«In un'Italia come questa anche una sceneggiata può bastare a provocarne la decomposizione. Sangue non ce ne sarà: l'Italia è allergica al dramma, e per essa nessuno è più disposto a uccidere e tanto meno a morire. Dolcemente, in stato di anestesia, torneremo ad essere quella "terra di morti, abitata da un pulviscolo umano", che Montaigne aveva descritto tre secoli orsono. O forse rimarremo quello che siamo: un conglomerato impegnato a discutere con grandi parole, di grandi riforme a copertura di piccoli giochi di potere e d'interesse.
L'Italia è finita. O forse, nata su dai plebisciti-burletta come quelli del 1860-61, non è mai esistita che nella fantasia di pochi sognatori, ai quali abbiamo avuto la disgrazia di appartenere. Per me, non è più la Patria. E' solo il rimpianto di una Patria...
Mi sono pentito di aver scritto le righe precedenti... Non si ha, non si dovrebbe avere il diritto di inoculare nei giovani tanto pessimismo, che potrebbe agire su di loro come un paralizzante veleno. Il diritto di scrivere questo conclusivo capitolo amaro e sconsolato, io me lo sono tuttavia guadagnato in quasi novant'anni di vita, di cui almeno sessantacinque trascorsi nel tentativo appassionato, anche se punteggiato di errori, di contribuire, sia pure in piccola misura, a cambiare le cose.
Io ho perso, cari ragazzi, questa battaglia. Ma per sessantacinque anni l'ho fatta rompendomici la testa. Voi dovete ancora cominciarla, e quindi non avete per ora il diritto di giungere alle mie conclusioni. Avete invece il diritto di rifiutarle e di dire a voi stessi, e l'uno all'altro, sputando magari sul mio nome: "Noi questa battaglia la vinceremo".
Anche se vincerla non potrete, un compenso lo avrete: quello di potervi guardare nello specchio senza arrossire di voi stessi, perché allo specchio, cioè al bilancio della propria vita, prima o poi ci si arriva. E lo specchio non vi giudica dai successi che avrete ottenuto nella corsa al denaro, al potere, agli onori; ma soltanto dalla Causa che avrete servito. Tenendo bene a mente il motto degli hidalgos spagnoli: "La sconfitta è il blasone delle anime nobili"».
Indro Montanelli (Corriere della Sera, 23 Novembre 1997)
6 comments:
Montanelli, chi? Sarà mica quello che invitava a votare Dc, pur col naso turato? Se è quello, grande eroe, indubbiamente.
Non ero tsunami, ero malvino.
E' bello ogni tanto concordare su ogni singola sillaba ;)
a malvì...bello...come la mettiamo con i...diritti d'autore?
quanto al de cuius...bah!!!
respirazione libera!!!
ciao.
non sono malvino...
io ero tzunami...
Anche io ho perso.
Mi sono completamente schifato.
Vada come vada. Io scendo qui.
Tutto il resto è... una burla.
Non me la bevo più.
Si infiammino e vagheggino gli altri.
Facciano ciò che gli pare.
Il solo occuparsi di politica vuol dire non voler capir nulla.
Vien voglia di andarsene via davvero.
Popolo bue lo chiama la politica nostrana. Gregge la chiesa nostrana.
Hanno ragione. Si distinguono dai bovini e dagli ovini solo alcuni volponi ed alcuni porcelloni.
Per il resto mancano... gli uomini.
P.S.: Dove ci fu qualche illusione adesso restano le Rite Bernardini con il loro "dispiaciuto stupore" perchè Capezz "fa l'economia dei Radicali" e non ringrazia il suo pugnalatore D'Elia...
e ho detto tutto!
e per essa nessuno è più disposto a uccidere e tanto meno a morire.
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Sbagliava, Quattrocchi lo dimostra
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