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Tuesday, March 13, 2007

Una Russia democratica è il nostro primo interesse

Vladimir PutinLuci e ombre della leadership di Putin nell'articolo di oggi di Franco Venturini, sul Corriere, anche se le seconde annullano di gran lunga qualsiasi effetto benefico delle prime sulla società russa. L'importante è capire la linea di tendenza, la strada verso cui si sta avviando la Russia guidata da Putin. E' il verso giusto, quello che porta alla democrazia, seppure con tutte le difficoltà e i ritardi fisiologici di un paese che non l'ha mai conosciuta? O piuttosto si intravede un'involuzione autoritaria?

Venturini commette a mio avviso un errore nel contrapporre «valori» a «interessi». Dice: non si può fare a meno di avere buoni rapporti con la Russia, per quella «reciprocità di convenienze» che ci accomuna, ma d'altra parte in politica valgono anche le questioni di principio, cioè il rispetto dei diritti umani. E' un approccio che ha fatto il suo tempo e che finisce per rendere marginale la questione della democrazia e dei diritti fondamentali, ma anche per trarci in inganno nella valutazione dei nostri fondamentali interessi.

E l'evoluzione democratica della Russia è tra i primi di questi interessi. Innanzitutto, per motivi di sicurezza, essendo una potenza confinante con l'Unione europea; poi, perché nessun accordo commerciale o equilibrio tra potenze può essere alla lunga ritenuto affidabile con un paese autoritario.

A criticare la politica e l'intellettualità europea è ancora una volta André Glucksmann, che oggi ricorda come Prodi abbia «sempre praticato l'assenza totale di critica nei confronti di Putin», in questo non rappresentando alcuna «discontinuità» rispetto alla politica di Berlusconi. Alla vigilia di questa visita, Prodi ha rilasciato all'agenzia Ria Novosti un'intervista nella quale parla di «comune visione e modo di sentire» con Putin. Ma se «la cultura russa è la gloria dell'Europa, Putin è il Kgb».

La capitale cecena, Grozny, «è stata due volte distrutta, rasa al suolo... uno scempio compiuto alla luce del sole, sotto gli occhi del mondo intero». Eppure, silenzio, tranne pochi. Chirac ha persino insignito Putin della legion d'onore, appena una settimana dopo l'assassinio di Anna Politkovskaja. In Europa, osserva Glucksmann, «solo due personalità si smarcano dal silenzio complice, Angela Merkel e Nicolas Sarkozy».

La «distrazione» riguarda tutti: politici, intellettuali, pacifisti. Alla base, «la simpatia quasi inconscia per un regime palesemente non democratico, non liberale, non sociale...» Ma anche una paura che Glucksmann definisce «stupida», per la minaccia di Putin di chiudere i rubinetti di gas e petrolio. In realtà, «più ci inchiniamo, più incoraggiamo il lato pericoloso... Stiamo accettando che ai confini dell'Unione nasca una potenza senza controllo. Assistiamo all'edificazione di un impero dotato di fonti energetiche e della seconda forza nucleare del mondo».

Gli europei, conclude Glucksmann, «rischiano di macchiarsi di nuovo del "crimine di indifferenza" di cui parlava lo scrittore austriaco Hermann Broch a proposito dell'ascesa del nazismo. Il "crimine di indifferenza" oggi è dimenticare il vanto di una parte della sinistra, l'anticolonialismo. Il massacro dei ceceni è una guerra coloniale che dura da tre secoli. Dove sono oggi gli anticolonialisti?». Dove sono i capitalisti, che confidano nel libero mercato, quando si tratta di difendere Kodorkovski, l'ex capo della Yukos espropriato e rinchiuso in Siberia. Glucksmann ricorda che la civiltà occidentale è nata dalla lotta per la libertà: «Quando l'Europa se ne dimentica, le conseguenze sono sempre catastrofiche».

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