti del governo e nella crisi della Rosa nel Pugno.
Ma, dicevamo, la frase: di questa Finanziaria «non muore nessuno». Chi l'ha pronunciata? Il ministro Emma Bonino. Di Finanziaria, invece, "si muore" eccome. E' uno degli atti politicamente più rilevanti di un governo. Incide sulla carne viva del paese. Da quanti soldi dei contribuenti un governo spende, da come li spende, con quali e quanti sprechi e inefficienze, dipendono la crescita o meno del paese, l'apertura o la chiusura di aziende, il lavoro che si trova o non si trova, le scuole che funzionano e non funzionano, e così via...
E anche rimanendo all'interno di quella lettura che i radicali danno della realtà oligarchica e partitocratica del nostro paese, si può dire che la Finanziaria è lo specchio della forza, e al contempo il punto debole, del "regime". Maggiore è la quantità di denaro che i gruppi al potere si trovano a gestire e a distribuire ad altri gruppi di potere, più consolidano il loro controllo sulla società e si garantiscono la sopravvivenza. Per questo i governi tendono fisiologicamente a estendere le proprie competenze, gli interventi, e a ingigantire la spesa pubblica.
Che poteva andare in questo modo lo sospettavamo da un po' di tempo. Un conto, infatti, era un avvicendamento fisiologico alla segreteria dettato da una regola aurea nel movimento radicale, l'incompatibilità tra incarichi istituzionali e incarichi nel partito, che ha alcuni svantaggi ma vantaggi indiscutibili: oltre a permettere ai Capezzone di diventare tali, garantisce al partito l'impegno di un segretario 24 ore su 24.
Tutt'altra cosa era presentare il ricambio come una sfiducia politica, un processo a quel che il segretario ha fatto di male o non ha fatto per il partito. Era chiaro che se così fosse stato, com'è stato, Capezzone avrebbe dovuto difendersi e, bisogna dargli atto, lo ha fatto nelle sedi opportune, rinunciando a ripresentare la sua candidatura e cercando (invano) di evitare che alla situazione fosse applicato il cliché di Pannella che «divora i suoi figli».
Colpa di Capezzone che del partito non si è occupato? Possibile, in parte, ma allora cosa pensare di chi invece del partito s'è occupato 24 ore al giorno, ed ora è "designato" alla successione di Capezzone? Rita se n'è occupata, ma evidentemente ha agito male, è quanto meno corresponsabile. No, non regge.
Per quanti errori abbia potuto commettere, e per quanti difetti personali rivelare, il partito soffre di problemi strutturali che vanno ben oltre la gestione Capezzone (-Bernardini). Il calo degli iscritti (circa il 25%) è dovuto principalmente a tre motivi: una parte può non aver condiviso il progetto della Rosa nel Pugno e la collocazione nel centrosinistra; tutti i dirigenti hanno concentrato risorse ed energie umane su ben due campagne elettorali, sulla nascita della Rosa nel Pugno e, oggi, sugli incarichi istituzionali. Come se non bastasse, da due anni la cifra che la tesoreria può spendere è 0.
Non lo ammetterà mai Pannella, ma nell'ultima conversazione settimanale aveva in parte recepito gli avvertimenti di Capezzone sull'autolesionismo con cui si stava affrontando il tema dell'avvicendamento alla guida di Radicali italiani, abbandonando argomenti e ammorbidendo i toni. Oggi, però, l'articolo su quella riunione di Direzione.
Se questo, per Pannella, è «il modo per rianimare il nostro soggetto politico», io invece mi auguro di non assistere a quattro giorni in cui si alternano inquisitori e difensori di Capezzone; mi auguro che il dibattito tra i congressisti non sia schiacciato, e oscurato, dal lancio di stoviglie tra i big. Pannella che «divora i suoi figli» farà anche accendere i riflettori sul Congresso, ed è un bene, ma quanto grande è il rischio che lo stereotipo divori il dibattito?
