«La povertà tra chi è senza lavoro parla sempre più giovane ed è nelle classi di età più basse che è concentrato il fenomeno dei working poor. Hanno oggi una volatilità dei loro redditi fino a 5 o 6 volte superiore a quella delle generazioni che li hanno preceduti quando avevano la loro età. Non pochi dei giovani lavoratori di oggi potranno, dopo aver lavorato 40 anni, ricevere pensioni di poco più di 400 euro al mese, al di sotto della linea della povertà assoluta».Questo perché «il nostro sistema è notoriamente squilibrato a favore di chi oggi riceve una pensione (due terzi della spesa sociale sono destinati a questa funzione), magari a 57 anni e con l'aspettativa di vivere per altri 25-30 anni». Per inciso, diciamo che in questa campagna di insulti «l'unica proposta di politica sociale» è stata quella di aumentare le pensioni. Insomma, «ci si insegue nel cercare di conquistare il partito dei pensionati».
Boeri spiega in modo esemplare, leggetevelo, che «l'elettore mediano», quello vicino ai cinquanta, il cui consenso tutti i partiti si affannano a catturare, avrebbe «molto da perdere dal peggioramento della condizione relativa di chi è più giovane», ma non se ne rende conto perché la sua è un'ottica a breve termine.
Un campo, oltre alle pensioni, dove si consuma lo scontro intergenerazionale, è quello della qualità dell'istruzione e della ricerca. Oggi versano in condizioni drammatiche, con produttività scientifica irrilevante, con gli "anziani" che gestiscono le risorse e decidono gli ingressi che minacciano meno la loro posizione. Ma «se la valutazione della ricerca venisse ora utilizzata per decidere come distribuire i finanziamenti alle università, anche i docenti più anziani sarebbero interessati a rinnovare il corpo docente chiamando i ricercatori più bravi che si trovano sul mercato».
Come avrete intuito sono abbastanza "arrabbiato". Sì, perché credo che questa sia la vera questione sociale del nostro paese: la mancanza di ricambio generazionale nelle università, nel lavoro, nelle professioni, nella politica. La responsabilità politica – ed è il caso di dirlo, morale – della nostra vecchia classe dirigente è delle più gravi. Non ha assolto uno dei principali compiti della leadership di un paese: immaginare, programmare, non ipotecare il futuro dei suoi figli. Invece, attingendo a piene mani alla spesa pubblica, ha garantito per sé un tenore di vita al di sopra delle possibilità reali, scaricando sulle spalle delle generazioni future l'onere dei debiti contratti. La crisi del sistema pensionistico è emblematica del carattere generazionale della questione sociale.
I figli escono tardi dalla casa paterna? C'entrano forse gli studi completati fra i 28 e 30 anni? C'entrano affitti e mutui alle stelle e banche che non finanziano le idee? La nostra fiducia nel futuro è sotto i tacchi. A deprimerla è lo spreco generato dai mille privilegi. Pensiamo al nostro studio, al nostro lavoro, alle nostre imprese, ai nostri risparmi, alle professioni blindate, agli svantaggiati e ai meritevoli esclusi. Su ogni aspetto della nostra vita grava un enorme spreco di risorse. Ecco dove muore, oggi, la nostra fiducia. Di fronte ai privilegi dei burocrati, dei professionisti iscritti agli ordini, delle imprese operanti in regime di oligo-mono-polio, dei senza lavoro dotati però di posti di lavoro, di corrotti e collusi, di evasori e abusivi, dei settori industriali assistiti ma decotti da decenni e sì, anche della chiesa, con il denaro pubblico che riceve. Qualunque spesa o norma dello Stato che distorce le logiche del mercato e della concorrenza, comprime le opportunità, si risolve in uno spreco, crea ingiustizie.
Gli obiettivi di crescita economica, mobilità sociale, e servizi di qualità, richiedono l'approccio liberale e blairiano dell'Enabling State. Lo Stato che abilita, accresce le facoltà e le opportunità degli individui secondo l'inscindibile binomio libertà/responsabilità e rende i cittadini capaci di scegliere e decidere in proprio, senza padrini né tutori. «Possiamo creare delle opportunità, ma non possiamo gestire le vite o gli affari delle persone», dice Tony Blair. E parafrasando Blair, con i miei amici dell'Associazione on line Lievito Riformatore diciamo "Tough on Waste": duri contro i privilegi, contro tutti i privilegi.
Servono i punti chiari dell'«agenda Giavazzi» e la cultura liberale dei radicali, visti spesso con insofferenza. E' necessario e salutare lo scontro con le corporazioni e con i sindacati più conservatori, lo scontro tra una sinistra liberale e l'«ultrasinistra» corporativa, che su il Riformista Biagio De Giovanni non esita a definire «reazionaria». Non dovendo ricorrere alla preposizione "ex" per definire la nostra identità politica, né difendere il percorso di una vita o posizioni acquisite, né nascondere i segni del tempo su vecchie tradizioni politiche, chi può esserne migliore interprete se non la nostra generazione, unita nei concetti di individuo, mercato, interventismo democratico, e laicità, non ritorsiva, che si contrapponga a qualsiasi pretesa, confessionale o ideologica, di monopolizzare l'etica pubblica?
2 comments:
Questo post me lo segno. ERA L'ORA CHE QUALCUNO SI ACCORGESSE CHE DOBBIAMO DIVENTARE PATRICIDI!!!
CAZZO, ma in amniera anche violenta se necessario, io mi sono rotto il sacrosanto cazzo di questi vecchi di privilegi che ci bloccano ogni sbocco. BASTA CAZZO!
E facciamolo davvero un partito di under 30!
Inoz
http://inoz.ilcannocchiale.it
Perdonami, non c'entra nulla: ma non ho potuto fare a meno di commentarti su quel post idiota che mi ha mandato la giornata di traverso. Mi piacerebbe riparlarne con te.
CJ
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