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Tuesday, June 06, 2006

D'Elia non c'entra con la lobby degli anni '70

Caro direttore, dispiace che in un paese di imboscati, dove pare non esistano responsabilità, dove più si sfugge - per astuzia, amicizie, o semplice culo - ai conti che il proprio passato presenta e più ci si ritrova in alto, debba toccare a Sergio D'Elia venire rincorso dal marchio d'infamia a vita. A uno dei pochissimi che non è rimasto «ostaggio» del suo passato, di cui non si può banalmente dire «oggi è diverso», perché da almeno vent'anni, tutti i giorni, conduce alla luce del sole un'attività politica incardinata sui principi dello stato di diritto e della nonviolenza. La storia di D'Elia è anzi un raro esempio di vita democratica delle istituzioni, che dovrebbe valere non contro di lui, ma nei confronti degli imboscati e dei riciclati di questa Repubblica delle conventicole, oligarchica. Per costoro, il passato e la rete di relazioni rimasta intatta da allora rappresentano un bagaglio di cui non hanno saputo né voluto disfarsi, i lasciapassare che gli hanno garantito l'accesso alle leve del comando e alle postazioni nevralgiche dei più influenti organi di stampa. Al contrario, Sergio è arrivato dov'è oggi, e riceve questi attacchi, in virtù del suo presente.

Se sugli anni '70 c'è ancora così tanto veleno, non è perché manchi una qualche retorica riconciliazione nazionale, ma perché i protagonisti di allora, sia dalla parte dello Stato che dei suoi nemici, sia che si trovino nelle istituzioni, nelle redazioni, in Francia o in Sudamerica, o che rispuntino «su chiamata», tengono per sé ciò che sanno di quei fatti. Ne parlavo con Lembo e Castaldi. Da veri chierici di quel terribile passato se ne servono, dosandone come credono, con il contagocce, l'afflusso nei media, regolando così i conti in sospeso tra di loro e fornendo vecchi arnesi a becere polemiche politiche. Chi sa, parli! Non per accusare o discolpare, ma per raccontare. Portarsi nella tomba pezzi di storia la cui conoscenza è diritto e patrimonio che appartiene a una comunità intera è un vero delitto.


Sfogliando le pagine dei giornali ritrovo non poche consonanze di alcuni commenti con questa mia lettera pubblicata oggi su il Riformista. Soprattutto laddove mi rammarico del fatto che in un paese di imboscati e riciclati d'ogni specie, proprio a D'Elia siano toccati certi attacchi, pur essendo estraneo da quelle conventicole, quella lobby degli anni '70, attiva in politica e nei giornali, i cui membri non hanno saputo né voluto disfarsi del proprio bagaglio, utilizzandolo anzi come lasciapassare per accedere alle leve del comando e alle postazioni nevralgiche dei più influenti organi di stampa.

Così, la vedova D'Antona ricorda che «il marchio dell'infamia a vita non ha senso per chi ha iniziato e compiuto un percorso di ravvedimento. Riabilitazione sì, quindi. Ma a precise condizioni». Condizioni che per la vedova D'Elia deve aver soddisfatto, visto che distingue la sua posizione da quella di altri: «C'è chi va in televisione, scrive libri e saggi, rilascia interviste, cerca e trova pulpiti e cattedre. E' intollerabile l'arroganza di chi, dopo tutto quello che ha fatto, ci viene a dire che il terrorismo ha sbagliato perchè ha perso. La verità, che molti ancora non dicono, è che il terrorismo ha perso perchè era sbagliato...».
Ecco, D'Elia è uno dei pochissimi pronto a riconoscere non che la lotta armata ha fallito, ma che era sbagliata.

Così Pierluigi Battista sul Corriere:
«D'Elia non c'entra, ma che percezione serena puo avere dell'Italia la famiglia Dionisi se, sconfitto sul piano politico e militare, il terrorismo si trasfigura in epica cinematografica, letteratura, dominio sull'immaginario?»
Queste le parole di Francesca Mambro, ex Nar, che collabora con D'Elia per Nessuno tocchi Caino, anche lei tenendo a distinguere la vicenda di Sergio da molte altre: «Lui non era scappato, né s'è sottratto alla pena, ha chiuso i conti con lo Stato e ne ha accettato le leggi. Non è uno di quelli che sostiene che il progetto rivoluzionario è fallito, dice che era semplicemente sbagliato. Non ha scritto libri toccanti né proposto discorsi commoventi. E soprattutto non s'è presentato per il suo passato remoto ma per quello più recente e per il presente...».