Del rilancio del partito, certo, bisogna parlare, ma non farne occasione strumentale per montare un "caso Capezzone" e rischiare la sua tabaccizzazione. Acquisito il ricambio alla segreteria, la vera questione che rischia di essere elusa, sacrificata dalla personalizzazione dello scontro, è tutta politica.
Nessuno propone di porre ricatti, o di uscire dal governo ora, sarebbe patetico oltre che velleitario, ma si ritiene o no di dover in qualche modo affrontare la situazione di grave difficoltà politica in cui sono i radicali, rispetto a un Governo che gli indicherebbe volentieri la via dell'uscita e una Rosa nel Pugno il cui scalpo lo Sdi si prepara a portare al partito democratico?
Si trovi un modo, una linea condivisa, ma si vuole o no riconoscere che il problema esiste?
Il governo e la coalizione si comportano con i radicali «in modo infame». Sui diritti civili, Pacs, testamento biologico, eutanasia, droga, come sui temi economico-sociali, «ci sta prendendo per il culo tutto il mondo...». Il rischio è di giocare il ruolo degli "idioti", per altro neanche "utili". Di fronte a questo quadro, in cui gli elettori e i militanti radicali non vedono pezzi di alternativa, occorre mostrarglieli. Invece, come denuncia Capezzone, sempre più rinunciamo ad aprire vertenze politiche: «Ci stiamo cespuglizzando... siamo l'unico soggetto politico che in cinque mesi non ha creato un problema» a Prodi.
I radicali farebbero un grosso regalo al governo sia gettando la spugna e uscendo dalla maggioranza, sia dando l'impressione che sia Capezzone il solo elemento di disturbo, come già, purtroppo, risulta dalle cronache e da certe battutine in Transatlantico.
Ora che l'alternanza prodiana è acquisita non sono i radicali a doversi fare carico della sua durata. La missione, dichiarata agli elettori in campagna elettorale, è l'alternativa. E le ragioni dell'alternativa potrebbero confliggere con quelle dell'alternanza.
Il discorso che fa Pannella è: non siamo delusi, perché non ci siamo illusi. Non siamo delusi né sorpresi che non siano venuti fuori veri passi di alternativa da parte del governo dell'alternanza. «Questo è il governo che abbiamo voluto quando siamo stati costretti a scegliere tra testimonianza morale e responsabilità di governo, pur facendo parte di una delle due articolazioni della mafiosità partitocratica».
Significa che da una parte occorre ribadire il peso della responsabilità che i radicali, accettandone i costi politici, si sono presi per garantire il proseguimento di un'alternativa liberale, dall'altra, però, occorrono atti concreti per dimostrare che si sta lavorando a quell'alternativa senza fare (e farsi) sconti.
La Bonino dice che di questa Finanziaria «non muore nessuno»; Pannella dice che non ha «nessuna fretta e nessun piacere» di «ficcarsi nel "piatto ricco" dei delusi e degli apocalittici»; che non è il momento della «demagogia» e dell'«impazienza»; e rivendica il «comportamento esemplare dei radicali nei confronti delle alleanze di cui fanno parte». Ma esemplare agli occhi di chi? E quali i criteri di questa esemplarità? A che serve, se per i vertici dell'Unione conta solo il numero dei senatori?
Occorre invece capire se, come propongono altri, non sia giunta l'ora di rompere gli indugi e lanciare sfide politiche sia nei confronti del governo che della Rosa, senza timidezze e senza il complesso di cadere nel cliché dei radicali "inaffidabili". Se non ci si cura del cliché di Pannella che «divora i suoi figli», perché curarsi di quello dei radicali "pianta-grane"? C'è come l'incubo, o l'alibi, che porre questioni politiche significhi "ricattare" alla Mastella o alla Di Pietro. A parte che i numeri non ci sono, ma alzi la mano chi pensa davvero che le questioni che pongono i radicali siano della natura e abbiano la consistenza di quelle poste da un Mastella o da un Di Pietro. «Dai radicali è legittimo aspettarsi qualcosa di più», dicono Messa e Mingardi oggi su Il Foglio. Proviamoci, al Congresso: legalità, legge elettorale e spesa pubblica sono i fronti su cui attaccare il regime.