La differenza non è di "stile", ma è tra impiego e impegno
Proprio nel momento della crisi, che può essere di crescita o di fallimento, è utile lavare in piazza i propri panni, come dice Malvino.
L'impressione è che il disagio espresso da molti nella Rosa nel Pugno per la difficile convivenza di due stili politici diversi, chiamiamoli pure - ma solo per comodità - "movimentismo radicale" e "istituzionalismo socialista", sia per alcuni un problema vissuto, ma per i più un alibi dietro cui si cela o uno scetticismo o una totale non condivisione del progetto, della sua necessità e delle sue ragioni ideali.
Quanto agli stili, diciamolo chiaramente, non si può impedire al "militante" Pannella di portare avanti le sue iniziative, per altro con un discreto successo e in totale sintonia con i 31 punti su cui tutti - Sdi e Radicali - s'impegnarono a Fiuggi. Il che non impedisce altri di farne di proprie o di combattere la stessa battaglia con altri "stili". Il problema è, semmai, che dall'altro lato di iniziativa politica non ce n'è. Non c'è neanche "professionismo" politico, ma un semplice impiego, anziché un impegno politico. E ti credo che i radicali egemonizzano, se gli altri se ne stanno fermi, normalizzati nel prodismo, o in attesa del convoglio che li porti nel campo profughi del partito democratico allestito per loro dai Ds.
Dunque, gli "stili" diversi e l'"egemonia" radicale sono tutte scuse per chi il progetto Blair-Fortuna-Zapatero non lo condivide e vuole andare da un'altra parte. Allora, chi vuole andare, vada.
Mentre Villetti si dimetteva da capogruppo alla Camera, Biagio de Giovanni buttava giù una lunga lettera alla Segreteria della Rosa nel Pugno in cui c'è tutto, o quasi. Ciò che veramente occorre alla RNP è una «sintesi» capace di dare «valore decisivo all'idea centrale» del progetto e di esercitare una forza «accomunante». Gli "stili" diversi, la «pretesa subalternità alle tematiche dei radicali, al loro stile politico... alla loro visione del mondo», sono dei falsi problemi. Le diverse «attitudini» non hanno bisogno di essere «schiacciate, mediate o smussate», ma di trovare ragioni ideali e politiche per coesistere. I diversi stili non si escludono, ma possono completarsi se le battaglie a cui lavorano sono davvero condivise.
Ecco perché ciò che serve alla RNP, conclude il professor De Giovanni, è la consapevolezza della propria necessità nel panorama politico italiano e «l'intesa sui temi da sollevare, sulle loro connessioni, sulle priorità da mettere in agenda». Occorre «moltiplicare le iniziative politiche e di analisi politica». Verrà «naturale», poi, che «uomini provenienti da consolidate storie diverse facciano valere i loro comportamenti che potranno ben restare diversi». L'importante è «l'orizzonte sintetico» entro cui si inseriscono. E' «sul progetto e sul suo senso generale, che bisogna trovare l'intesa», sulla «politica da fare», le «iniziative politiche visibili da prendere».
Anche secondo De Giovanni la «delusione» per un risultato elettorale «piuttosto modesto» ha fatto nascere «scetticismi e ha dato più forza a chi del progetto non è mai stato veramente convinto». Rispetto alla «pressione esterna di molte forze (dai Ds a componenti socialiste ostili al progetto) che spingono a portare (meccanicamente, direi) pezzi della "Rosa" nell'operazione "partito democratico"», questa fa presa su quanti vedono nell'unità socialista «una forma di "normalizzazione" della crisi socialista».
Ma il progetto dell'unità socialista è «intrinsecamente subalterno al predominio diessino, e su questo deve essere assai netta la persuasione di quella parte di socialisti che ha scelto la collocazione nella "Rosa"». Il «massimo risultato ottenibile in quella prospettiva», avverte De Giovanni, è «di andare a formare l'ultimo anello di una aggregazione per ora, per di più, dai contorni assai indefiniti e ambigui, ma saldamente ancorata al predominio diessino che non si sa più da che salsa sia condito». Vorrebbe dire sancire come «dispersa l'autonomia e la capacità riflessiva di una cultura politica».
Tra le necessità contingenti della "Rosa" c'è l'«insofferenza verso un tentativo che sembra rinnovare, in condizioni completamente mutate e dunque anche con nuovi significati, il vecchio compromesso storico fra post-cattolici e post-comunisti». La RNP ha almeno un nucleo d'idee convidise, e ciò la rende «più avanti del partito democratico», ma «deve accelerare (e non rallentare) la propria costituzione, diventare un soggetto politico capace di rivendicare una propria consistente autonomia, movendo dalla quale essa può decidere se e come partecipare al dibattito sul costituendo partito. Se essa fosse colta, da quel dibattito, nell'attuale stato di debolezza e sofferenza, le diaspore interne sarebbero accelerate, l'illusione dell'unità socialista da fare dentro il nuovo partito sarebbe incoraggiata». Il risultato sarebbe la «subalternità... il rafforzamento del carattere oligarchico del sistema politico». Invece, «bisogna dare, agli interlocutori del partito democratico, un segnale definitivo».
E' quindi necessario, secondo De Giovanni, che «da un documento-base scaturisca un momento costituente all'inizio dell'autunno che si ponga per obbiettivo di "fare" il partito, di eleggere il suo gruppo dirigente, di lanciare un messaggio forte e definito al paese per smuovere le coscienze».
2 comments:
Uno spasso. :))
anch'io - che se proprio mi si costringe a scegliere l'origine tra socialista e radicale scelgio la prima - sostengo che lo "sbilanciamento" a favore dei radicali non fosse dovuto al loro protagonismo ma all'"impieghismo" dello sdi, per usare il tuo termine. solo boselli ha dato uno slancio quando si è battuto per la scuola pubblica in maniera brillante, per il resto i loro sforzi non sono stati molto efficaci...
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