Infine, su Libero, Alfredo Biondi ha tentato, senza successo, di riportare alla ragione Feltri, prendendosi invece una rispostaccia ancora peggiore: «Sergio D'Elia ha, con il suo ravvedimento "attuoso", riguadagnato il ruolo di cittadinanza civile e politica nella società italiana. Forse con qualche titolo in più di coloro che figurano nell'impietoso elenco pubblicato da Libero di personaggi noti ed oggi apprezzati, ieri rivoluzionari da salotto, intellettuali registi, scrittori con il cuore a sinistra ed il portafoglio a destra che, zitti zitti piano piano, si sono guadagnati la direzione di giornali, di settimanali borghesi, d'università, di aziende pubbliche e private beneficiando dell'"indulgenza plenaria" derivante da un amnesia, "amnistia silenziosa e non dichiarata", per le istigazioni a delinquere compiute...».

E' la conferma che Sergio D'Elia è stato tirato dentro un dibattito che non lo riguarda, quello sulla lobby degli anni '70, i cui membri fanno successo grazie (e non nonostante) il loro terribile passato e una rete di relazioni mai dismessa.

«Lo Stato dovrebbe essere fiero di aver raggiunto le finalità che si poneva nella dichiarazione d'intento della lettera costituzionale, dovrebbe considerare D'Elia una prova vivente della sua forza, dovrebbe farsene forte», scrive sul suo blog Castaldi.

6 comments:

Anonymous said...

facciamo così, io accolgo a braccia aperte come mio parlamentare e rappresentante D'Elia, a patto che:
1) riceva a titolo di indennizzo (non mi importa da chi)pari al suo stipendio da parlamentare per il tempo di durata della legislatura + tutti i benefits diviso 60.000.000 in modo in mdo che non sia io, che non ho neanche i soldi per l'acqua calda in casa, a mantenerlo.
2) goda del diritto a non rispettare leggi che siano proposte da lui, o in cui il suo voto sia determinante (cioè le votazioni n cui lo scarto è di un solo voto e dove lui voti).

questo non toglie che ci sia gente (tipo mieli) che non abbia posti di rilievo nella società, anzi, stanno tutti la, tutti riciclati e contenti a fare gli snob negli editoriali o applauditi a cannes.
Però almeno non mi comandano, non sono io che gli pago il grasso stipendio, ma è De Benedetti o Montezemolo. Affari loro.

Se questo D'Elia è così buono e così cambiato, cosa gli costa compiere un atto di sensibilità e dimettersi?

Nessie said...

Nessuno vuol togliere a D'Elia il diritto di avere un lavoro. Ma non una rappresentanza istituzionale: tutto qui. Per fare un concorso a titoli e cattedre nello stato occorre essere "incensurati". Perché questo non deve valere anche per chi sta in parlamento? La sinistra fa tante smorfie per gli inquisiti; perché allora non le fa per i pregiudicati?

Anonymous said...

chi è che parlava di Tocqueville come la città dei secondini ?

Nessie said...

Anonimo, intanto firmati , quando provochi. Non sono una secondina. Poi quel che ho detto su D'Elia, lo ha scritto anche Giuseppe Scaraffia per la Faranda su IO Donna, il magazine del Corriere di sabato scorso. "L'oscurità è una pena mite, ma indispensabile". "Non si tratta di legge del taglione, ma di contrappasso adeguato alla fattispecie: chi ha tolto una vita non deve essere più visibile, non lo merita più". E se poi questa "visibilità" va anche alla Camera, ebbene allora la faccia la perdono un po' tutti gli italiani. Anche quelli che non hanno votato per D'Elia.
A proposito, il mio post contro la Faranda ("Le ali di piombo di Adriana Faranda") e la sua visibilità mediatica, non è stato aggregato. Chissà come mai...

Anonymous said...

certo, se l'ha detto Scaraffia ....

Anonymous said...

Meglio secondini che assassini, fa pure rima!
:-D