Non c'è niente da fare. I Ds sono di legno, non capiscono. Non comprendono l'opportunità che la Rosa nel Pugno rappresenta nel centrosinistra per contrastare la sinistra massimalista sulla politica estera e le liberalizzazioni economiche, e i neocentristi della Margherita sulle libertà individuali. Non solo realismo però, non lo comprendono innanzitutto perché essi stessi non sono affatto convinti di quelle urgenze. Perché sono i Ds il vero partito-azienda che pur di tornare al potere, e per farlo devono raccogliere voti da ogni parte, hanno dovuto svuotare di ogni contenuto la loro iniziativa politica. E' ancora così forte la loro tendenza egemonica, retaggio della cultura dei due blocchi, che l'istinto è quello di intercettare istanze fra loro diversissime la cui rappresentanza dovrebbe essere lasciata ad altre forze politiche, con i rischi che ciò comporta. Per voler "contenere" tutto, non rappresentano più nulla.
Il «derby» di cui parlava ieri Cazzullo sul Corriere prosegue oggi su il Riformista, e con clamorosi autogol. Patetico quello di Livia Turco, più raffinato quello di Polito, ma leggendo entrambi Turci, De Giovanni e gli altri avranno rafforzate le ragioni della loro scelta. «Il partito democratico - diceva ieri Polito al Corriere - deve nascere proprio da qui, dal superamento del novecentismo, dalla contaminazione tra culture liberali, non dalla riedizione dell'alleanza residuale tra ex comunisti ed ex democristiani che trent'anni fa sognavano il compromesso storico».
E' proprio questo che sostengono i liberalsocialisti, ma il «compromesso» di cui Polito parla stamani invece, con il controcanto della Turco, assomiglia molto di più alla riedizione di quello "storico" catto-comunista. Riesce in un prodigioso stravolgimento. Legiferando sui temi etici in modo laico il cittadino, comunque la pensi, rimane libero di esercitare o meno una scelta. Ove una maggioranza deliberasse per regolamentare l'eutanasia la minoranza che fosse contraria non sarebbe affatto «coartata nei propri convincimenti etici», poiché rimarrebbe libera di non ricorrervi. Consentire a medico e paziente di praticare la procreazione assistita secondo propria scienza e coscienza non avrebbe obbligato nessuno ad avvalersene. Nel "nirvana" legislativo laico e liberale nessun individuo è «coartato».
I «figli del Pci» non vedono, nemmeno oggi, la contraddizione negli articoli 7 e 8 della costituzione? Il 7 non nega ciò che l'8 afferma? Ci sia la «battaglia delle idee», ma non truccata dai miliardi di euro e dai privilegi concordatari. Su questo Gramsci, Salvemini, Nenni, Bobbio, Scalfari, Montale, Jemolo erano tutti «estremisti»? Capisco, è indispensabile caricaturizzare, ma nel concreto: i Pacs del popolare Aznar o i matrimoni gay di Blair e Zapatero, l'eutanasia, la chiarezza del modello a-concordatario americano, tutti «sinistrismi»? Sia sulle liberalizzazioni con la sinistra massimalista, sia sulle libertà individuali con la Margherita, il «compromesso» dei Ds è la non-scelta. Si teme di «spaccare le masse», ma la democrazia non è ricerca ossessiva e utopistica dell'unanimità, o di valori e un'etica «condivisi». Presuppone anzi scelte di governo che permettano la convivenza proprio di valori ed etiche profondamente diversi.
E sono tre. Dopo Turci e De Giovanni, ecco Buglio, forse Bogi, Grillini se la rischia. M'immagino quella impagabile coppia di ottantenni, Pannella e Macaluso, mentre mettono a punto il loro disegno a una festa di compleanno, tra una tartina e un piatto di pasta al sugo. L'emorragia Ds si aggrava e la reazione dei vertici non nasconde l'irritazione, anzi ne fa politica nel modo peggiore. Nei retroscena sulle telefonate di Fassino («eppure ti avevo detto che per te ci sarebbe stato un posto al governo»), nella scomunica di Chiti («denigra le posizioni politiche del partito nel quale è stato fino a 24 ore fa»), nella reazione della dalemiana Velina rossa, che bolla Turci, De Giovanni e Buglio con una celebre frase di Togliatti, «pidocchi che si possono trovare sulla criniera di un cavallo di razza», riemerge prepotente e istintivo un riflesso stalinista, di un apparato che stritola i non-allineati e pretende anche che non "tradiscano" la causa.
Con ogni probabilità anche il liberal Ds Franco Debenedetti non sarà ricandidato, ma ha resistito alle sirene della Rosa. Eppure, dice, non si possono ignorare le ragioni dei Turci, dei Salvati, degli Ostellino, quel «certo pessimismo sulla possibilità di raggiungere quella sintesi tra socialismo e liberalismo che sarà centrale nel futuro partito democratico». Da loro lo separa la convinzione che «la liberalizzazione del paese non si realizza senza l'apporto decisivo dei Ds». C'è un "ma", pesante, che come avvertimento rivolge ai suoi leader: «... ma è essenziale che i Ds portino in Parlamento dei veri liberali. Almeno uno». Peccato che la Rosa nel Pugno debba chiudere le liste prima dei Ds, altrimenti anche Debenedetti, deluso dalle liste del suo partito, avrebbe accettato la candidatura con la Rosa. E' uno degli effetti anti-democratici della legge elettorale che neanche l'Unione ha voluto correggere, e oggi capiamo il perché.
Paolo Franchi invita i Ds alla calma e alla riflessione. La Rosa nel Pugno è «un alleato scomodo». E, «nel suo piccolo, anche un concorrente. Nonostante tutto, la saggezza politica, e una visione compiutamente pluralista della sinistra, dovrebbero indurre i Ds a considerare questo soggetto in formazione una ricchezza potenziale per l'Unione e (magari) pure per il futuro Partito democratico. Probabilmente, invece, lo considereranno un fastidio, o peggio. E sbaglieranno».
Pierluigi Battista intravede «il segnale di un sommovimento tellurico destinato a cambiare il profilo politico-culturale dello schieramento di centrosinistra». Riconosce che «gli scettici che hanno interpretato la nascita della Rosa nel Pugno come una sommatoria obbligata dalle circostanze tra la pattuglia radicale e uno dei frammenti della diaspora socialista forse dovranno ricredersi, perché nell'arcipelago del centrosinistra quel principio di fusione ha accelerato movimenti profondi». In particolare, «il marcato profilarsi di un'area culturale che nella Rosa nel Pugno trova l'espressione di una sensibilità liberale di cui il centrosinistra ha vitale bisogno e anche un'opzione occidentale senza tentennamenti... Può insomma accadere che... il nucleo del nascituro partito democratico contenga in sé un frammento di anima liberale di cui era sinora drammaticamente priva».
Le motivazioni addotte dai fuggitivi sono politiche e hanno solido fondamento. Turci: «Il mio malessere profondo è che, pur essendosi trasformata la cultura politica dei Ds, non è cambiato il sistema di potere. Si continua a governare dal centro, cooptando in termini più di fedeltà che di meriti. Nella mia vicenda politica all'interno del partito mi sono trovato quasi sempre in minoranza, prima da migliorista poi da socialdemocratico (e queste parole venivano usate contro di noi in termini di scherno), poi da riformista e da liberal. Ho pagato i miei prezzi per quelle scelte, perché in politica soprattutto nella tradizione comunista non c'è nulla di peggio che avere ragione in anticipo».
E ancora, meglio: «Il partito non si è ancora affrancato dal realismo togliattiano: non ha assimilato i valori liberali e laici della democrazia moderna ed è ispirato da quel cinismo che, come diceva Nenni, vuole che la politica venga "prima di tutto". Prima, persino, delle proprie idee e dei propri valori... Se non giuri fedeltà personale al Capo vieni messo da parte. Le idee non contano nulla: nei Ds vai avanti solo per cooptazione o perché appartieni a una cordata interna». La speranza ora è che la Rosa nel Pugno «diventi un interlocutore laico e liberale per la reimpostazione del Partito democratico. Che possa contribuire a evitare che diventi una riedizione in sedicesimo del compromesso storico».
De Giovanni spiega a il Riformista e a la Repubblica, che il problema dei Ds è non avere un pensiero limpido «sul ruolo dell'Italia nell'Occidente, sulla riforma dello stato sociale, sulle liberalizzazioni, sul declino dell'Europa. Persino il modo in cui hanno votato sulla direttiva Bolkestein è opaco». Aggiunge di non capire «che cosa siano veramente i Ds oggi. Mi domando quale sia la loro strategia politica e non trovo una risposta soddisfacente. Ormai sono una realtà anfibia, un aggregato di consenso e di potere». Quindi, l'investimento nella Rosa nel Pugno: «Sono attratto da un soggetto autenticamente riformista e liberale, il valore di questo partito è metapolitico, la sua importanza va al di là del programma». E' importante che «il nucleo del nascituro Patto democratico contenga un sé un frammento di anima liberale di cui sinora è drammaticamente privo».
5 comments:
A me sembra che la Rosa Nel Pugno stia esplodendo. Magari sta facendo un piccolo botto ascoltabile solo "dagli strumenti" (chi legge i giornali) ma comunque qualcosa sta succedendo. No?
Si direbbe, dalla reazione dei Ds, ma c'è ancora tutto il tempo per soffocarla.
ciao
Grillini, ripiazzato in una posizione più sicura, rimane, purtroppo, diessino!
Dice lo faccia per il bene dei PaCS... io comunque l'avrei preferito con la Rosa, così in qualche modo lo avrei votato
Mi fa piacere che nella sinistra qualche voce liberale cominci a farsi sentire. Penso che sia un bene, anche per chi come me è più un "liberalista", e non voterà mai dalla stessa parte dei comunisti e degli antioccidentali.
...che brutta fine hanno fatto i radiclai: sono diventati il cestino dei trombati dei Ds. Contenti voi... GM
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